Chiamati ed ammessi alla comunione di vita con Dio
é il termine della conversione
La conversione non riguarda semplicemente le nostre disposizioni morali, la nostra condotta. La conversione è entrare nel fatto della salvezza compiuta da nostro Signore Gesù Cristo, è entrare nel misero di questa salvezza per esserne partecipi, come condizione del nostro essere e non semplicemente come disposizione del nostro sentire e del nostro pensare e operare.
Per fare bene il nostro ritiro, é decisivo il nostro incontro con Dio che opera la nostra riconciliazione con Lui e con i nostri fratelli, attraverso nostro Signore Gesù Cristo, nel suo sangue. E’ decisivo che la nostra fede si incontri con Dio che opera questa nostra trasformazione. E’ decisivo che ci mettiamo in atteggiamento di preghiera perché, Dio sia libero di compiere la nostra trasformazione, la nostra conversione. E’ decisivo che ci disponiamo con tutta docilità all’azione che lo Spirito Santo vuole compiere attraverso il ministero della Parola.
Gesù Cristo dice ai suoi apostoli: voi siete tutti mondi per la Parola che avete ascoltato. Noi, nell’ascolto della Parola, nella celebrazione liturgica della Messa e nella recita del breviario ci incontriamo con Dio il quale, con la potenza della sua grazia opera in noi. E noi dobbiamo metterci nell’atteggiamento di ascolto per poterlo intendere, nell’atteggiamento di lasciargli la libertà di agire, nell’atteggiamento di impegno per essere in sintonia con Lui.
Raccogliamo la nostra attenzione sul tema della conversione e della penitenza come ci è proposto dalla Parola di Dio: la conversione e conseguentemente la penitenza che, nella condizione di peccato, é strettamente e intrinsecamente legata alla conversione.
La conversione va intesa nel senso di riconoscere la nostra condizione di peccatori. Riconoscere di essere peccatori significa che, per quanto é in noi, noi siamo lontani da Dio nella radicale incapacità di ritornare a lui, siamo anche lontani dai nostri fratelli e nella reale incapacità di riconciliarci con loro. La conversione é il momento di grazia in cui, decidiamo di tornare verso Dio e verso i fratelli, cioè di ritornare nell’ambito dei giusti rapporti con Dio e con i fratelli.
Quindi, la conversione sta nel riconoscimento di essere lontani da Dio, perché sappiamo che Dio é amore e ci ama in quanto siamo peccatori, e siamo peccatori in quanto siamo lontani dall’amore per Dio. C’è da notare che non conta sufficientemente l’amore di Dio in noi, che non siamo sufficientemente impegnati ad amare Dio se non siamo sufficientemente impegnati ad amare i figli di Dio che sono i nostri fratelli. La conversione sta nel senso di un mutamento continuo del più profondo di noi stessi e non una volta per sempre che ha di conseguenza, le sue manifestazioni nel comportamento pratico.
La conversione va intesa in tutti questi significati che si ricavano dai testi della Rivelazione “sine qua non”, perché si possa realizzare il Piano di Dio.
Il Piano di Dio si realizza in noi in proporzione della nostra conversione. Il Piano di Dio ha un punto di partenza nel suo amore di Padre, e possiamo dire che il Piano di Dio è la paternità di Dio. Il punto di arrivo siamo noi che Dio vuole fare i suoi figli. La conversione opera l’attuazione progressiva della nostra figliolanza divina. Possiamo dire che la conversione e la penitenza che l’accompagna sono la condizione perché l’amore paterno di Dio raggiunga la sua fecondità della nostra figliolanza divina.
Per intendere il senso, l’estensione, la profondità, la continuità della conversione e della penitenza che l’accompagna,é indispensabile partire dai due punti che abbiamo accennato: la paternità di Dio, la nostra figliolanza adottiva nella condizione storica di peccato.
Il punto di partenza é la paternità di Dio. Noi, questa sera, domandiamoci con quanta più libertà possibile, quanto conta, quanto influisce, che cos’è, che cosa opera in noi, che significato ha per la nostra vita il fatto che Dio sia nostro Padre. La Rivelazione ci mette di fronte a questa realtà. Non ci presenta Dio come purtroppo lo abbiamo definito nei nostri manuali di teologia. Dio non é semplicemente l’essere perfetto, assoluto, trascendente. Dio non é semplicemente i suoi attributi, siano essi pur tanti. Il Dio della Rivelazione, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, é il nostro Padre.
Questo Padre, nei nostri confronti, vuole avere la soddisfazione della paternità che é nelle esigenze più profonde della persona. Sappiamo che Dio esaurisce questa esigenza nella generazione eterna del Figlio, splendore della sua sostanza, immagine di ciò che Egli é. Ma la paternità, la gioia di comunicare se stesso a qualcuno, perché possa essere ciò che egli concepisce, vuole averla anche nei nostri confronti. Nel Figlio suo ci ha fatto figli suoi.
Troviamo nel vangelo la paternità di Dio, rivelata attraverso le figure e le parabole, ma non so se abbiamo sufficientemente fatto caso nella parabola del figlio prodigo, alla gioia del padre per il figlio perché era morto ed é rinato, era perduto ed é stato ritrovato. Allora fa una grande festa perché uno che era stato chiamato figlio di Dio, dopo avere rifiutato la paternità di Dio, ritorna a casa.
Questa insistenza sulla paternità di Dio non é mia. E’ l’insistenza della Rivelazione. Se per noi Dio non é Padre, se per noi Dio non é il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, non é il nostro Dio. Perché questo Dio sia tutto per noi, non può esserlo che nel senso della sua paternità. Solo dalla paternità di Dio deriva il suo amore. Egli ci ama. Egli ci ama proprio in conseguenza della sua paternità sancita nella incarnazione del Figlio suo unigenito. Non é che la paternità possa esserci o non esserci. La paternità di Dio é il suo amore per noi che essendo un amore paterno nei nostri confronti di creature soggette ai limiti, alle debolezze, alla fragilità e alle conseguenze dei limiti e delle fragilità, diventa compassione nel senso giusto e si esprime in tenerezza.
Il suo amore diventa bontà che equivale a fare il bene, a procurare il bene. San Paolo esprime tutto questo dicendo: che cosa non ci darà il Padre nostro dal momento che ci ha dato il Figlio suo? E leggiamo ancora: tutto é vostro. Ecco la bontà di Dio. Non c’é nessun bene che Dio non ci voglia dare con lo slancio e il desiderio di un padre nei confronti di un figlio.
La sua bontà per noi lo porta ad essere premuroso. Egli é più tenero di una madre. La sua premura é espressa nei documenti della Rivelazione, per esempio, nella ricerca di ciò che era perduto: la dracma, la pecorella.
La sua bontà si esprime in misericordia. La misericordia di Dio non sta nel fatto di perdonarci una volta. Egli é fedele al suo amore di padre nei nostri confronti. Dal momento in cui ci ha eletti, quando eravamo ancora nei nostri peccati, sa che siamo dei peccatori quindi, la sua misericordia é la manifestazione della sua fedeltà alla promessa di salvarci, di trasferirci dalla schiavitù di peccato alla condizione di figli suoi.
Così ci troviamo per l’impegno della Parola di Dio dinnanzi a un Dio per gli uomini.
Vi chiedevo, al principio, quale importanza e quale incidenza ha la paternità di Dio nella nostra persona, nella nostra vita, nel nostro ministero. La concepiamo così? La presentiamo così? Padre Congar dice che nel mondo di oggi ci sono degli uomini senza Dio perché noi abbiamo predicato un Dio senza uomini, un Dio lontano e disinteressato degli uomini. Noi, per salvare gli attributi e le prerogative di Dio abbiamo perduto di vista gli uomini per i quali Dio é Padre.
Questo deve essere un punto di partenza per un orientamento della nostra vita verso Dio.
– Sappiamo che Dio vuole fare di noi i suoi figli.
– Essere figli di Dio é il nostro essere cristiani, é la nostra costituzione personale di cristiani
– Il fatto di essere partecipi della natura di Dio fa di noi delle creature nuove
– Siamo figli di Dio non perché compiamo le opere di Dio ma perché Dio ha fatto di noi l’opera sua.
– Ha fatto di noi le creature nuove, che allora, sono in condizione di compiere le opere di Dio.
– Non sono le nostre opere buone che ci fanno figli di Dio. – E’ lui che ci fa capaci di compiere le opere buone dei figli di Dio.
Noi siamo costituiti così da un’azione di Dio che si compie nei sacramenti del Battesimo e della Cresima. Siamo nati da Dio! Siamo figli di Dio non di nome, ma di fatto! Siamo nati da Lui e quindi siamo suoi eredi, chiamati ed ammessi alla comunione di vita con Dio. E’ la terminologia di san Paolo.
Pensate che cosa significa: chiamati ed ammessi alla comunione di vita con Dio! Questo é il termine della nostra conversione. Stiamo parlando dei motivi che devono determinare una conversione e che ci debbono fare abbracciare la penitenza. Ammessi alla comunione di vita con Dio! La condizione di vita delle Divine Persone diventa la condizione di vita della nostra persona. In un modo misterioso, inconcepibile, indescrivibile! Nessuna lingua può dire ciò che abbiamo affermato della Parola di Dio. Nessuna mente può concepire ciò che Dio ci propone con certezza:chiamati ed ammessi alla comunione di vita con Dio!
Siamo chiamati ed ammessi alla comunione di vita con Dio e chiamati a realizzare la comunione di vita tra noi. Non separiamo mai i nostri rapporti con Dio dai nostri rapporti con i fratelli, perché questa é la natura delle cose nuove: ogni uomo é mio fratello, perché é figlio di Dio, perché la paternità di Dio si protende su ogni creatura umana. Si capisce allora, come la conversione sia un fatto religioso morale che non riguarda semplicemente i nostri rapporti con Dio,ma sia un convertirci a ciò che é Dio per l’uomo. Se Dio per l’uomo é padre, non ci si converte al Padre senza convertirci nei confronti dei figli di questo Padre, quindi nei confronti dei nostri fratelli. La paternità di Dio e la nostra figliolanza adottiva sono il punto di partenza e il punto di arrivo della nostra conversione e della nostra penitenza, per la nostra condizione di peccato.
Che cos’è la condizione di peccato? E’ la condizione che impedisce a Dio di essere padre, é bloccare la paternità di Dio per quanto dipende da noi. Cosa sono la macchia, la colpa, l’offesa? C’é molto di più nel rifiutare di essere per Dio ciò che egli vuole essere per noi. Non é semplicemente il rifiutare di essere obbedienti. Può essere obbediente anche uno schiavo. Non é semplicemente rifiutare la legge. La legge si può osservare anche per timore. La motivazione del nostro pentimento deve essere un’altra. Il peccato per il cristiano é più di una semplice trasgressione della legge.
La volontà di Dio non é una volontà che si può esprimere nella legge.
La volontà di Dio si esprime nella grazia, nell’amore.
La volontà di Dio si esprime nella paternità di Dio.
La volontà di Dio si esprime nella partecipazione alla natura di Dio per noi che siamo chiamati a nascere da Dio.
Pensiamo che in mezzo a tutto questo che in qualche modo abbiamo richiamato, ci sta la persona e l’opera di nostro Signore Gesù Cristo, ci sta il valore e il peso di tutto ciò che é nostro Signore Gesù Cristo, di ciò che ha fatto e vuole fare nostro Signore Gesù Cristo.
Dio é Padre e noi siamo i suoi figli, non per un decreto astratto della sua sovrana libertà, ma per un impegno concreto, personale, storico, esistenziale di nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo che muore in croce per portarci una vita nuova garantita dalla sua risurrezione e per essere stato costituito dal Padre Signore di tutto.
Vi ho detto alcuni pensieri che possono servire ad introdurci nell’incontro con Dio che vuole operare la nostra conversione attraverso la croce: attraverso la penitenza.
OM 391 sacerdoti 71 – Santa Teresa 23-3-71