Primo incontro con i sacerdoti a Mantova, in Curia, Dicembre 1967
Ringrazio, ve lo dico davanti a Dio, chi di voi, perché è uno di voi, ha parlato. Lo ringrazio per ciò che ha detto perché introduce, ma soprattutto perché completa, questo mio primo colloquio con voi. Lo completa nel senso che vi dirò: chi sono, che cosa voglio fare, che cosa vi prometto. Volevo mettere un ultimo punto: che cosa volete. Credo, che almeno globalmente, mi sia stato espresso. Posso dirvi, nel nome del Signore, con la sua grazia, nel disegno, nell’ambito della sua volontà, che accetto tutto. Perciò, di cuore, grazie.
In questa nostra prima conversazione, potete immaginare, il Vescovo avrebbe un sacco di cose da dire e penso che, almeno per questa volta, lo dispenserete da quella buona regola dei discorsi primi. Il mio non è un discorso. Vuole essere un colloquio, un aprire un po’ il mio animo perché sappiate fin da principio che cosa voglio perché, certamente siete in atteggiamento di attesa.
Quel tal moto araldico che avete interpretato questa mattina sperimentatelo un po’ voi: la pazienza usatela voi. Incominciamo così insieme quel “Opus perfectum operatum et operantis”.
Ci siamo già immersi in un clima di realtà soprannaturali, ma teniamo presente che su ciascuno di noi sono rivolti gli occhi misericordiosi di Maria Santissima. Io tengo presente, non nella memoria e lo sento in modo impressionante, la presenza di S. Pio X. Sono certamente con noi tutti i santi protettori della Diocesi.
“Insegna il Santo Concilio che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata il sommo sacerdozio, la somma del sacro ministero. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l’ufficio di santificare gli uffici di insegnare e governare, i quali però, per loro natura, non possono essere esercitati, se non nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio” (L.G 21). ” Tra i principali doveri del Vescovo eccelle quello della predicazione del Vangelo (L.G.25).
“Il Vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell’Ordine, é “l’economo della grazia del supremo sacerdozio”, specialmente nell’Eucarestia, che offre egli stesso o fa offrire, e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce. Questa Chiesa di Cristo è veramente presente nelle legittime comunità locali di fedeli, le quali, in quanto aderenti ai loro pastori, sono anch’esse chiamate chiese nel Nuovo Testamento. In questo modo i Vescovi, con la preghiera e il lavoro per il popolo, in varie forme effondono abbondantemente la pienezza della santità di Cristo. Col ministero della Parola comunicano la forza di Dio per la salvezza dei credenti, e con i sacramenti, dei quali con la loro autorità determinano la regolare e fruttuosa distribuzione, santificano i fedeli” (LG 26).
“I Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e legati di Cristo (LG 27).
Non ho letto queste citazioni per una introduzione solenne al nostro incontro e neppure per ricordare a voi chi sia il Vescovo, ma per ricordarlo a me stesso, per situare la mia presenza in mezzo a voi e al popolo santo di Dio che si raduna nella Chiesa di Mantova: la mia funzione che chiamerei specifica. Nella Chiesa santa di Dio c’è una unica funzione arricchita, corredata dei vari carismi ma, secondo il nostro modo di distinguere le cose, questa funzione può avere un aspetto più marcatamente teologico (ma c’é una parola abbastanza impropria -carismatico – ma forse dice più di quello che io intendo dire) e un altro aspetto che noi solitamente chiamiamo giuridico ma che non manca di essere teologico e di avere i suoi carismi, anche questo é un aspetto dell’unica funzione che Gesù Cristo ci affida per la edificazione della Chiesa. Questi due aspetti di un’unica funzione, evidentemente sono ugualmente necessari come nel Cristo: per fare la Chiesa, é necessaria tanto la divinità come la sua umanità. Chi li separa cade nell’eresia e chi separa queste funzioni che marcano maggiormente o la presenza della divinità o la presenza della umanità fa una cosa contraria all’ordine stabilito da Dio, perciò: la necessità di entrambi e indissolubili questi aspetti della unica funzione salvifica della Chiesa.
Perché vi ho detto questo? Ve l’ho detto, non per fare della dottrina, e ve lo dico subito per mio temperamento. La natura stessa della missione della Chiesa, e i fortissimi richiami che ci sono venuti dallo Spirito, attraverso coloro che ne sono stati investiti in questi ultimi tempi – Papa Giovanni, il Concilio, Paolo VI, – tutto il fermento e tutte le esigenze che si sono manifestate dopo il Concilio mi rendono sempre più convinto che il vescovo, nell’unica funzione della Chiesa, non può fare tutto e deve fare la sua parte che oggi si chiama pastorale. Per questo vi ho detto che tra le sue funzioni eccelle: quella della predicazione del Vangelo, quella della santificazione attraverso l’azione liturgica e quella che troppo comunemente si chiama “del governo” ma che é il pascolare il gregge, con tutto ciò che comporta questa categoria scritturistica e particolarmente evangelica del pastore, che conosce le proprie pecorelle, le chiama per nome, sta con loro, quasi diventa uno di loro. Là nella analogia, qui nella realtà. Veramente, dobbiamo essere capaci di farci tutto a tutti. Capite, allora, il senso del mio discorso?
Ma, se nella Chiesa mantovana, come in tutta la Chiesa si svolgesse unicamente questa parte della funzione salvifica che Gesù Cristo le ha affidato, sarebbe incompleta. C’è un’altra parte che solitamente compiono gli organismi diocesani. Noi li abbiamo chiamati burocratici, e c’é molto di vero in questo. Ieri ho respirato perché il cancelliere mi ha portato tre decreti di nomina composti di quattro righe. Sia benedetto Iddio che non ci siano più le armi sopra il diletto figlio e la pastorale benedizione! Li abbiamo definiti giuridicisti e in parte è vero. Li abbiamo qualificati anche con altri termini e normalmente, siccome la curia sta sotto e il vescovo di sopra abbiamo distinto tra “quelli di sopra ” e “quelli di sotto”.
E’ una unica funzione che deve essere svolta in un unico spirito. Io mi riservo, non dico in privativo, ma in prevalenza molto forte la prima parte. La seconda parte la affido con larga autonomia agli organismi diocesani. Lo dirò poi alla fine: gli organismi diocesani devono essere gli organismi della diocesi e non semplicemente della persona del vescovo. Però, capite, che non si devono fare delle separazioni non si devono creare degli antagonismi, e questo riguarda tanto coloro che lavorano in questi uffici come coloro che accedono a questi uffici.
Già incominciate ad intendere che cosa voglio fare per parte mia, personalmente, ma perché lo comprendiate meglio tento di fare davanti a voi una specie di esame personale. Qualcuno nel frattempo mi farà qualche diagnosi psichica o psicologica e speriamo che non vada oltre, ma intanto, spontaneamente vi dichiaro: Chi sono?
Sono un povero uomo però tenete presente che in tutte le persone, ma particolarmente nella mia persona, c’è la scorza e l’albero. Vi prego di non impressionarvi della mia scorza. So che è ruvida, so che è piuttosto dura, però il legno è discreto. Quindi vi prego, io vi aiuterò – queste cose ve le dico a 57 anni suonati e quindi ho esperienza – fate un certo sforzo per rompere la scorza e penetrare e andare oltre la scorza.
Tenete presente che, per mio temperamento, ho la tendenza tanto nel comportamento come nell’esprimermi, al paradosso. So di essere tra persone intelligenti e penso che sarò inteso anche quando mi comporterò o parlerò paradossalmente: è un po’ una esigenza per arrivare alle cose essenziali, alle sintesi, perché sono allergico alle cose analitiche, alle analisi.
Ho una certa tendenza – ma con l’andare degli anni passa – alla battuta e all’umorismo. Non rimanete male quando mi esce una battuta. e, se vi vengono delle battute, tiratele fuori che mi faranno piacere. Specialmente quando si fanno dei discorsi seri bisogna prendere un tono che ridimensioni e porti le cose al nostro livello, altrimenti diventiamo solenni. Vi dico con tutta semplicità che domenica in S.Andrea ho fatto una gran fatica perché non sono stato capace di superare il condizionamento dell’ambiente e so benissimo di avere fatto un discorso, almeno nel tono, enfatico. Non sono solito. Perciò, se qualche volta ci metto un po’ di sale di umore è per portare queste cose, sempre più grandi di noi, ad un livello che sia il nostro, quello di poveri uomini, di creature di Dio coscienti dei loro limiti.
Tenete presente che nel mio atteggiamento, nei miei gesti, nelle mie parole, escludo sempre il sottinteso. Quello che ho da dire ve lo dico col mio linguaggio povero di vocabolario ma con la maggior chiarezza possibile. Quindi, se qualche volta, mi vedete atteggiato in un modo o mi sfugge una espressione, oppure un fatto, un tal gesto, non andate ad arrovellarvi per intendere cosa volevo dire. Non volevo dire niente. Quello che voglio dire, ve lo dico espressamente: naturalmente come sono capace di dire le cose. Niente sottintesi.
Una volta un amico mi ha detto: ” lei è un conferenziere perfetto perché è capace di stare ad ascoltare”. Vi assicuro che sono capace di stare ad ascoltare. Vi assicuro che ascolto anche quando non sembra. Vi assicuro che ascolto anche quando, magari, sto facendo qualche cosa d’altro. State tranquilli che vi sto ad ascoltare e ascolto con rispetto, con interesse, e che ascolto le cose importanti e quelle che possono sembrare poco importanti ma che, se si dicono è perché si sentono, e allora una cosa sentita da una persona è sempre una cosa importante e io la ascolto bene.
Facilmente – quindi – datemi l’assoluzione in precedenza e disponetevi a darmela tutte le volte che sarà necessario – vengo meno alle formalità anche legittime. A volte ricevo le persone in mezzo alla porta, a volte mi trattengo con le persone in piedi invece di farle accomodare. Abbiate pazienza. Non considero queste cose. Non é che sia una dote, però, adesso che mi sono confessato, se siete misericordiosi, mi perdonerete.
Questo mi pare che sia importante. Preferisco sbagliare nel dare fiducia piuttosto che indovinare e non averla data. Per me, questo é un principio che corrisponde a me stesso. Ho coscienza di non essere il più intelligente di tutti e molto volentieri mi servirò delle belle intelligenze non per strumentalizzarle, ma per arricchire le mie possibilità di sapere le cose. Non so tutto. E’ un po’ un atteggiamento clericale, questo di sapere tutto su tutti gli argomenti. Per mio conto non so tutto neppure nelle cose che dovrei sapere. Questo forse lo dico con dispiacere dei superiori del seminario e con un certo conforto degli alunni, perché quando andavo a scuola forse facevo un po’ come loro, ma so già che ci sono molti di voi che mi potranno aiutare a conoscere o a imparare quelle cose che ancora non so e che dovrei sapere.
Ho coscienza di poter sbagliare. Lo metto in preventivo non solo per voi ma soprattutto per me e, quando mi direte che ho sbagliato non pretendete che vi dica subito: hai ragione; può darsi che non ve lo dica subito, ma, poco per volta, se ho compiuto uno sbaglio, cercherò con tutta la buona volontà di riconoscere che ho sbagliato.
Non faccio il furbo: non é la mia prerogativa. Se qualche volta me ne venisse la tentazione la vinco anche con certa facilità.
Rido volentieri sulle battute azzeccate sul mio conto. Se ne inventate delle belle mi fate piacere. Questa è una facoltà particolare che vi conferisco: concedo larga libertà al “ius mormorandi ecclesiasticum”. Non mi offende sentire la verità anche quando mi può fare dispiacere.
Che cosa fare? Se sarò bravo, per un anno almeno, non farò nulla: nel senso che non toccherò niente e nessuno. Credo che questo me lo concediate e che siate capaci di avere pazienza per un anno. Moltiplicherò i contatti per conoscere voi, le nostre popolazioni e le nostre situazioni. Non solo vi accoglierò tanto volentieri in quelle solenni sale dell’episcopio, ma, per quanto mi sarà possibile, cercherò di renderlo possibile, di venire io da voi. Perciò quello strumento che ha sollevato qualche interrogativo, e che é la macchina, e oltre la macchina sono rifornito di un registratore e della cinepresa, sono strumenti ci comunicazione… Va Bene? Potete anche avvisare le popolazioni, quelle più vicine, che il vescovo che arriva così non è il vescovo che viene a fare l’ispezione, ma il vescovo che viene a trovarvi dove siete, come siete, che vuole vedere le cose come stanno.
Monsignore si è riferito ad un certo spagnolismo: tronchiamolo allora anche in questo senso. Ha detto di non mettere niente tra me e voi: non mettiamo niente e nessuno, cerchiamo di fare le cose così. A questo proposito vedrò, oltre a tutto andiamo verso una stagione poco felice per gli spostamenti in macchina. Da quindici anni non sono più abituato ad immergermi nella nebbia e a viaggiare su strade ghiacciate, comunque… Quando verrò non fatemi venire per delle “cerimonie”.
Uno di voi mi ha già invitato per una inaugurazione; si presenti pure al segretario che lo metta in nota che’ io accetto di venire per quella inaugurazione. Ma, mi raccomando: niente bambina che recita la poesia. Capite che è tempo perso? E’ meglio che stiamo due minuti di più insieme, che ascoltare una bambina che recita la poesia. Non fate spese per i cuscini e i drappi. Tenete quei quattrini per un pacchetto di sigarette o per qualche cosa d’altro. Per tranquillizzare il cerimoniere: le azioni liturgiche le compio secondo le prescrizioni e le rispetto, ma ciò che non è prescrizione liturgica e che è superata evidentemente non come supposizione, lasciamola da parte perché questo facilita l’incontro.
Datemi la possibilità di venire – se potrò venire – io lo desidero: per una adunanza di giunta parrocchiale eccetera. Non vi dico per una cenetta. C’è qualcuno che si é preoccupato per il menù. Lasciatemi anche il tempo di scoprire la cucina mantovana. E, quando viene il vescovo, ricordatevi di chiamare dei confessori, dei confratelli, ma non un supplemento di domestica per fare un pranzo diverso da quelli che siete soliti fare. Con molta semplicità, con molta naturalezza altrimenti il vescovo lo collocate ad un livello che non è quello giusto perché non è più quello del pastore!
Che cosa desidero da voi?
Particolarmente desidero:
– che studiate;
– che mi lasciate il tempo di studiare;
– che mi aiutiate a studiare.
La cosa non solo più urgente, ma più importante che esiste nella Chiesa santa di Dio, che esiste in mezzo a noi ecclesiastici, con o senza zucchetto, è quella dello studio. Non abbiamo studiato sufficientemente quando abbiamo studiato – sono io il primo a riconoscerlo – non abbiamo studiato come si doveva perché, almeno quelli che si aggirano intorno alla mia età, si studiava con altri criteri e anche il contenuto di ciò che si studiava non era precisamente o, per lo meno interamente, la verità di Dio, il contenuto della rivelazione. Perciò noi abbiamo urgente bisogno di studiare.
Lasciate da parte qualche iniziativa, e, se avete in mente di restaurare il campanile o di comperare la statua di S.Rocco… con quei quattrini andate a comperare dei libri – c’é la mostra del libro cattolico- ma non per metterli negli scafali. Abbonatevi a qualche buona rivista (non a quelle riviste che preparano tutto fatto) e dedicate, del vostro tempo a studiare. Questa non è la raccomandazione che facevano in passato i predicatori degli esercizi. Allora era riprendere i libri di scuola e rinfrescare la memoria. Qui è tutto un tesoro da riscoprire, da approfondire, da assimilare. Non escludo le altre scienze che entrano proprio nell’ambito, nella esigenza della rivelazione: tutte quelle che sono chiamate scienze sussidiarie ma che non lo sono perché sono esigite dalla natura stessa delle cose create da Dio e quindi sono teologiche anche quelle; ma in particolare noi abbiamo bisogno urgentissimo di dedicarci alla conoscenza cristiana, religiosa, vitale della Parola di Dio.
Io, qui, non materialmente, parlo dove ha parlato S.Pio X, dove Pio X ha maturato una riforma decisiva per i tempi moderni. Ma Pio X è stato capito e seguito solo parzialmente. Pio X non voleva la comunione frequente isolata, per se stessa, la voleva nel contesto liturgico. Allora, nel contesto liturgico la eucarestia prende senso dal contenuto della Parola di Dio. La ” Dei Verbum”, che mette allo stesso livello la Mensa eucaristica e la mensa della Parola di Dio ci dice espressamente e con la solennità del Concilio ciò che era nella mente di S.Pio X. Corrisponde al nostro impegno storico particolare di studiare i contenuti della Rivelazione, di nutrirci della Parola di Dio, di nutrircene vitalmente.
Lo dico esplicitamente per non lasciare qualche lacuna, qualche dubbio: studiare equivale pregare, nutrire la nostra preghiera. Non parlo contro il rosario o con meno rispetto del rosario o di altre devozioni ma, il rosariare, il devozionare senza essere nutriti di Parola di Dio era tutto illusorio, non ha prodotto vita cristiana, ha messo in circolazione – stavo per dire in commercio – un cristianesimo vuoto, inefficace, non autentico. Quindi il mio desiderio è che studiate, che lasciate anche a me il tempo di studiare e che mi aiutiate a studiare. Lo studio fatto insieme, oggi, è una cosa indispensabile ed è il modo più efficace e più fruttuoso di studiare. La seconda cosa che desidero è che vi vogliate sempre più bene tra di voi.
La Chiesa, nella sua sostanza è una comunione di vita di amore, analoga a quella che vige nell’intimo della vita trinitaria e, se non c’è amore a livello ecclesiastico, non possiamo pretendere che ci sia amore nel popolo di Dio: nella Chiesa; e non possiamo pensare che ci sia la Chiesa di Cristo perché Cristo è presente solo dove c’è carità e dove la parola carità ha il senso più pieno, che é il soprannaturale che investe il naturale, che investe il cuore, la sensibilità e tutti i modi di esprimere l’amore verso tutti.
Qui metto “tutti” nel senso inteso da monsignore che ha parlato prima. Nolite iudicare et non iudicabimi.
Credo che nella Chiesa santa di Dio sia ancora contrario anche il tribunale… Però prima di arrivare al tribunale, quel dict ecclesiae e noi personalmente con tutta la nostra carità autentica, umana, di uomini capaci a volere bene e, volere bene significa prendere le persone come sono, non volere le persone che noi desideriamo. Non sono venuto per quelli che stanno bene ma per gli ammalati: il padre del figliolo prodigo. Stiamo attenti a non acquistare la mentalità del primogenito. Vedete che non vi parlo di obbedienza al vescovo perché, se vi volete bene tra di voi – mi rivolgo al mio parroco, al parroco del duomo… la mia mamma può stare tranquilla!
Poi desidererei – lo metto al condizionale perché è una cosa impegnativa e piuttosto difficoltosa, ma lo desidero e ci dobbiamo arrivare -che: prepariate i laici ad assumere i loro compiti e le loro responsabilità nelle comunità parrocchiali e nella Chiesa. Questo vuole dire, come si è soliti esprimerci oggi, educare ad una fede adulta. Ma per educare ad una fede adulta bisogna dare delle possibilità da adulti, bisogna dare modo che si prendano delle decisioni e delle iniziative da adulti, che debbano, quindi, nel loro ambito, essere autonomi. Ricordiamo che una delle ragioni – dico una- dell’anticlericalismo italiano passato e anche presente che non é meno pericoloso, dipende dal nostro clericalismo. Perciò desidero – e io lo devo fare per primo – che vi prepariate a cedere ai laici tutto ciò che loro compete.
In ultimo vi assicuro che vi sarà reso conto di tutto nei modi più opportuni, che significa nei modi più veri, più chiari.
L’opportunità, caso mai, riguarda che il resoconto sia fatto ai sacerdoti, eventualmente anche a qualche laico, ma che non sia, per esempio, pubblicato. Per quanto sarà possibile, desidererei non lo fosse pubblicato neppure su “Settimana del clero” quello che facciamo noi in qualsiasi campo. Non è che io non stimi o non apprezzi “La settimana del clero”: qualche volta ho dato anche qualche piccolo contributo. Sono amico del Direttore il quale si giustificava dicendo che è “per muovere le acque” ma certe iniziative pubblicate, come sono risultate fasulle! E poi, prendiamo lo stile del Vangelo: “non sappia la destra ciò che fa la sinistra”.
Vi assicuro che prepareremo insieme gli organismi che vi diano modo di prendere parte responsabile attiva al governo di tutta la diocesi. Lo faremo insieme: piano per fare bene. Queste cose non si possono improvvisare. Naturalmente in un primo tempo le faremo come esperimento. Non si possono improvvisare, quindi, cerchiamo di studiare bene e prepararci bene insieme al governo di tutta la diocesi.
E’ vero: come ogni Vescovo provvede al bene di tutta la Chiesa governando bene la propria diocesi, così ogni parroco, ogni sacerdote, conferisce al bene di tutta la Chiesa facendo bene ciò che gli è affidato, curando bene, per esempio, la propria parrocchia. Ma, la propria parrocchia non è Chiesa, non è la Diocesi se è dominata dall’ombra del campanile, se è chiusa nei propri interessi, se è isolata nelle proprie iniziative. Abbiamo presente tutta la Chiesa cattolica, tutto il mondo; allarghiamo gli orizzonti!
Facilmente abbiamo la tendenza innata che ci viene dal peccato originale -lo mettete ancora in dubbio il peccato originale?- all’egoismo. Vogliamo partecipare al governo di tutta la diocesi? Allora tutti dobbiamo lavorare perché c’é un unico interesse, quello della chiesa che si raccoglie in Mantova nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
C’è un’altra cosa a cui tengo moltissimo e credo che anche voi, prima di me, ci teniate: un saluto, un pensiero a Monsignor Poma espresso in questo telegramma: “A S. Ecc.za Mons. Arcivescovo Antonio Poma Bologna. Celebrando primo incontro sacerdotale con nuovo pastore ricordiamo con riconoscente affetto la persona, l’opera del Vescovo che lo ha preceduto rinnovando propositi di fraternità sacerdotale e comunione con tutti i pastori della Chiesa postconciliare. Vescovo e sacerdoti mantovani”.
OM 81 Sacerdoti 67