ha lo scopo di portare Dio in mezzo agli uomini
prima che di portare gli uomini a Dio
Penso che conosciate il tema prescelto per questo nostro ritiro in preparazione della solennità del Santo Natale e quindi del tempo di avvento.
Si tratta del tema oggi così vivo, così attuale e discusso nientemeno che da un sinodo: il ministero sacerdotale.
Volutamente, su indicazione di qualche cosa che ho avuto occasione di leggere, metto in evidenza che noi parliamo del ministero sacerdotale che forse accentua meglio la realtà di cui vogliamo parlare e tralascio l’altra espressione “sacerdozio ministeriale”. Senza dubbio, almeno su questo tutti siamo d’accordo. Noi dobbiamo vedere la nostra identità e quindi lo scopo della nostra esistenza, ciò che qualifica la nostra vita: il ministero sacerdotale nella sua sorgente, nella sua fonte, nel suo modello, nella sua espressione autentica che è nostro Signore Gesù Cristo.
Questa sera ci soffermeremo nella nostra preghiera, nella nostra meditazione, proprio sulla persona di Gesù Cristo principalmente come ci è presentata dal vangelo. Qualche accenno alla riflessione delle lettere di san Paolo. Un accenno brevissimo, può darsi che sia l’unico, alla lettera agli Ebrei per scoprire nel modo più concreto possibile e quindi nel modo più autentico, nel modo più essenziale e nello stesso tempo più esistenziale il ministero cristiano. Ripeto nella persona stessa di nostro Signore Gesù Cristo.
Gesù Cristo è Figlio di Dio ed è il figlio dell’uomo, è Dio ed è uomo. E’ un fatto inaudito. Dopo questo termine “inaudito” possiamo dire una serie di aggettivi per dire come sia un fatto inconcepibile dal punto di vista della ragione umana che, in un’unica persona ci sia Dio e ci sia l’uomo. Ed è proprio in questo fatto che si verifica il sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo perché, il sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo ha come scopo di portare Dio in mezzo agli uomini prima che di portare gli uomini a Dio.
Ricordiamo sempre che la storia della salvezza, il cristianesimo, è prima discendente e poi ascendente: Dio in mezzo agli uomini, Dio invisibile che diventa visibile, non può essere in mezzo agli uomini in modo più concreto, più reale, più profondo e vero che nella Persona che è nello stesso tempo Dio e uomo. Questo radicalmente, ontologicamente e poi in un modo storico esistenziale, questo uomo che è il Figlio di Dio ha conversato con gli uomini, è nato su questa terra -sappiamo le circostanze che ci hanno registrato gli evangelisti – è vissuto da ragazzo, da adolescente, da giovane, da adulto ed è stato un uomo normale in tutto simile ai suoi fratelli tanto che desta meraviglia quando incomincia a compiere i primi gesti messianici.
C’è proprio una introduzione totale del divino nel pienamente e totalmente umano. Questo comporta una riflessione particolare che facciamo per la nostra preghiera, per la nostra meditazione, per prepararci domani a identificare il nostro ministero sacerdotale.
Gesù è in comunione continua col Padre. Gesù dipende totalmente dal Padre. Possiamo trovare tante espressioni con questo significato ma in particolare in Giovanni, per esempio al capitolo cinque, Gesù dice che non fa niente da sé, ma fa quello che deve fare, fa quello che vuole il Padre, in una comunione ed una dipendenza che fanno di Lui e del Padre una cosa sola. Uno solo. Questo ha la sua manifestazione. Noi cogliamo continuamente nostro Signore Gesù Cristo in comunione col Padre. Si può dire che, qualunque cosa compie la riferisce sempre al Padre.
Poi ci sono i momenti particolari, specifici della sua relazione al Padre, della sua comunione col Padre nella sua preghiera. Questa preghiera di comunione che è vita, che è la vita stessa del Figlio di Dio, ha le sue manifestazione esterne, umane proprio negli atti di preghiera: il raccogliersi in disparte, il vegliare di notte, il prolungare il suo colloquio. Della preghiera di Gesù abbiamo un testo riportato da san Giovanni, la preghiera sacerdotale, dove scopriamo una intimità, una comunione, una identificazione con il Padre che è inesprimibile, che per noi è inconcepibile ed é il mistero di Dio offerto a noi, perché siamo introdotti in questo mistero. La preghiera di nostro Signore Gesù Cristo è un atto di evangelizzazione nei nostri confronti, è un annuncio e quale annuncio! Annuncio di quale altezza!
Un altro punto su cui fermare la nostra attenzione, perché diventi motivo di preghiera, è Gesù in comunione continua con il Padre che stabilisce una comunione con gli uomini, la comunione della sua persona di Figlio di Dio fatto uomo, da uomo a uomo, così come la sua esistenza terrena gli offre, in tutte le occasioni, in tutti gli incontri: Maria, Giuseppe, i discepoli, i fratelli, le sorelle, la folla, i miracolati. E partecipa a tutta la vita degli uomini.
Come partecipa essenzialmente, necessariamente, ontologicamente, infinitamente alla vita del Padre, così partecipa ancora totalmente in tutte le dimensioni e in tutte le estensioni alla vita dei suoi fratelli. Non c’è niente che riguarda l’uomo che non lo riguardi, che non lo interessi, che non lo tocchi, che non lo preoccupi, che non lo faccia andare verso ciò che è nell’uomo, perché lui è venuto per gli uomini, perché il Padre lo ha consacrato e lo ha mandato perché desse la sua vita per gli uomini.
Qui entriamo in un altro tipo di comunione che non è semplicemente il rapporto umano, che pure è pieno, ma è il rapporto del Figlio di Dio con gli uomini. E’ il rapporto di Dio con gli uomini attraverso il suo Cristo, il suo “unto”, il suo consacrato, il suo mediatore, il suo sacerdote. E’ una vera comunione di Dio con gli uomini, una vera offerta, quindi, di ciò che è Dio a favore degli uomini, è un atto di donazione di Dio nel Cristo e nello Spirito agli uomini. Dio si dona all’uomo. Noi rimpiccoliamo questa realtà anche quando ci serviamo delle espressioni della rivelazione, perché le cose di Dio sono indicibili. Esprimiamo ben poco quando diciamo che Dio comunica qualche cosa della sua natura all’uomo, quando diciamo che Dio rende l’uomo partecipe della sua natura, quando diciamo che gli uomini nascono da Lui, quando diciamo che attraverso il Cristo riceviamo la vita da Lui, il Dio vivente.
In conseguenza di questo dono di Dio agli uomini, di questo comunicare attraverso Gesù Cristo da parte di Dio con gli uomini ne sgorga quella che noi chiamiamo la salvezza, cioè, gli uomini a loro volta, per l’azione di Gesù Cristo, nella pienezza dello Spirito sono in condizione di comunicare con Dio. Prima è Dio che comunica con gli uomini. Gesù Cristo conduce gli uomini al Padre, lo rivela agli uomini, lo scopre agli uomini, lo rende familiare agli uomini. Nella sua persona rivela il mistero di intimità che c’è tra Lui e il Padre, tra Lui e i suoi, tra il Padre e i suoi. Rivela e comunica una identità di vita tra gli uomini e Dio.
Tutto questo Gesù Cristo lo compie durante tutta la sua esistenza terrena. Tutto questo Gesù Cristo lo compie quando predica, quando fa i miracoli, quando perdona i peccati, quando affida ai suoi discepoli il pane e il vino che sono il suo corpo e il suo sangue dati per costituire la nuova alleanza, quando dichiara di essere il Signore: “Voi mi chiamate maestro e signore e dite bene” se io maestro e signore vi ho lavato i piedi … ” Dinanzi a Pilato che gli domanda “dunque tu sei re? Risponde: Tu lo dici, io lo sono re”
Attraverso tutte queste azioni alle quali poi possiamo dare un nome, e principalmente nella sua morte in croce,
Gesù Cristo comunica con il Padre,
Gesù Cristo comunica Dio agli uomini,
Gesù Cristo mette in condizione gli uomini di comunicare con Dio,
Gesù Cristo compie tutta la volontà del Padre,
Gesù Cristo assume tutto l’uomo e mette l’uomo in condizione di comunicare alla vita di Dio.
Questo – più o meno – è la presentazione sostanziale che il vangelo ci fa dell’esistenza terrena di nostro Signore Gesù Cristo, della missione di nostro Signore Gesù Cristo, del compimento della missione di nostro Signore Gesù Cristo. Poi ritorna al Padre. Questo è indispensabile. Dopo essere risuscitato da morte, dopo aver ripreso la sua vita in un modo tanto definitivo che mai più nessuno gliela toglierà: “quod autem vivit, vivit Deo”, manderà il suo Spirito perché, ciò che ha insegnato lui, ciò che ha fatto lui, ciò che ha donato lui, possa essere insegnato, fatto, dato a tutti gli uomini di tutti i tempi.
Qui sembriamo già un po’ al di là del nostro discorso ma dobbiamo tenerne conto. Tutto questo costituisce la missione di nostro Signore Gesù Cristo e anche la realizzazione del triplice ministero. Sono termini, parole, che ci vengono da tutta l’azione salvifica che Dio ha compiuto nell’Antico Testamento dove troviamo sacerdoti, re e profeti, che noi abbiamo caricato di senso teologico a volte incompleto, a volte unilaterale, a volte giuridico, ma ci servono per capire quel è il ministero sacerdotale di nostro Signore Gesù Cristo, che non è isolato nel momento in cui compie il suo sacrificio, culmine della sua missione profetica.
Il sacrifico di nostro Signore Gesù Cristo è il culmine, è l’ultima espressione del suo annuncio, del suo vangelo e quindi della sua azione profetica, ma è anche la realizzazione della sua missione regale. Lo dirà esplicitamente san Paolo – “propter quod Deus exaltavit illum et dedit ei nomen quod est super….” E’ il Signore proprio per il suo annientamento. Poiché Egli si è annientato, è il padrone.
E’ interessante notare come tutti i sinottici portino l’episodio di Gesù che dice “Saliamo a Gerusalemme” e della madre dei figli di Zebedeo quando Gesù fa quel tal discorso sui re della terra che dominano mentre il Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la propria vita per i fratelli. Gli autori sono d’accordo di ritrovare in queste parole un riferimento esplicito, non soltanto letterario, al servo di Jhavè descritto particolarmente da Isaia. “Non sibi placuit”,”Non mea sed tua volumptas fiat”, “exinanivit semetipsum” dobbiamo riferirli particolarmente a tutta la tradizione del servo di Jhavè, oppure anche a quella del pastore che dà la vita per le proprie pecore. Questo è estremamente serio. Questo è estremamente religioso perché è l’abisso della sottomissione alla trascendenza amorosa e salvifica del Padre, che sta nel cieli.
Non dobbiamo disumanizzare nostro Signore Gesù Cristo, il vangelo, il messaggio cristiano. Quando si tratta di abbracciare la croce, in concreto, Gesù ha ripugnanza; quando si tratta di entrare in questo annientamento Gesù suda sangue e prega il Padre.”Se è possibile allontana questo calice…sed tamen non mea sed tua voluntas fiat”. Ecco l’atto sacerdotale. Da questo chicco di frumento che cade nel solco e muore, nasce una vita nuova. Il profeta, il Signore Dio volle colpirlo con patimenti. “Se porrà la sua anima come espiazione vedrà la posterità, prolungherà i suoi giorni e per suo mezzo riuscirà quanto il Signore vuole”. “Per la sofferenza dell’anima sua vedrà la luce e si sazierà nella conoscenza del Signore”. “Giustificherà molti il giusto mio servo, portando egli stesso i loro peccati”.
Abbiamo appena accennato al perdono alla remissione dei peccati. Non è necessario dire tutto. Mi pare che questi pensieri possano essere sufficienti per una meditazione e per prepararci ad intendere, in qualche modo, sempre meglio, dove sia l’identità del nostro ministero sacerdotale.
OM 398 sacerdoti 71 – S. Teresa Novembre 1971,