Pasqua 1969 in sant’Andrea
Se esaminiamo noi stessi vediamo che se siamo qui è perché le parole dell’angelo rivolte alle donne risuonano anche nel nostro cuore: “voi cercate Gesù di Nazareth il crocifisso? E’ risorto, non è qui”.
Il motivo della nostra fede è la sicurezza della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Penso di rivolgermi a persone che non vengono in chiesa solo a Pasqua, che non vengono in chiesa perché è un dovere ma perché ne sentono il bisogno quindi è sicuro che la fede nella risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo è operante nella vostra esistenza, quindi la certezza che hanno acquistato le donne in seguito alle parole dell’angelo è in ognuno di noi. Ma l’angelo non ha dato soltanto la certezza alle donne. Ha dato un comando: “Andate e dite ai suoi discepoli” – dite a Pietro – egli vi precederà in Galilea. Là lo troverete, come vi ha detto.”
Miei cari, desidero attirare la vostra attenzione su un particolare del comportamento di Dio con gli uomini. Dio chiama ognuno di noi, ci dà la sua grazia, ci dà il dono della fede della vita soprannaturale, ci dà la possibilità di una condotta conforme ai suoi precetti in vista della salvezza di tutti, perché desidera che tutti giungano ad avere gli stessi doni che abbiamo noi. Dio non dà la grazia ad una persona, individualmente per se stessa, senza avere presenti i legami e le responsabilità che questa persona ha nei confronti dei propri fratelli e di tutti gli uomini. Le donne, al sepolcro, ricevono la garanzia, la grazia che Cristo è risorto, ma anche il comando di andarlo a dire agli altri, di portate in giro la loro certezza, di andarla a dire, prima di tutto, ai discepoli e rassicurarli che Gesù li precede e li incontrerà in Galilea.
Noi siamo qui per celebrare la nostra Pasqua. E’ indubbiamente una grazia partecipare a questa celebrazione che aumenta in noi la fede in Cristo risorto, che conferisce ad ognuno di noi la grazia di Cristo risorto comunicandoci la possibilità di risorgere con Cristo. Ma Gesù, che si incontra nella fede, nella parola, nell’azione sacramentale con ognuno di noi, ha davanti a se tutti i nostri fratelli, ha davanti a se tutti coloro con i quali abbiamo qualche legame e delle responsabilità e ci impone di dire a tutti i nostri fratelli che potranno essere anche i nostri fratelli di sangue, di parentela, di amicizia, di conoscenza, di lavoro che Cristo è risorto.
Forse che dovremo uscire dalla chiesa e ripetere a tutti quelli che incontriamo che Cristo è risorto? Nel mondo ortodosso, in questi giorni di Pasqua, le persone che s’incontrano si salutano così: “Cristo è risorto”. E’ una loro consuetudine. Ma non ha importanza dirlo con le parole. Vale dirlo con tutto noi stessi. Per gli altri che ci conoscono deve diventare evidente che la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo non è una favola o un mito -come si dice oggi- che la risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo non è uno dei tanti misteri del cristianesimo, ma è un fatto operante nella persona di ciascuno di noi. Gli altri hanno il diritto, in conseguenza del dono di grazia di cui siamo stati gratificati dalla misericordia di Dio, di vedere in noi la testimonianza della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
La fede ci costituisce testimoni della risurrezione di Cristo. Non sono le parole o gli argomenti che possediamo di questo fatto storico, che possono convincere chi non crede. Vale ed è convincente ciò che avviene nell’esistenza quotidiana di chi crede. Chi non crede deve necessariamente fondare la sua esistenza sui valori di questa vita. Il suo atteggiamento è quello del possesso: possedere per sentirsi sostenuti, possedere per essere come gli altri e possibilmente più degli altri.
Chi crede ha la sicurezza che il fondamento, che sostiene la sua esistenza non è di questo mondo. Perciò il suo atteggiamento: è nel senso della liberazione, è nel senso di non essere dominato dalle cose, è nel senso di non farsi complessi d’inferiorità rispetto agli altri, è nel senso di essere se stesso ed essere se stesso a prezzo di una continua liberazione dalla tendenza al possesso e di una costante affermazione nella propria vita dei valori della fede.
Chi crede non è un disimpegnato rispetto ai valori autentici del mondo, ma non li assume come fondamento della stabilità del suo equilibrio interiore. Chi crede non fa dipendere il valore della propria esistenza da ciò che possiede, dal successo o dalla felicità che gli può venire dalle cose e dalle persone. Cristo risorto, nel cristianesimo, non é un fatto del passato, è un fatto operante nella persona di ciascuno di noi. Gli altri hanno il diritto, in conseguenza del dono di grazia che abbiamo ricevuto, di cui noi siamo stati gratificati dalla misericordia di Dio, di vedere in noi questa testimonianza della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo.
Non assumiamo gli atteggiamenti farisaici di pensare dentro di noi: io non sono come gli altri perché vado in chiesa, perché ho fatto Pasqua. No. Gli altri, semmai, devono vedere che noi possediamo qualche cosa che non si vede in quelli che vivono senza fede. Quelli che vivono senza fede in Dio, senza fede nella vita soprannaturale che ci ha portato Cristo risorto, hanno fede in altri valori: nella vita presente, nel successo, nelle affermazioni della vita presente e niente più. Allora devono costatare in noi, non il disimpegno, ma il fatto che portiamo avanti contemporaneamente un duplice atteggiamento : il tentativo continuo di liberarci dal desiderio di possesso per avviarci ad un desiderio di autentica liberazione.
La nostra natura, di fatto, è possessiva. Noi desideriamo possedere per essere come gli altri o più degli altri, per avere case, arredamento, mezzi, strumenti, possibilità economiche per essere più degli altri, non meno degli altri. Questo non è un atteggiamento di coloro che credono nella vita eterna, di coloro che credono alla resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, di coloro che appoggiano la propria esistenza non su ciò che si hama, bensì, su ciò che si è per la grazia di nostro Signore Gesù Cristo.
Quindi, gli altri dovrebbero scoprire in noi un atteggiamento che va verso la liberazione, verso la risurrezione. Va verso la liberazione da tutto e da tutti, non per orgoglio o per superbia per non essere dominati. Ma per essere noi stessi. Per essere unicamente se stessi nel modo più singolare, che corrisponde ai doni di Dio, che corrisponde ai doni della sua grazia, che corrisponde al grande dono della nostra vocazione ad “essere” e non ad “avere”.
Ad essere figli di Dio non avere le cose. Ad essere figli di Dio non al di sopra gli altri. Semmai al servizio degli altri, perché c’è un Padre che è preoccupato della loro salvezza, che avendo usato verso di noi la grande misericordia di chiamarci a partecipare della eredità della sua ricchezza infinita, vuole che noi ci adoperiamo per aiutare i nostri fratelli con questo atteggiamento: non essere dominati dal desiderio di possedere.
Vedete che il mondo in cui noi viviamo, in conseguenza di questa sete di possesso diventa non soltanto insopportabile ma pericolosissimo. Non soltanto scomodo. Da un momento all’altro potrebbe riservarci conseguenze disastrose. Allora noi che dobbiamo essere davanti ai nostri fratelli i testimoni dei beni futuri che oggi garantiscono l’autenticità anche dei beni presenti, dovremmo presentarci ai nostri fratelli come coloro che veramente hanno “fatto Pasqua” non per se stessi per essere tranquilli in coscienza o per sentirsi migliori ma come coloro che avendo “fatto Pasqua” sentono il bisogno di portare questa grazia di risurrezione, questa grazia di liberazione a tutti quelli con i quali si incontrano, per essere i veri messaggeri di Dio secondo la legge del vangelo che è stata imposta alle pie donne le quali hanno avuto la garanzia che Cristo è risorto ed hanno ricevuto il comando ” andate e annunziatelo a Pietro e ai discepoli”.
A ognuno di noi questa sera una voce si fa sentire. E’ quella del nostro Padre che sta nei cieli e che ci dice: “andate”, garantite a tutti che Io sono stato fedele, ho ridato la vita al mio figliolo perché diventi sorgente di vita nuova per tutti gli uomini, perché tutti gli uomini siano liberati dal desiderio del possesso e quindi dal peccato, e siano liberati per essere se stessi, figli di Dio e fratelli fra di loro. E’ la garanzia di beni sicuri legati alla fedeltà di Dio che ha risuscitato il Figlio suo per costituirlo “vita nostra e nostra risurrezione”.
Allora noi che dobbiamo essere davanti ai nostri fratelli i testimoni dei beni futuri che garantiscono l’autenticità dei beni presenti, dovremmo presentarci a loro come quelli che non hanno “fatto Pasqua” solamente per essere tranquilli in coscienza o per sentirsi migliori, ma come quelli che sentono il bisogno di portare la grazia della risurrezione a tutti coloro con i quali si incontrano, per essere veri messaggeri di Dio secondo la legge del vangelo imposta alle pie donne.
OM 215 Pasqua 69 –