Chiesa locale e rinnovamento delle strutture nello spirito del Vaticano II
tema proposto dalla diocesi di Acqui Terme
Mons. Carlo Ferrari
Io tento di situare il mio discorso nell’ambito di una visione della chiesa locale, che è stata magistralmente e con chiarezza presentata a voi da chi mi ha preceduto: il mistero e il sacramento della presenza e dell’azione delle divine Persone in comunione con la persona degli uomini, chiamati ed ammessi alla comunione di vita con Dio e ad esprimerla, ciascuno per la sua parte, per la santificazione propria e di tutto il mondo.
Primato della persona nella Chiesa
Chiamato a parlare del rinnovamento delle strutture, non farei un discorso onesto e quindi vero se non mettessi in risalto il primato della persona nella chiesa, la sua natura di soggetto e quindi di fine; conseguentemente la necessità del suo rinnovamento anteriore a quello delle strutture, le quali sono e debbono rimanere nel loro ordine di mezzi.
Queste affermazioni non le faccio in modo perentorio, come uno che ignora che le strutture e le situazioni concrete possono in una certa misura condizionare il rinnovamento della persona.
Quando poi si tratta di strutture di diritto ecclesiastico, si può pensare a un loro rinnovamento, quando questo è concepito da persone che almeno abbiano una visione rinnovata della natura, della costituzione e della missione della chiesa.
Questa visione rinnovata è il minimo che si richiede per apprestare degli strumenti giuridicamente validi; ma se questi strumenti li vogliamo ecclesialmente, forse meglio, teologalmente validi, allora il rinnovamento deve raggiungere la persona in tutta la sua profondità ed estensione.
Sempre per l’onestà del nostro discorso, qui non si tratta tanto del rinnovamento morale della nostra condotta. Il Concilio ci chiede qualche cosa di estremamente più radicale, che io tenterei di indicare come una presa di coscienza della novità del nostro essere, di nati da Dio, chiamati a partecipare alla sua divina natura, chiamati ed ammessi alla comunione di vita con Lui.
E’ la coscienza della costituzione sacramentale (battesimo, cresima, penitenza, eucarestia) della nostra persona e della nostra vocazione ecclesiale; più a monte e più al fondo, il mistero trinitario sorgente e modello della esistenza cristiana che sono determinanti del nostro rinnovamento, della nostra conversione, di quella « metanoia » che rovescia una persona come quando infilandolo dall’interno si rovescia un guanto…
Ammettiamo con lealtà che la nostra formazione non corrispondeva a questa stupenda ricchezza di doni divini. Abbiamo ignorato la Bibbia, la nostra teologia si era estremamente impoverita e la nostra morale era una specie di etica naturale nella quale si proponeva un vago e statico stato di grazia, ben lontano dal dinamismo delle esigenze della perfezione proposta dal Vangelo ai figli di Dio.
Ora tutto questo richiede riscoperta, pazienza, costanza; rinnegamento di noi stessi fino a fare posto a Cristo e ai nostri fratelli nel più profondo del nostro io.
Le carenze che si possono riscontrare nelle attuali strutture ecclesiastiche derivano appunto dal prevalere del giuridico sul teologico, del morale sul carisma, della istituzione sulla persona.
E’ chiaro che imbocchiamo una pista sbagliata quando siamo più attenti, più preoccupati e più impazienti di rinnovare le strutture di quanto non lo siamo di rinnovare noi stessi.
Per essere in condizione di concepire il rinnovamento delle strutture della chiesa locale, permettetemi di insistere sulla dimensione sacramentale ed ecclesiale della persona.
Ho già detto che la sorgente e il modello della realizzazione della nostra persona sono le tre Persone di un solo Dio: infinitamente se stesse e quindi distinte e infinitamente comunicanti e quindi uno solo. Così è della persona degli uomini, irrepetibilmente se stessa, con la sua vocazione, il suo nome, la sua statura di grazia, il suo carisma; e, sempre costituzionalmente, aperta (« relatio ad ») alla comunione coi fratelli.
Questa dimensione comunitaria della persona e la comunità chene consegue sono il traguardo e l’ambiente di vita della persona stessa. Il rapporto di ciò che è individuale con l’elemento sacramentale e di ciò che è comunitario con quello ecclesiale è per qualche aspetto distinto, mai separato. La vocazione a comunicare alla esigenza trinitaria immerge anche la esistenza della nostra persona nel mistero.
Da questo punto noi ci accostiamo al nodo del nostro tema.
Valore e funzione delle strutture
Non è il caso di soffermarci su una distinzione tanto ovvia delle strutture, quelle di istituzione divina e quelle di istituzione ecclesiastica. Queste ultime storicizzano le prime e servono per una loro più evidente ed efficace incarnazione. Bisogna avere l’avvertenza da una parte di non cadere nel monofisismo, nello spiritualismo e quindi nel disincarnato; dall’altra di evitare un certo pelagianesimo, il quale attribuisce alle semplici strutture il potere salvifico che Cristo ha conferito alla chiesa.
A me pare decisiva un’altra distinzione, la quale non dice ne separazione, ne chiusura: tra le strutture mediatrici di salvezza e quelle di servizio ecclesiale; con l’avvertenza che le prime valgono e impegnano secondo il grado di unione con Cristo e di disponibilità verso i fratelli, le seconde invece piuttosto secondo il grado della competenza e della rappresentatività. E’ chiaro che il primo valore e il primo impegno non escludono il secondo e viceversa, però siamo su due piani di valore e di funzione diversi.
Fatte queste premesse, ciò che la struttura deve salvare, far emergere e maturare sono le due dimensioni della persona, quella verticale, individuale, sacramentale e quella orizzontale, comunitaria,ecclesiale: ciascuno deve poter essere se stesso, al suo posto, ma per l’edificazione dell’unico corpo.
Qui ci incontriamo con un altro scoglio che sconcerta la nostra mentalità e il nostro egoismo, soprattutto quando si nasconde sotto la veste della rivendicazione della dignità della persona: nell’ordine della esistenza viene prima la dimensione orizzontale di quella verticale; la comunità e il comunicare sono l’ambiente e il mezzo per essere se stessi e non viceversa. Prima c’è la chiesa, la comunità come segno, sacramento e strumento di salvezza e poi ne deriva la salvezza; prima c’è la madre e poi i figli (cf. L.G. 11).
Quindi quando noi, nel presente tempo storico, nella esistenza concreta della nostra chiesa, per la salvezza di coloro che in essa sono adunati, pensiamo alle strutture di questa nostra chiesa dobbiamo incominciare dalla dimensione comunitaria.
Il mio discorso non può essere di dettaglio, ma deve limitarsi ai punti chiave.
Presbiterio e Consiglio Pastorale
La prima struttura che prendo in considerazione è il Presbiterio.
Il Presbiterio è la realtà ecclesiale in cui ogni presbitero è in comunione con i sacerdoti e col vescovo di una chiesa particolare al fine di esprimere e rendere operante l’unico sacerdozio e la indivisa missione di Cristo. Qui siamo nel cuore di una unità ontologica che ciascuno deve concretizzare nella propria persona, cioè nella propria vita e nella propria azione.
La figura biblica di Cristo Sposo che si dà per la sua chiesa (cf. Ef. 5,25) definisce piuttosto i nostri rapporti vicendevoli, che quelli del pastore rispetto alle comunità: qui siamo soltanto amici dello Sposo (cf. Mt. 9,15).
La struttura mediatrice di salvezza del Presbiterio è il Presbiterio stesso. Tutti i presbiteri, intorno al Vescovo, uniti a Cristo Capo,dal quale dipendono e ricevono il loro potere di essere e di agire, sono un ambito di vita in tutte le sue dimensioni, un seno materno, nel quale ogni singolo presbitero trova la salvezza del suo sacerdozio e la possibilità di rendere efficace il suo ministero.
Il problema così acuto della solitudine, quello dello sconforto della sfiducia per le difficoltà del ministero; quello ancora più fondamentale della realizzazione di se stesso in un ambito di corresponsabilità trovano la loro prima soluzione nel calore della simpatia umana, nella delicatezza premurosa della carità, nella umile collaborazione in un unico servizio di tutti i membri del Presbiterio.
Si può essere tentati di pensare che questa comunione del Presbiterio di una chiesa locale sia utopistica. Io so, per lunga e vasta esperienza, quanto sia difficile da realizzarsi: purtroppo la nostra formazione non è stata in questo senso. Però quando vogliamo essere realisti non dobbiamo sfuggire la realtà: fino a quando non ci saremo convinti della necessità di stabilire dei rapporti fraterni tra di noi e col vescovo e non ci saremo impegnati con tutte le nostre forze ad essere operatori di pace, ad essere « cor unum et anima una » (At. 4,92), la coscienza ci deve rimproverare perchè non abbiamo attuato il precetto del Signore (cf. Gv. 15,12), e quindi qualche cosa che entra nella costituzione della chiesa.
Il Presbiterio, in quanto struttura mediatrice di salvezza deve seguire l’economia di questa ultima, secondo il senso biblico del «resto », del lievito, del piccolo gregge.
L’unità nella carità dei presbiteri tra di loro e col vescovo non la si deve pensare e costruire secondo l’estensione, ma secondo l’intensità: prima di realizzarsi tra tutti i membri del Presbiterio diocesano, occorrono modelli e focolai a dimensione più personali; io penso al presbiterio di una parrocchia, di un centro cittadino, di un vicariato…
Invece la struttura del Presbiterio secondo la dimensione di servizio ecclesiale io la riconoscerei nel Consiglio Presbiterale. Non è, evidentemente, pensabile che i membri di questo organismo siano dispensati dalla carità vicendevole e dalla preoccupazione di essere degli edificatori della unità; però i titoli di appartenenza mi pare debbano essere la competenza che li qualifica e la effettiva rappresentatività.
Non è il caso di sottolineare che si tratta di una struttura giovane per la quale è difficile e pericoloso voler stabilire dei criteri troppo rigidi.
La Parrocchia
L’altra struttura attualmente decisiva per la vita e l’azione della chiesa locale è la Parrocchia.
Le due ottiche secondo cui si può vedere la parrocchia sono il can. 216 del C.J.C. e, per es., il numero 42 della Costituzione sulla Liturgia e il numero 10 del « Apostolicam Actuositatem ». La prima è giuridica, la seconda teologica.
Naturalmente non ignoriamo e non escludiamo il primo aspetto,ma illuminiamolo e animiamolo col secondo.
Anche qui io guardo alla parrocchia come mediatrice di salvezza e come entità amministrativa.
Accenno appena alla figura del parroco. Il parroco rende presente, fa le veci del vescovo, non solo per una giurisdizione canonica, ma per una realtà ontologica, sacramentale. Unito al vescovo, ha la sua parte di autorità nell’annuncio della Parola di Dio e di capacità di garantirne l’autenticità; presiede l’Eucarestia e ogni celebrazione liturgico – sacramentale; guida i fedeli con la virtù di una grazia sacramentale.
Questo vale per ogni presbitero che presiede una legittima comunità.
L’accento io vorrei porlo sulla comunità, ma con una chiara avvertenza che ha una portata pastorale e sociologica.
Queste nostre parrocchie non possiamo, tout cout, prenderle come strutture mediatrici di salvezza, almeno nel senso che queste comunità di popolo coincidano col Popolo di Dio, segno e strumento della salvezza del mondo; anzi ín esse prevale il mondo o, per lo meno, non giudicano e non contraddicono il mondo.
Bisogna individuare, se necessario, suscitare, il « resto ».
Questo è il punto primo del nostro impegno pastorale.
Il « resto » sarà costituito da persone che pregano, da ammalati che soffrono, da animatori della catechesi e dell’azione liturgica, da coloro che rendono testimonianza alla loro fede e sono pronti a dare ragione della propria speranza: tutti a titolo della loro unione a Cristo e della loro disponibilità verso i fratelli.
Il discorso avrebbe bisogno di essere sviluppato, sempre nella stessa prospettiva, a riguardo delle comunità di base, della famiglia cellula sacramentale della comunità, ecc. Qualunque ne sia l’attualizzazione, ciò che conta rimane sempre il grado di fede, di speranza e di carità che anima i singoli membri. Qui veramente la chiesa nelle sue minime espressioni diventa madre e genera e fa crescere e maturare i membri del popolo di Dio.
E’ un fatto che l’aspetto giuridico è sempre latente come una tentazione, e si può arrivare a pensare alla animazione cristiana delle nostre parrocchie con strutture, che pur essendo nuove non sono di per se atte a determinare un rinnovamento delle persone.
Le assemblee parrocchiali, i consigli parrocchiali hanno una loro validità: avvicinano le persone, suscitano interessi ecclesiali, le impegnano. A seconda dei casi, vale la competenza o la rappresentatività; molti settori dell’attività parrocchiale possono o debbono essere attribuiti ai laici; sono anche d’avviso che in molte attività i laici, come qualsiasi altra persona, diventeranno capaci quando li renderemo responsabili; bisogna avere il coraggio del distacco.
Noi sacerdoti siamo davanti a un urgente dovere di ricerca della nostra identità; una delle vie per arrivarci è quella di liberarci da tutte le competenze indebite da cui siamo avviluppati: pensiamo alle incombenze di amministrazione finanziaria, di organizzazione, ecc. Non è questione di avere maggior tempo a disposizione o di procurarci altri collaboratori; il punto è quello di dover attribuire a ciascuno la parte che gli compete nella edificazione della comunità.
O attraverso strutture di mediazione di salvezza o attraverso strutture di servizio ecclesiale tutti devono essere posti nella condizione di diventare dei protagonisti della vita della comunità.
Una delle note che rendono legittima e autentica una comunità ecclesiale è la sua apertura alle altre comunità (cf. Ch. D. 30; P.O. 7). Io penso a tutto il cammino che dobbiamo compiere perchè il campanile diventi il punto dal quale si spazia su un più vasto orizzonte piuttosto che il termine che chiude un confine.
Io oso affermare che nel cuore della vita della parrocchia nascono autentici e validi gli organismi e conseguentemente le strutture della zona e della diocesi.
Il tempo non mi consente di entrare nel merito di queste strutture. Tutto ciò che finora si è realizzato può costituire una premessa anche indispensabile, ma non si presenta con carattere definitivo. Bisogna avere il coraggio di avviarsi per questa strada e la pazienza di sperimentare.
ST 326 Chiesa Locale 71
Stampa sul bollettino diocesano di Mantova n.8-9-1971 pag.316-321