“Evangelizzazione e promozione umana nella nostra realtà locale”
venerdì 3 settembre ore 10 Relazione conclusiva del Vescovo
( il testo è quello che ha letto il Vescovo prima della Omelia ma che poi nel sonoro si sente che va a braccio )
Le parole del Vescovo a conclusione dell’incontro pastorale non intendono mettere fine né all’incontro né a tappe particolari della nostra pastorale. Il discorso rimane aperto, perché aperto e infinitamente profondo è il mistero di Dio, aperto è il mistero dell’uomo, aperti sono i problemi del mondo di oggi. Quindi non c’è mai la parola conclusiva.
Le insicurezze di oggi
E’ emerso in questi giorni un certo stato di insicurezza oggettivo e soggettivo. L’insicurezza delle culture è stata la riflessione a cui si è richiamato il prof. Ardigò e la possibile sorpresa provocata in noi dal suo discorso nulla toglie alla validità dell’analisi prospettataci. Vi è poi l’insicurezza che ci viene dall’apparente scomparsa del sacro. Scompare in realtà un certo tipo di sacralità ed è giusto che scompaia, ma il bisogno di una fede, di una religione si fa sentire sempre più vivo in tutte le aree del mondo, nella chiesa, nelle chiese e dovunque.
La rarefazione dei praticanti è un dato di fatto di per sé a prima vista non spiegabile, ma che comunque ci colpisce e ci rende più insicuri. Poi c’è la nostra insicurezza soggettiva che proviene da ragioni più profonde, come il fatto di avere delle ragioni di fede, alle quali però non ci aggrappiamo e forse non ci siamo mai aggrappati sufficientemente perché pensavamo di avere altre sicurezze.
Di fronte a questa situazione, che dobbiamo onestamente riconoscere, come dobbiamo reagire? Fondamentalmente la nostra deve essere una reazione di fede: la garanzia ci viene dalla fede, dalla fedeltà del Dio della salvezza, di Dio che vuol salvare tutto l’uomo; ci viene dalla sovrabbondante potenza della grazia che trascende infinitamente tutte le potenze mondane.
Mi pare che in questo momento noi meritiamo particolarmente il rimprovero di Gesù ai suoi discepoli sulla barca che ondeggiava pericolosamente in mezzo alla tempesta: « Uomini di poca fede ! ». Perciò la situazione nella quale ci troviamo rimanda noi ad un esame serio, responsabile sulla nostra fede, sui suoi contenuti; e soprattutto su Dio, che è il Dio della creazione, il Dio della salvezza, il Dio che trascende tutte le forze contrarie alla salvezza. E allora dobbiamo metterci dalla parte di Dio, dalla parte delle indicazioni che ci vengono da Dio per mezzo di Nostro Signore Gesù Cristo nella luce e nella forza dello Spirito Santo. Gesù chiama chi vuole, li tiene con sé, e poi li manda ad evangelizzare. L’imperativo dell’evangelizzazione rimane, nonostante le nostre sicurezze, nel cuore della potenza salvifica di Gesù Cristo.
E’ il tempo dell’evangelizzazione, è il tempo di riconoscere in che cosa essa consista, è il tempo quindi di essere docili a Cristo, senza disperderci altrove in altri impegni. Questo compito che vale per tutti i ministri, vale in forme diverse per tutto il popolo di Dio. Dire a in forme diverse » non significa restringere per alcuni il peso e la responsabilità dell’evangelizzazione, ma vuol dire: ciascuno evangelizzi dove si trova, con i doni che ha ricevuto da Dio. Quindi prima di tutte le altre cose noi dobbiamo essere preoccupati di evangelizzare e in secondo luogo dobbiamo essere preoccupati di evangelizzare autenticamente.
Che significa evangelizzare
Qual è il significato di evangelizzazione? Riprendo l’espressione usata da Don Pino Colombo alcuni mesi fa in questa sala: ” in senso fondamentale l’evangelizzazione è la chiesa stessa”, perché la chiesa propriamente, come dice San Paolo, è il corpo di Cristo, cioè la manifestazione esteriore e visibile di Cristo, perciò chiesa “memoria” e quindi annuncio di Cristo.
L’espressione a “memoria” va intesa nel senso biblico che ha riferimento alla nostra capacità di ricordare, ma principalmente all’avvenimento che noi ricordiamo, che è un avvenimento per sempre, che esplica la sua potenza in ogni momento in cui noi ne facciamo memoria, perché c’è l’impegno della fedeltà di Dio, della fedeltà di Cristo nello Spirito. Rendere quindi visibile la forza liberante del Salvatore nella vita della Chiesa: questo significa evangelizzare.
Dov’è la chiesa? Concretamente la chiesa è nella comunità ecclesiale autentica, dove si ascolta e si celebra la Parola di Dio, dove si conviene insieme per stare uniti nella carità.
Nei gruppi di studio è emerso il problema della comunità. Ci sono state affermazioni a volte perentorie, a volte sfumate, a volte contraddittorie: le nostre -si è detto-non sono comunità ecclesiali; le nostre parrocchie, in particolare, non sono vere comunità ecclesiali. L’interrogativo che ne scaturisce è serio, e pone l’accento sulla nostra debolezza, sul grado della nostra fedeltà, sul problema dell’evangelizzazione.
Che avvenga l’evangelizzazione non dipende tanto dal fatto che il sacerdote prepari l’omelia insieme ai suoi fedeli o che organizzi bene una catechesi nella sua parrocchia. Il cristianesimo non è un insegnamento dottrinale da trasmettere, ma è una vita da vivere e da comunicare. Perciò noi dobbiamo compiere questo esame e guardare con coraggio e realismo alla fisionomia e alla consistenza delle nostre comunità e chiederci se esse sono vere comunità ecclesiali, se sono uno strumento indispensabile di evangelizzazione, cioè di comunicazione di quella vita che Gesù Cristo ha portato sulla terra.
Noi più o meno siamo dominati da una certa mentalità: la Parola di Dio si trasmette attraverso gli atti del Magistero, la grazia di Cristo si trasmette attraverso le celebrazioni liturgiche e gli atti sacramentali, il peccato si cancella con l’assoluzione sacramentale, ecc. Senza nulla togliere a quanto di vero c’è in simili affermazioni, occorre però sottolineare che il Magistero è l’espressione della coscienza viva della chiesa animata dallo Spirito nel momento in cui si rivolge agli uomini di quel tempo. Le espressioni del Magistero saranno sempre sottoposte ai limiti di ogni espressione umana. Ma il Magistero è il coinvolgimento di tutta la vita della chiesa.
L’atto sacramentale è l’atto di Cristo e del popolo di Dio, coinvolto nel significato, nella grazia, quindi anche nell’impegno e nella responsabilità del gesto che si compie. Anche quando si tratta di un membro solo del popolo di Dio, l’avvenimento sacramentale accade perché il singolo sia più profondamente radicato nel popolo di Dio, comunichi più pienamente a tutta la vita del popolo di Dio e apporti il suo grado di comunione con Dio nel cuore del popolo di Dio. Così stanno le cose.
Penserete che parlo come a gente che non sappia. No, queste cose le potete insegnare a me, ma la questione è un’altra: vivere queste realtà, io con voi e voi con me, tutti insieme. E viverle è diverso dal dirle, dall’annunziarle, dall’insegnarle. Quindi la comunità è luogo di impegno. E costituiscono la comunità coloro che in modo cosciente e voluto fanno riferimento a Cristo e in tale riferimento si mantengono per tutta la loro esistenza, non solo al momento della a celebrazione eucaristica o della celebrazione penitenziale.
Il riferimento a Cristo deve essere esplicito e avere il valore di una scelta: la scelta fondamentale dell’esistenza. Tra coloro che ci stanno intorno sono molti quelli che fanno riferimento cosciente e voluto a Cristo per tutta la loro esistenza: nella famiglia, nella società, nel lavoro, nella scuola? Siano tanti o pochi, se ci sono abbiamo la comunità, se non ci sono non abbiamo la comunità e neppure l’evangelizzazione.
Allora come si fa? Richiamiamo il principio evangelico del piccolo seme, il tema ininterrotto del “piccolo resto”, del “piccolo gregge”, del “fermento”.
La comunità da costruire
Vorrei dire due cose in proposito: noi pastori, se facciamo davvero riferimento in modo cosciente, libero, deciso, voluto a Cristo, siamo elemento di comunicazione di vita con tutta la nostra attività pastorale, e intorno a noi, per la potenza dello Spirito, spunteranno i virgulti della vera vite che è Gesù Cristo; noi siamo soltanto quelli che piantano, quelli che irrigano.
Non è possibile che, un sacerdote rimanga in mezzo ad una comunità senza suscitare persone che si decidano a fare riferimento in modo cosciente e libero a Cristo. E questo a piccolo seme », questo « piccolo gregge », questo pugno di fermento, questo « resto » sarà l’anima della comunità o sarà la comunità intorno a cui si raccoglieranno i battezzati cosiddetti praticanti. Sarà segno-e questo è importante-in mezzo al mondo di quelli che non credono, e forse avrà più presa su quelli che non credono che sugli stessi che hanno soltanto un’abitudine di vita cristiana.
Che sia indispensabile la comunità per l’evangelizzazione è un altro punto da mettere in evidenza come aveva già ribadito il Vaticano II.
Al principio del capitolo terzo della Costituzione sulla chiesa è detto espressamente che i pastori hanno coscienza di non essere i soli deputati a portare avanti la missione di Cristo. Intorno a loro, in stretta comunione con loro, ci devono essere tutti gli altri, a cominciare da quelli che per grazia particolare di Cristo si sono consacrati a Dio nella chiesa, cioè i religiosi, le religiose, e tutti i battezzati. Il fondamento di questa comunione rimane il battesimo. Quindi non ci possono non essere i laici come componenti della comunità, nel senso di coloro che fanno riferimento a Cristo e che camminano sulla via della riconciliazione tra di loro e per il mondo.
Quelli che si dicono cristiani, se poi non hanno coscienza del bisogno di essere riconciliati con Dio e tra loro per il mondo, non fanno neppure riferimento a Gesù Cristo. Gesù è venuto perché ci convertiamo; ha mandato coloro che ha scelto perché predicassero la conversione- la chiesa è in uno stato di continua conversione; la comunità cristiana deve essere nell’atteggiamento della ricerca della riconciliazione con Dio.
La preghiera orientale « Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore », ripetuta migliaia di volte, ininterrottamente, camminando, lavorando ecc. non è mai entrata nelle nostre devozioni; ma è più che una devozione questa: è un mezzo per prendere coscienza che siamo peccatori e che abbiamo bisogno della misericordia, per ottenere la quale dobbiamo essere misericordiosi verso i nostri fratelli e verso il mondo. Dobbiamo essere un invito per il mondo a riconciliarsi con Dio e un appello per gli uomini a riconciliarsi fra di loro. Qui c’è comunità. Non quel tipo di comunità dalla tinta farisaica che porta a pensare « io non sono come tutti gli altri ». E’ un peccato grave. Gesù dice espressamente che il pubblicano è tornato a casa giustificato, e il fariseo no, sebbene adempisse a tutte le prescrizioni della legge.
Tutto questo al fine di conseguire la dignità di figli di Dio. Tale dignità è impressa in noi fin dal momento del battesimo, ma diventa personale, vitale, attiva, sacramentale-nel senso che è espressa davanti agli altri-quando noi abbiamo fatto questa scelta di fondo e camminiamo nello spirito della riconciliazione. Essere figli di Dio non è un automatismo, è una vita, è un impegno rispetto a Dio ed è una responsabilità rispetto ai fratelli. Siamo uomini liberati e perciò liberi.
Ancora un interrogativo,ma veramente le nostre comunità sono composte di uomini liberi?
Solo da una comunità autentica nasce una promozione della dignità della persona, della sua libertà e del suo senso di responsabilità. Il credente non è un membro passivo, è un membro vitale, perché possiede la libertà più profonda e più vera, la libertà dalla schiavitù del peccato. E se non c’è libertà dal peccato, non c’è nessun genere di libertà. Noi oggi siamo posti dinnanzi a due culture, quella liberale e quella marxista, che propugnano ciascuna una propria idea di libertà, ma entrambe sfociano nella vita borghese, nell’imborghesimento. E non c’è condizione peggiore di asservimento che il far di tutto per arrivare al traguardo di una vita borghese.
In tutti gli ambienti queste comunità di cristiani prepareranno gli uomini coscienti della loro dignità, liberi e responsabili nei diversi ambienti di vita. Mi limito a pochi accenni senza voler anticipare quello che poi troverete nelle relazioni di gruppo.
Nella famiglia
Nella famiglia come realtà di chiesa. Non dimentichiamolo mai: dobbiamo mantenere la famiglia nella chiesa, non in un senso deteriore e possessivo di dominio, ma come cellula vivente, fondamentale, costituita da membri che hanno la coscienza della loro dignità, della loro grazia di essere cooperatori di Dio nella espressione dell’amore umano e nell’assicurare la continuità della vita nel mondo: nei viventi è posta la gloria di Dio, secondo l’espressione di S. Ireneo « homo vivens gloria Dei ». La vita è la massima espressione della potenza creatrice di Dio e la sovrabbondanza di vita portata da N.S. Gesù Cristo è l’estrema manifestazione della potenza di Dio, della sua magnificenza, della sua ricchezza, della sua sapienza, della sua gloria.
La nostra meschinità a volte non ci consente di proiettare le realtà più vicine, più care, più delicate nello splendore della gloria di Dio; come se la gloria di Dio non fosse la comunicazione e la comunione che Dio vuole stabilire con la creatura privilegiata, che è l’uomo.
Portare nella famiglia il dono della libertà, il senso del bisogno continuo della riconciliazione con Dio: tu marito, riconciliati con tua moglie; tu moglie, riconciliati con tuo marito; c’è bisogno di riconciliarvi, perché siete deboli, limitati, perché siete così, siete fatti a quel modo. Se c’è riconciliazione, ci sarà anche più amore, più croce, più redenzione, più salvezza. Educare i figli alla riconciliazione: riconciliazione dei figli tra loro, dei figli con i genitori.
Riconciliarsi, i grandi con i piccoli; riconciliarsi con la vita, con la vita che non si possiede più e con quella che non si potrà mai possedere, riconciliarsi con le possibilità di vita che vengono meno, riconciliarsi con un’altra vita che per certi aspetti è diversa dalla propria e così via.
Tutto questo, non dimentichiamolo, dipende dalla ricchezza di quella vita che circola nella comunità. E allora la comunità non è solo nella famiglia; è per la famiglia, perché la famiglia è dono di Dio. C’è un sacramento da rispettare, da valorizzare, da esaltare; così la famiglia va esaltata, va difesa.
Nella comunità ecclesiale
Dignità, libertà, responsabilità nella comunità ecclesiale. Non si può continuare con l’arbitrio assurdo e scandaloso dei battezzati lasciati ai margini, lasciati fuori, non introdotti in tutti gli interessi della missione comunitaria. Non sono gli interessi di noi preti, di noi parroci, di noi vescovi: sono gli interessi dei figli di Dio. Cos’è questa favola che ci raccontiamo continuamente: « ma non sono maturi, non sono pronti » ? Se non si lascia fare niente, se si pretende che i laici facciano le cose subito e bene o le facciano con la nostra mentalità clericale non saranno mai maturi ! Si parla tanto di pluralismo: che parola abusata !
Il sonoro finisce qui
Pluralismo autentico nella comunità ecclesiale significa fare spazio a ogni legittima espressione di persone provenienti da esperienze diverse. L’Azione Cattolica, ad esempio, deve essere azione di laici, non di chierici; se l’Azione Cattolica non la gestiscono i laici non è Azione Cattolica. E così per ogni gruppo, per ogni associazione laicale che voglia lavorare e trovare spazio secondo criteri ragionevoli in ogni comunità.
Nella gestione delle istituzioni
Dignità della persona, libertà, frutto di riconciliazione, responsabilità nella gestione delle istituzioni, in tutte le istituzioni. Non ci sono soltanto gli organismi collegiali della scuola o i comitati di quartiere; ci sono certo queste realtà, ma quello che importa è suscitare in coloro che fanno riferimento a Cristo, che camminano verso la riconciliazione, la capacità di acquistare la dignità di figli di Dio e la libertà dello Spirito perché la rendano presente in queste strutture.
Tutti debbono prendere coscienza che non possono continuamente delegare; devono partecipare. Se ci sono commissioni si partecipa alle commissioni; se ci sono comitati, si partecipa ai comitati, se ci sono consigli, si partecipa ai consigli. Quanti cristiani, quante persone che si potrebbe o dovrebbe pensare che facciano riferimento a Cristo, frequentano i nostri Consigli comunali, i Consigli provinciali? Quanti lo fanno per un dovere civico, tanto più avvertito in quanto sono resi più responsabili dalla coscienza della loro dignità e della dignità della persona umana, che non può essere gestita da altri?
Il più grande delitto che si possa imputare a qualsiasi sistema o ideologia è la pretesa di gestire le persone. Ma le persone saranno sempre gestite fino a quando non prenderanno coscienza della loro dignità e non acquisteranno il senso della loro libertà, di coraggio, di intraprendenza, di competenza, per non farsi gestire, per essere presenti lì dove devono esserlo e dove si decidono le cose che riguardano il bene comune.
La comunità che prepara le persone per la scuola e per i problemi della scuola. Anche qui occorre coscienza cristiana, ecclesiale, comunitaria; nell’espressione di chiesa, non la chiesa che va ad ingerirsi, ma la chiesa anima del mondo, come lo Spirito Santo è anima della chiesa.
Dignità della persona umana, libertà e – uso molto volentieri la parola -liberazione, responsabilità, corresponsabilità nel mondo del lavoro, capitolo ancora chiuso per la nostra diocesi, e nel mondo della cultura. Problemi immani che attendono risposte, impegno di studio e di lavoro; problemi che non possono più attendere.
Organismi di collegamento
C’è un punto cruciale, un punto chiave, perché molte di queste cose si realizzino: quello delle mutue relazioni, dei mutui rapporti tra tutti, e in ordine a questo bisogna usare gli strumenti di cui disponiamo per collegare periferia e centro. La diocesi in realtà non ha periferia, non ha centro, come si intende da parte di molti; la diocesi è fatta di persone che devono comunicare tra loro.
Mi pare che qui sorgano due problemi: il problema delle mediazioni perché si realizzi l’intercomunicazione e il problema dei mezzi. Anzitutto il problema degli organismi, quali il Consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale.
Il Vescovo quale uso ne fa? Li vuole sicuramente, anche se costano fatica.
Nel Consiglio presbiterale tutti i membri, e particolarmente i Vicari Foranei, eletti liberamente dai Sacerdoti del Vicariato, siano i portavoce di coloro che rappresentano in seno al Consiglio presbiterale, e riportino la riflessione, le decisioni ed indicazioni prese con il Vescovo ai sacerdoti del Vicariato. E’ indispensabile un interscambio in tale organismo; finora non c’è stato in misura soddisfacente.
Così pure il Consiglio pastorale deve essere soprattutto uno strumento di ascolto. Si domanda spesso con quale frequenza esso venga convocato; bisognerebbe piuttosto chiedersi quanto si sia disponibili, quanto vi si partecipi. Ci può essere anche la sfiducia, ma noi che abbiamo fede e speranza cristiana, dobbiamo vincerla. Si tratta di organismi indispensabili perché ci sia la vita diocesana e le comunità facciano comunità, costituiscano la chiesa che è in Mantova, la pienezza della chiesa.
Strumenti di comunicazione
Un cenno agli strumenti di comunicazione. Abbiamo un umile, modesto strumento di comunicazione, che è « La Cittadella ». Perché la si legge così poco o non la si legge? Occorre inoltre la collaborazione perché essa sia la voce della diocesi. Tutti i battezzati sono corrispondenti potenziali del Settimanale diocesano; tutti possono essere in qualche modo collaboratori. Questi strumenti di comunicazione possono diventare strumenti di comunione ecclesiale. Saranno modesti, umili, difettosi, ma bisogna concorrere a-renderli migliori, a diffonderli, ad usarli.
S’è fatto da poco il tentativo di una radio libera. Siamo in fase di prova, non solo di rodaggio; dobbiamo renderlo uno strumento tecnicamente efficiente, ecclesialmente valido, ma anche qui si avrà bisogno di collaborazione, di simpatia.
« La Cittadella » d’altronde non è solo quel pezzo di carta, la radio non è solo un’antenna: ci sono delle persone di mezzo, che ci rimettono del proprio in tutti i sensi. Guardiamo le nostre cose con simpatia, con amore, con affezione, perché la disaffezione è il più grande pericolo che possa esserci fra di noi.
ST 261 settimana 76
Stampa: Rivista diocesana n 9-10, Settembre- Ottobre 1976 pag. 298-305.-
Atti su CD 1976 SETTIMANA in biblioteca Ferrari