Omelia al rito funebre in Primo Poli 8 Marzo 1974
Miei cari, questo è uno dei momenti in cui la comunità cristiana è chiamata ad esprimere il mistero della maternità della chiesa, in cui deve prestarle braccia, grembo, cuore per accogliere le spoglie mortali di uno dei suoi figli e circondarle di tenerezza, di venerazione, di amore come ha fatto fin dagli inizi Maria per il Corpo di suo figlio ai piedi della croce: il momento in cui il cuore di ognuno deve aprirsi e, in silenzio, accogliere e far propria tutta la sofferenza prodotta dallo schianto che non si è ancora dispiegato in tutta la sua gravità e che annienta una sposa, dei vecchi genitori, due piccole creature ancora inconscie di ciò che è accaduto.
Primo se n’è andato. Chi può dire perché? Sappiamo soltanto che quel cuore vivace, ardente, generoso, trasparente ha cessato di pulsare. Sappiamo che era il cuore di chi ci credeva con tutto se stesso, con ogni espressione della sua esistenza, che ne accettava tutte le conseguenze. Certamente in quel cuore lo Spirito era nella continua tensione del « vieni Signore Gesù ». Quella tensione è stata assorbita da un’altra tensione che ha spinto un altro Cuore nel mondo a portare il dono dell’amore crocifisso di Dio a chiunque lo volesse accogliere.
Mercoledì a quell’ora, su quella strada, si è compiuto questo mistero di amore.
La giovane età, un grande desiderio di vivere, un impegno che attende, tante cose da fare, una carriera promettente, un’azione apostolica urgente, I’indicibile dolcezza di una giovane famiglia; no: uno scontro assurdo, la morte.
Circola ormai in mezzo ai suoi amici una parola che all’incirca si traduce così: questo è un « segno » per noi.
Io ho la responsabilità di cogliere questo « segno », di « elevarlo » davanti a tutta la comunità, perché sia quel dono che e per la Diocesi, per tutti noi, sacerdoti, religiosi c laici.
Adesso incominciamo ad accorgerci chi era, che cos’era, che cosa faceva, Primo. Adesso tutti ci accorgiamo che Primo era intelligente, era aggiornato per essere alI’altezza delle sue responsabilità, amava lo studio e per esso sacrificava le notti, aveva una linea di pensiero, non aveva paura di confrontarla con quello degli altri e gli altri anche se non accettavano il suo pensiero rimanevano soprattutto profondamente e sinceramente amici. Ci accorgiamo che Primo amava l’incontro, la conversazione, l’amicizia, ma mal sopportava la discussione sterile; sceglieva di fare, di compromettersi, di pagare di persona, di dare. Era nato e vissuto povero ed è stata per lui una gran gioia poter dare, non argento e oro, ma se stesso, il meglio di se stesso, la ricchezza della sua persona. Era di una disponibilità senza limiti, soprattutto senza calcoli. Ha rifiutato fino all’ultimo di impegnarsi in settori dove il pericolo di una azione condizionata da interessi è troppo frequente.
Primo credeva alla validità dell’azione cattolica rinnovata. L’ha fatta sua l’azione cattolica, una espressione della sua vita, un modo di donare se stesso per rispondere all’amore di nostro Signore Gesù Cristo, per esprimerlo ai propri fratelli, per testimoniarlo dovunque. Non era avaro. Aveva veramente il cuore del povero che quando scopre un dono sente il bisogno di parteciparlo a tutti. Grande testimonianza nella chiesa oggi!
Ma io balbetto, dico qualche cosa. Ci sono cose che comunemente non si dicono ma che qui vanno dette per scoprire il segreto di Primo, l’anima della sua vita. L’anima di tutta la sua attività, di quella dello studio, della cultura, della scuola, della pastorale, l’anima della sua anima: la preghiera.
Primo, questo giovane vivace, simpatico, dalla battuta pronta, dal cuore aperto, chi l’avrebbe pensato quanto pregava. Come erano assidui i suoi incontri prolungati con Dio. Non semplicemente la partecipazione all’eucaristia quotidiana, non semplicemente la preghiera dei salmi ma il rosario. Quanti di voi hanno detto il rosario con Primo in casa, in chiesa, in macchina! La meditazione: perché questo cristiano si nutriva del sangue e del corpo di Cristo, ma per lui il corpo e il sangue di Cristo avevano un significato che scopriva nell’alimento che è la parola del Signore. A tutto questo è stato fedele Primo e qui è il suo segreto.
E nella chiesa Primo, ora che lo scopriamo, non è un elemento conciliante nel senso che tante volte diamo a questa parola. Era, è, rimane, una figura scomoda.
Scomoda per chi parla di povertà e non è povero; scomoda per chi critica la chiesa e non la serve nelle sue membra; scomoda per chi ha parole e non si impegna coi fatti; scomoda per chi non ha il coraggio della verità; scomoda per chi nasconde interessi dietro presunti ideali. Miei cari, questo, in qualche modo, detto così approssimativamente, è quel grano che è caduto in terra disposto a morire e noi siamo il terreno e abbiamo la responsabilità di accoglierlo e di farlo fruttificare.
Qualcuno dei suoi amici ha detto, ma diciamolo tutti davanti alle sue spoglie, diciamolo alla sua sposa, diciamolo alle sue bambine: « dobbiamo prendere il suo posto ».
Miei cari sacerdoti, miei cari giovani, miei cari tutti, questo fatto è un segno, questo segno è per noi. Primo è andato e rimane, ma deve rimanere nella realtà viva delle nostre persone e della nostra esistenza. Noi dobbiamo prendere veramente il suo posto.
ST 369 Primo Poli 74
Stampa Omelia al rito funebre in Primo Poli 8 Marzo 1974 “La Cittadella” Marzo 1974-
Stampa “Da Dio a Dio un cammino di popolo e di persone” Mantova 1985, pag. 292-294