Incontro con i sacerdoti -giovedì 22 maggio 1969

della diocesi
Con lo spirito di fede che deve essere vivo in noi sacerdoti pensiamo che in ogni nostro incontro con la Parola di Dio si verifica l’evento storico della salvezza, che si è compiuto pienamente la prima volta nel cenacolo con la presenza di Maria in mezzo agli apostoli, quando sono stati gratificati del dono dello Spirito Santo ed in seguito alla grazia del dono dello Spirito Santo è avvenuta la trasformazione, quella nuova creazione nelle loro persone che ha fatto di loro gli autentici apostoli di nostro Signore Gesù Cristo.
Non è qui il caso di soffermarci sulla trasformazione che ha compiuto lo Spirito Santo nella persona degli apostoli in seguito alla sua venuta. Gesù lo aveva promesso. Gesù, possiamo dire, l’aveva conferito in modo sacramentale con l’imposizione delle mani, ma la maturazione di questo evento coincide con il giorno di Pentecoste. Siamo nel tempo che la devozione della chiesa dedica a Maria Santissima, quindi possiamo pensarla in mezzo a noi in un modo del tutto singolare, proprio per questo spirito che c’è in tutta la chiesa che si rivolge a lei.
Siamo alla vigilia di Pentecoste. Siamo sacerdoti. Siamo stati costituiti sacerdoti per l’imposizione delle mani, quindi lo Spirito Santo ci è stato dato. E’ necessario che questo Spirito porti i sui frutti in noi attraverso un incontro personale con Lui, che diventi sempre più cosciente, sempre più vivo, che abbia un’incidenza sempre più forte nella nostra persona, nella nostra esistenza. Io vi propongo una breve meditazione proprio sul nostro sacerdozio.
Il sacerdozio oggi è contestato, così come sono contestate tutte le realtà. Il sacerdozio è contestato dal “di fuori” e dal “di dentro”. Sono due i grandi punti di contestazione del sacerdote oggi: quale è la sua missione specifica, quindi qual è il compito specifico nella chiesa e quindi i suoi poteri sacramentali e qual è la sua situazione sociologica. C’è un’immagine sociologica del prete che corrisponde ai tempi attuali della vita del mondo e della Chiesa, in quest’ora di grandi e profonde trasformazioni?
Sono interrogativi molto gravi e molto seri. Anche se non ci toccano personalmente da vicino, sono operanti nella Chiesa e, in un modo o in un altro portano delle conseguenze a volte in modo inavvertito, anche quando non lo vogliamo, ed è per questo che diventa doverosa una ricerca chiara di ciò che comporta l’esercizio del nostro ministero.
Cerchiamo di non distaccare questo incontro dal lontano incontro dell’altro ritiro, quando abbiamo cercato di scoprire: – il rapporto che esiste tra i grandi misteri del cristianesimo, nei quali dobbiamo muoverci e la nostra vita spirituale, – il mistero della chiesa, nel quale si incentra tutto il piano della volontà di Dio, verso cui deve essere diretta la nostra vita spirituale, che deve diventare sempre di più spiritualità ecclesiale, – e il nostro ministero che ha come scopo specifico la edificazione della chiesa.
La chiesa è quella realtà che sappiamo, perché porta nel suo profondo il mistero trinitario, che è l’origine prima della vita e della esistenza della chiesa ed è il modello supremo della vita della chiesa: come comunione di Persone che raggiunge l’unita di un Dio solo, vuole esprimersi nella unità non soltanto morale – non certamente fisica – delle persone che compongono il Popolo di Dio. L’unità che deve essere operata dalla carità soprannaturale e quindi da una azione personale delle Divine Persone nella nostra vita, nella nostra esistenza e quindi nella nostra persona stessa.
Il momento di incontro più intenso e più decisivo dei due misteri della Chiesa e della Santissima Trinità, e quindi della esistenza nostra come membri del Popolo di Dio, e della esistenza delle Divine Persone, é il momento della celebrazione eucaristica. Nella celebrazione eucaristica non si tratta soltanto: della cena del Signore o del sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo o della cena sacrificale istituita da Gesù Cristo. Gesù Cristo nella celebrazione eucaristica è sempre il Figlio del Padre, mandato dal Padre perché salvi il mondo, e quindi donato al mondo, proprio per noi personalmente, “sic nos dilexit” nell’ attimo, nel momento, nell’attualità della celebrazione eucaristica.
Nell’attualità della celebrazione eucaristica Gesù Cristo non si offre soltanto come ostia di redenzione e come ostia di lode al Padre, ma porta a compimento, – proprio nella celebrazione eucaristica – la volontà del Padre di unificarci tra di noi come fratelli, di unificarci nella comunione con lui e nella comunione tra di noi. Nell’attualità della celebrazione eucaristica Gesù Cristo è costituito dal Padre Capo del Corpo che è la Chiesa. Tutto questo avviene per l’azione compiuta storicamente da nostro Signore Gesù Cristo , e per la missione che compie attualmente lo Spirito Santo, che porta alla perfezione l’opera del Padre e del Figlio, che è appunto quella di unificarci a Cristo, e per mezzo di Cristo al Padre, e di unificarci tra di noi nella carità.
Questo è, sommariamente, il tema della nostra prima meditazione che doveva essere una indicazione fondamentale per la nostra vita spirituale e per il nostro ministero. Ma, dove si colloca il nostro ministero? Se noi ritorniamo al mistero della Chiesa sappiamo che si definisce in vari modi. Oggi in seguito al magistero del Concilio, essendo ritornati a definire la Chiesa non semplicemente come società divina, ma come mistero,costituita quindi da realtà invisibili e da elementi visibili, ci ha riportato al linguaggio biblico. Il linguaggio biblico, la Sacra Scrittura, ci propone il mistero della Chiesa attraverso le figure, le immagini, le metafore.
Le metafore che descrivono la Chiesa sono molte appunto perché si tratta di un mistero, che non è mai sufficientemente descritto e non solo definito. Ognuna di queste metafore accentua particolarmente un aspetto del mistero e non esclude mai gli altri. Possiamo anche dire: tutte le metafore delle quali si serve la Sacra Scrittura per descrivere il mistero della Chiesa, puntualizzano questo mistero come mistero di unità nell’amore, come mistero di unità nella carità. Quindi, la nota dominante e caratteristica della chiesa è la sua unità nella carità. Il Concilio, pur avendo accennato a tutte le metafore bibliche, ha sviluppato particolarmente quella che descrive in modo più ampio il Popolo di Dio. Volendo si possono fare entrare anche le altre immagini.
Siccome oggi siamo tutti Popolo di Dio, dove si colloca il sacerdote? Dove si colloca il ministero del sacerdote, la funzione del sacerdote? Questa immagine è la più comprensiva della descrizione della chiesa ma non é l’unica. Se la Sacra Scrittura ci avesse dato soltanto questa immagine non ci avrebbe dato la descrizione della chiesa come l’ ha concepita Iddio, come l’ ha realizzata e attuata nostro Signore Gesù Cristo e come la fa continuare lo Spirito Santo. Quindi, non bisogna mai dimenticare, e bisogna sapere dire, bene, ai nostri fratelli in Gesù Cristo, membri come noi del Popolo di Dio, che dobbiamo prendere in considerazione tutte le altre immagini, per quanto possibile simultaneamente, per avere una visione completa, per quanto è possibile a creature umane, di un mistero che ci trascende infinitamente.
L’immagine del Popolo di Dio accentua ciò che è proprio di tutti i membri del Popolo di Dio. Quindi: tutti hanno come capo Gesù Cristo, dato a morte per i nostri peccati e risuscitato per comunicarci una nuova vita; tutti – dal papa ai bambini- hanno una unica dignità di figli di Dio e la libertà di figli di Dio; tutti hanno come mèta il regno di Dio già incominciato nel mistero su questa terra, che sarà portato a compimento con l’ultima e definitiva venuta di nostro Signore Gesù Cristo; tutti sono sottoposti ad una unica legge: la legge dell’amore per amarci come ci ha amato nostro Signore Gesù Cristo tutti hanno la responsabilità di lavorare, di portare a compimento la edificazione della chiesa, quindi: perché si stabilisca definitivamente il regno di Dio nel mondo. Qui, tutti siamo su uno stesso piano con le stesse responsabilità, con le stesse grazie, con gli stessi doni. Qui, siamo tutti sottoposti alla medesima legge, quindi siamo <u<tutti< u=””>uguali!
Se noi ci soffermiamo soltanto su questa immagine non troviamo la nostra collocazione, non troviamo il posto del nostro ministero. Dobbiamo passare ad altre immagini. L’altra immagine che pare ci riguardi, e che è sufficientemente sviluppata dal Concilio, è quella del Corpo di nostro Signore Gesù Cristo. La Chiesa è il Corpo di nostro Signore Gesù Cristo. In questo corpo ci sono molte membra ma il corpo è uno solo. In questo corpo ci sono molte funzioni ma sono le funzioni di un unico corpo. Tutte le funzioni che ci sono in questo corpo concorrono alla edificazione dell’unico corpo di nostro Signore Gesù Cristo. In questa immagine c’è una distinzione di funzioni, però per un unico Corpo che ha come Capo nostro Signore Gesù Cristo.
Ciò che importa, è precisare la posizione che ha nostro Signore Gesù Cristo nei confronti del suo corpo che è la Chiesa. Gesù Cristo è il capo. Gesù Cristo é la sorgente. Cosa vuol dire? Siamo in una metafora e non bisogna prenderla in modo letterario altrimenti non si esprime ciò che si vuole dire. Gesù Cristo è il capo, Gesù Cristo é la sorgente, vuole dire che da Gesù Cristo prendono vita tutte le membra del corpo. Tutto è nel Capo. Tutto deriva dal Capo. Tutto è per il Capo. Gesù Cristo, nei riguardi del suo corpo che e la chiesa, ha questa primaria insostituibile funzione di essere: la sorgente della esistenza, della vita, e della attività del suo corpo. Tutto deriva da nostro Signore Gesù Cristo.
Non c’è nessuna realtà ecclesiale, come non c’è nessuna realtà salvifica, che non venga da nostro Signore Gesù Cristo. Per questo motivo Cristo è capo, Cristo sta al di sopra, Cristo è il primogenito, Cristo è la testa, Cristo è il principio e la fine da cui deriva e a cui tende tutta la ragione di essere o di agire del corpo. Quindi c’è una supremazia di nostro Signore Gesù Cristo. Quindi esiste una signoria vitale, esistenziale, funzionale di nostro Signore Gesù Cristo data dal Padre per il corpo che è la Chiesa.
A questo punto facciamo un piccolo passaggio.
Il Popolo di Dio: – ecco come le figure bibliche si intrecciano fra di loro, sono complementari, non stanno l’una senza l’altra – il Popolo di Dio è un popolo sacerdotale, profetico, regale. Il Popolo di Dio, la Chiesa, è un popolo singolare. Non è una società civile o politica. E’ una entità eminentemente religiosa che ha quindi la funzione di dare lode a Dio, di annunziare Dio perché sia conosciuto e di sottomettere tutto e tutti al dominio di Dio. Per Gesù Cristo Capo, profeta, sacerdote e re, sono membra del Corpo di Cristo che partecipando alla funzione profetica, sacerdotale e regale di nostro Signore Gesù Cristo, diventano membri investiti di una missione profetica sacerdotale e regale. Tutto deriva da nostro Signore Gesù Cristo.
Volendo riassumere queste tre espressioni in una unica espressione: il Popolo di Dio è un popolo sacerdotale per il sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo perché partecipa al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, perché è innestato nel sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, perché diventa sacramento, strumento, segno dell’unico sacerdozio che è quello di nostro Signore Gesù Cristo.
In che modo il Popolo di Dio può partecipare al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo? Nel modo stabilito da lui: tutto è dono, tutto è grazia, tutto è gratuito, niente è dovuto. Noi siamo l’oggetto della liberalità sovrana dell’infinito amore di Dio. Noi abbiamo tutto da lui e quindi anche i modi, che sono modi di grazia e di salvezza, sono stabiliti da lui nella organizzazione – diciamo così – del suo popolo.
Allora il popolo sacerdotale partecipa al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo per mezzo del sacerdozio ministeriale.
Gesù Cristo esercita il vertice del suo sacerdozio con il sacrificio della Croce e stabilisce nel mondo, e istituisce nella chiesa un nuovo sacerdozio, quello secondo l’ordine di Melchisedec, che si esprime nei segni del pane e del vino, ma che si celebra non più con le cose e con i riti ma nella persona stessa di nostro Signore Gesù Cristo, che è sacerdote e vittima del proprio sacrificio. E’ una novità.
Gesù Cristo non prende qualche cosa “al di fuori di se” per offrirla al Padre. Come segno di espiazione, di impetrazione, offre se stesso. La sua offerta ha un valore infinito. La sua offerta è irripetibile perché ciò che è infinito non ha bisogno di aggiunte. Ha bisogno semmai, essendo un evento storico di salvezza, di avere la sua continuazione nel tempo, nella celebrazione rituale.
Allora, anche il sacerdozio del Popolo di Dio non si sostituisce al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo. Possiamo anche dire: non aggiunge nulla al sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, non dà al Padre una lode più grande di quella offerta da nostro Signore Gesù Cristo. Il sacerdozio del Popolo di Dio che entra nel sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, estende nel tempo e nello spazio l’unico sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo.
Ma, anche questo sacerdozio analogo a quello di nostro Signore Gesù Cristo, che ha le sue origini, la sua sorgente nel sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo è come quello di Gesù Cristo: un sacerdozio che si consuma o che consuma il proprio sacrificio nella propria persona: nella persona di ciascheduno, nella vita di ciascheduno, nella offerta della esistenza di ciascheduno.
Gesù Cristo ha offerto se stesso. Nella offerta di se stesso che ognuno di noi compie sull’esempio di Gesù Cristo dando valore al proprio sacrificio personale, rende questo sacrificio accetto e gradevole a Dio per la sua partecipazione, per il suo innesto nel sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo. E, questo innesto nel sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo avviene appunto per il ministero sacerdotale, per l’esercizio del sacerdozio ministeriale. Qui è il nostro posto.
il popolo di Dio: la funzione sacerdotale-la missione profetica – la funzione regale
Ma, siccome abbiamo riassunto la triplice funzione di nostro Signore Gesù Cristo con una unica espressione “funzione sacerdotale”, – così quella del Popolo di Dio – non dimentichiamo che questa funzione sacerdotale- suppone, esige, soprattutto unifica, esprime nel modo più intenso, più forte, più efficace, tanto la missione profetica come la funzione regale.
La funzione sacerdotale che nella Chiesa si esprime per mezzo della celebrazione liturgica, e quindi con i segni sacramentali, è la parola più alta, più definitiva, più completa, più carica che esista tra le parole di Dio. Quindi il sacrificio: l’esercizio del sacerdozio in nostro Signore Gesù Cristo è l’apice del profetismo. Gesù che viene per compiere la volontà del Padre esprime questa sottomissione al Padre, – che è l’annuncio di tutto il suo vangelo-, con il mistero della sua pasqua. Così nella chiesa, ogni parola di Dio, ogni azione profetica è anche una azione sacrificale, cioè: azione che ci riporta a Dio, azione che ci distacca dal mondo, azione che ci distacca da noi stessi e ci unisce più intimamente a Dio, azione che ci fa partecipare, quindi, al sacerdozio: all’ultima parola di nostro nostro Signore Gesù Cristo.
L’azione profetica come l’azione sacerdotale contiene la forza e la grazia della sottomissione a Dio. Ecco la funzione regale: sottomettere prima di tutto noi stessi a Dio, aiutare i nostri fratelli a sottomettersi a Dio per la grazia contenuta nella parola e nel sacramento, impegnare tutti noi e i nostri fratelli a sottomettere tutto il creato a Dio. Ecco, quindi, come la funzione sacerdotale comprende la triplice funzione -che troviamo in nostro Signore gesù Cristo, – che è del Popolo di Dio, – che ha il punto di congiunzione, la possibilità di innesto, nel nostro ministero di sacerdoti.
Il nostro ministero di sacerdoti che va concepito però come ministero profetico che ha la sua ultima espressione nell’esercizio del ministero liturgico sacramentale e ha la sua conclusione nell’esercizio del potere regale di sottomettere noi stessi e gli altri a Dio. Ma, non siamo noi che sottomettiamo. E’ Cristo che sottomette per mezzo del nostro ministero. Sono le funzioni sacerdotali di Cristo che fanno dei membri del Popolo di Dio l’ostia vivente, – di ogni membro in comunione con tutti i membri del Popolo di Dio- , che con nostro Signore Gesù Cristo è offerta al Padre.
Allora l’esercizio del nostro ministero si esprime meglio come ministero profetico che come ministero sacerdotale. Intendiamoci bene. Il ministero sacerdotale può essere inteso soltanto in senso rituale o di funzione. Ogni gesto della vita del sacerdote, in particolare i gesti tipicamente della vita sacerdotale, devono mantenere la loro natura profetica di parola di Dio. Difatti ogni sacramento è specificato, è autenticato, è definito nel suo scopo particolare, dalla parola che dà senso alla materia. L’acqua a quante cose può servire ma prende un significato particolare. Così il pane, l’olio il vino.
Così che, quando si tratterà a suo tempo di cercare il motivo professionale della nostra esistenza, lo dovremo cercare principalmente nella funzione profetica nostra specifica che si impegna noi confronti della parola di Dio. Un impegno nei confronti della parola di Dio è un impegno totale. E’ un impegno totale come tempo. Noi non avremo mai tempo a sufficienza per impegnarci a scoprire, a meditare, ad approfondire, a possedere, a comprendere la parola di Dio. Noi non avremo mai tempo a sufficienza per l’esercizio di questo ministero che è il nostro ministero. San Paolo dice che è stato “mandato” e lo esprime in un modo paradossale ma dice una cosa profondamente vera.
La funzione profetica impegna la nostra esistenza sul piano ascetico morale di esistenza che si qualifica da questo ministero perché, ad un certo punto, diventiamo “segno” della parola che annunziamo. Siccome noi annunziamo tutta la parola di Dio dobbiamo essere “segno” di tutta la parola di Dio.
Qui credo che si debba trovare la parola profonda e definitiva del celibato. L’esercizio della funzione profetica spinge al massimo la maturazione professionale nostra: per diventare sempre più capaci di esercitare questa funzione profetica. Le rubriche della messa si imparano presto. Come si amministra un sacramento è presto conosciuto. Intendere la parola di Dio, possederla in modo vitale, trasmetterla agli altri, non è mai portato a termine, non è mai esaurito. Non potremo mai dire di saperlo bene come esigono le necessità degli altri, come lo esige il più grande, il massimo dei compiti che sia affidato ad una persona in questo mondo, che è quello della salvezza degli altri.
OM 219 Sacerdoti 69 – Incontro con i sacerdoti -giovedì 22 maggio 1969 –
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