….possiamo dire che siamo arrivati fino alla soglia dove vuole raggiungerci l’amore misericordioso e fedele del Nostro Dio, per mezzo di Gesù Cristo nel suo Spirito, che è appunto la Chiesa che si concretizza nella Chiesa locale e nella comunità locale di tipo religioso.
Ora, qui si compie, per così dire, la rivelazione di Dio, ciò che Dio vuole fare per noi, il modo con cui vuole farlo, e il luogo dove lo vuole fare.
Il Concilio insegna, nella Costituzione sulla divina rivelazione: “l’atteggiamento dell’uomo verso Dio che rivela”.
A Dio che rivela – che è arrivato fino a questa soglia -, è dovuta l’obbedienza della Fede con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutto intero, liberamente prestandogli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da Lui. Perchè si possa prestare questa Fede sono necessarie la grazia di Dio che previene e soccorre, che gli aiuti interiori dello Spirito Santo il quale muove il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente e dia a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alle verità. “Cantus firmus”. Affinchè poi l’intelligenza della rivelazione diventi sempre più profonda, lo stesso Spirito Santo perfeziona continuamente “la Fede per mezzo dei suoi doni” ( )
Allora prendiamola la risposta della Fede. Dio ci viene incontro con il dono totale di se stesso, della sua natura, della sua vita, della sua esistenza, per introdurci in una comunione di vita con sè e in una comunione di vita con i nostri fratelli.
Noi accettiamo o non accettiamo. In questo consiste la Fede. La Fede non consiste soltanto nel dire: “Dio c’è o Dio non c’è”. La fede è questa accoglienza, fatta di tutto il nostro essere. Non soltanto della intelligenza, diventeremmo dei razionalisti, finiremmo di andare a finire nei vicoli ciechi dai quali non sapremmo più uscire. E’ questo abbandono. Il Padre della Fede e il modello della Fede è Abramo. Sente una voce che gli dice di lasciare il suo paese e di intraprendere un cammino. Egli lascia tutto e va. Crede a Dio. Cosa vuole dire crede a Dio? Si fida di Dio! Si abbandona a Dio. Nonostante che sia posto dinnanzi a delle difficoltà umanamente insormontabili, in definitiva lascia che l’ultima parola sia di Dio, mentre Sara, dietro la tenda, sorride… Ha le promesse dinnanzi a sè e non ha una posterità. Gli viene promessa una posperità in condizioni impossibili e questa posterità è realizzata nel figlio Isacco. Si accende una speranza: c’è la posterità. No. Dio gli chiede: offrimi il tuo figliolo, che ami tanto. Non poteva non amarlo. Abramo prende il suo figliolo e va. Sapete quel dialogo patetico che intercorre tra il Padre e il figlio, tra il padre che sa quello che va a compiere e il figlio che è ignaro di tutto. Ma a Dio basta la disponibilità della Fede, il sacrificio della Fede e le promesse continuano e Abramo si lascia condurre da Dio- Questo È l’atteggiamento della fede-. Abbandonare tutto se stesso, tutte le proprie facoltà, tutto ciò che si è, tutto ciò che si ha, tutto ciò che costituisce, intesse la nostra esistenza nelle mani di Dio, mettendo il suo progetto su di noi, al di sopra dei nostri progetti, per salvaguardare proprio questo progetto personale, perchè il rapporto che Dio stabilisce con noi è un rapporto personale, irrepetibile, che corrisponde alla nostra fisionomia più intima, più caratteristica, più distintiva che, quindi, è legata a tutto ciò che intercorre in questo rapporto. Da una parte doni e dall’altra accoglienza e dall’altra risposta. I doni che sono per me non sono per un altro. La mia risposta non è sulla stessa tonalità di quella di un altro: è mia, è unica. Dio mi ama personalmente. Mi ama come se fossi l’unica creatura al mondo. Mi ama distintamente. Guardate che la nostra vita spirituale prende un senso, incomincia ad avere un significato ed è accompagnata da una gioia che non si può definire, il giorno in cui scopriamo che Dio è “mio Dio”, che io sono per lui tutto. Quindi – una piccola affermazione – attenti ai modelli.
Indubbiamente i modelli sono utili, per vedere in quanti modi si incarnano i rapporti con Dio o in quanti modi si incarna, si concretizza il Vangelo, ma quando io voglio diventare come santa Teresa, come santa Elisabetta, come santa Giovanna, faccio una sciocchezza, perchè io non sono nè Giovanna nè… io sono io ! Fino ad oggi, si può dire che la lettura delle biografie dei santi -così utile- è sempre stata fatta con l’intento di imitare quel santo. Quel santo ha avuto la sua grazia. Era unico ed è unico nel firmamento della Chiesa e non ha niente a che fare con me se non in quanto mi aiuta a leggere il Vangelo e niente più. Poi, se lui diceva dieci rosari per imitarlo io non devo dire dieci rosari. Se lui faceva cinquanta fioretti…io posso farne anche sessanta…mi avete capito…!
La mia risposta è personale e perciò mi coinvolge totalmente. Abbiamo detto che la vita religiosa è una risposta globale o radicale a tutte le esigenze del Vangelo, perciò coinvolge -lo ripeto perchè mi pare necessario- coinvolge tutto me stesso non soltanto una parte, non soltanto fino ad un certo punto. Ci sono quelli che hanno paura “andare a fondo” non si sa mai… certo, col Signore bisogna stare attenti…perchè prende in parola. Però, fintanto che non abbiamo detto l’ultimo “si”, non abbiamo detto tutto al Signore. E Lui non ha detto tutto il suo “si” a noi, perchè noi non gli permettiamo di dirlo, perchè lui non fa senza di noi. Guardate che l’atteggiamento di Dio, nei nostri confronti, è quello del rispetto assoluto della nostra persona, della nostra individualità che non ha soltanto le caratteristiche psichiche, intellettuali, è il complesso di tutta la nostra personalità. Dove si annoda la nostra personalità non lo sappiamo neppure noi anche se diciamo che abbiamo inclinazione per …sono inclinazioni ma non definiscono la nostra personalità. Quando io soddisfi anche a tutte le mie inclinazioni, non per questo io ho realizzato la mia personalità perchè la mia personalità è qualche cosa di più ricco, di più totalizzante sia il mio essere, sia la mia esistenza.
E fin tanto che io non ho detto il mio “si” neppure Dio può dire il suo “si” nei miei confronti. Cioè, fare fluire in me tutto quel cumulo sovrabbondante di doni che ha preparato per il suo Figlio, la sua figlia prediletta. Non si può restare a mezz’aria. Non si può stare col piede in due scarpe, come non si può servire due padroni. Il Vangelo è esigente. Taglia, rompe: “lascia che i morti seppelliscano i morti”, “se il tuo occhio ti scandalizza, strappalo”… e soprattutto -permettete di rilevare- vuole il cuore. Dio vuole il cuore. Lo dice espressamente :”da mihi cor tuum”. Il cuore nella Bibbia non ha il significato che ha da noi. Il cuore nella Bibbia corrisponde all’intimo più profondo di noi stessi, là dove si dicono i “si” più veri, i “si” più pieni, più incondizionati, più gioiosi, più rischiosi. Di fatti la salvezza consisterà in questo: che effonderà su di noi il suo Spirito al punto di strappare dal nostro petto il cuore di pietra e porvi un cuore di carne. Un cuore umano. E lui vuole il nostro cuore. Questo vale molto per tutto il sociologismo che circola nei nostri ambienti, dove si vuole promuovere l’uomo con la casa, con la macchina, con lo stipendio…buone cose che se ci sono e se sono usate rispettando la signoria di nostro Signore Gesù Cristo, non sono un male, sono un dono di Dio…..ma l’uomo si costruisce nel cuore. Perchè Dio vuole il cuore? Perchè l’uomo si costruisce nel cuore. L’uomo vale per quello che è nell’intimo, nel profondo di se stesso. Non perchè porta la pelliccia di visone o di talpa o di coniglio…
La risposta della Fede deve essere una risposta personale che rispetta il piano di Dio, il quale non vuole santificare e salvare individualmente come se non avessimo nessun rapporto con gli altri ma vuole fare di tutti noi un solo corpo, una sola famiglia.
Un solo corpo, un solo tempio. Ecco la dimensione ecclesiale della nostra risposta di Fede. Dobbiamo darla insieme ma ognuno deve fare la sua nota! Ognuno in quel “cantus firmus” che è il “si”, lo deve dire a suo modo. Non siamo una gabbia di scimmie. Non siamo una massa. Non siamo un popolo nel senso demagogico della parola. Siamo il popolo di Dio che ha una qualifica ben distinta: è fatto di persone. (trambusto in sala)
@@@@@@@@@@ Rivolgiamo il pensiero a quei poveretti…….
Vi ricordate, perchè lo abbiamo già ripetuto, che la Chiesa ripete, qui in terra, l’immagine della vita di Dio: quella di essere un Dio solo in tre persone, ma tre persone ben distinte. Il Padre non è il Figlio, il Figlio non è il Padre, lo Spirito Santo non è nè il Padre nè il Figlio. Eppure il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio.
Dove ne va della distinzione, dove ne va della personalità di ciascheduno, dove la personalità degli altri o la persona degli altri è gestita da un altro, o dove la propria personalità è gestita da un altro, non siamo più nel piano di Dio, non siamo più nella Chiesa. E, nella Chiesa, il così detto potere, l’autorità ecc. deve essere un servizio per la crescita del corpo di Cristo. E il corpo di Cristo si edifica con la crescita non del numero ma delle caratteristiche personali delle membra che lo compongono. Come sono trascurati questi principi! Come abbiamo tutti la tentazione d’avere la massa…di averli tutti…proselitismo, certe forme di propaganda che non sono certamente evangelizzazione… il grande rischio che corriamo di voler tenere tutti, di voler tenere gli stessi livelli numerici, di presenze, di frequenze e non curiamo la qualità, e non curiamo la persona, e non curiamo lo sviluppo della persona, non la responsabilizziamo la persona, non le diamo la parte che le spetta da compiere, nella somma di quei ministeri che sono dati per la edificazione della Chiesa. il Concilio dice con chiarezza, mi pare nel capitolo terzo “i sacri pastori” sanno molto bene che non possono portare avanti da soli la missione di Nostro Signore Gesù Cristo ma che tutti i battezzati, i credenti godono dello stesso diritto e delle stesse responsabilità.
Una risposta personale, ecclesiale proiettata sul futuro.
Per il cristiano il reale, il fattibile, il da farsi, è quello che non c’è ancora, è quello che non è ancora fatto. La così detta dimensione escatologica, la dimensione della speranza, la dimensione della promessa. Noi siamo il popolo della promessa. Noi abbiamo davanti a noi la promessa, cioè tutto un mondo ancora da realizzare, tutta una Chiesa ancora da realizzare, tutta una persona ancora da realizzare, tutta una vita ancora da realizzare. Voi siete giovani….io sono vecchio… ma niente…Nel regno di Dio non ci sono queste categorie. Vi ricordate la parabola della chiamata degli operai perchè vadano a lavorare nella vigna? Chi ci va all’ora di terza, chi di sesta, chi di nona e poi ricevono tutti la stessa mercede. Una bella storia. Cioè, non è il tempo cronometrico quello che decide di una esistenza. E’ il tempo della speranza, è la intensità della speranza, è l’essere proiettati sull’avvenire, sul futuro. E’ il guardare avanti: “chi pone mano all’aratro e si volta indietro non è adatto per il regno dei cieli. Mussolini diceva chi si ferma è perduto”!