La sua intelligente e convinta riproposta dei grandi orientamenti del concilio appartiene alla storia della Chiesa di Mantova. Nel ripensare il mio percorso, vedo che il credito più importante io l’ho ricevuto dall’incontro con l’allora don Carlo Ferrari, padre spirituale nei due seminari di Tortona, che, diventato Vescovo, mi volle con sé per tutti gli anni del suo episcopato a Monopoli e a Mantova, fino al 1985 (ma i rapporti continuarono fino alla sua morte nel 1992).
Dal groviglio dei ricordi estraggo solo tre fili, per me – oggi più di ieri – veri fili di Arianna nel labirinto del nostro vivere quotidiano, ma anche fili che portano al cuore e al midollo di una vita di fede bene intesa, a un’esperienza di Chiesa che insieme abbiamo vissuto e non dovrebbe essere dimenticata.
1 ) L’intenzione personalistica che in lui fu precocissima (i miei ricordi risalgono agli anni in cui ero studente di teologia) e sempre si esprimeva nella forma classica ripresa dalla teologia di s. Tommaso: la persona è relatio ad: capacità e bisogno costitutivo di relazione con gli altri e con l’Altro. Anzitutto in questo è la verità del nostro essere e il senso del nostro vivere, la vocazione umana fondamentale, antecedente ogni determinazione individuale o sociale che ne possiamo dare.
Oggi tutti, a parole, sono d’accordo nel riconoscere la “centralità della persona” salvo dimenticarsene spesso e facilmente in nome della tanto decantata autorealizzazione, che è il mito individualistico forse più frequentato del nostro tempo e l’esatto contrario del personalismo cristiano.
Ricordo solo due espressioni che, di questo suo “fondamentale” dava il Vescovo Carlo. Ha ripetuto spesso: «Preferisco sbagliare dando fiducia alle persone, che non sbagliare negando loro la fiducia». Il rispetto per il mistero della persona da anteporre anche al lavoro ben fatto.
E un’altra sintesi,da lui espressa tranquillamente davanti ai vescovi lombardi in un corso di esercizi spirituali del 1988:« Dio è persona,noi siamo persone, per questo esiste un’alleanza tra Dio e noi. Per questo l’alleanza voluta da Dio tende a formare un popolo di persone». Difficile dire qualcosa di tanto importante con maggiore semplicità e stringatezza e con un minor numero di parole.
2) La riscoperta della Parola di Dio come storia.
Della Parola di Dio nelle Scritture si era fatto per secoli, anche nella Chiesa, il documento base per una visione del mondo, o peggio, il repertorio a sostegno di una teologia concettualistica e disincarnata.
La costituzione Dei Verbum ha chiarito con tutta l’autorità del Concilio che la Rivelazione non è questo; è una storia teandrica, cioè una vicenda di rapporti interpersonali tra le Divine Persone e ogni credente, chiamato a formare il popolo di Dio, il quale è a sua volta una comunità di persone.
Ne deriva, a livello di spiritualità, che l’incontro con la Parola è chiamato ad avere il realismo, l’immediatezza, anche le risonanze emotive che sono propri di un incontro tra persone, e di fare strada insieme,bello e drammatico,che può segnare per sempre il nostro destino nel tempo e al di là del tempo
A livello di proposta pastorale, ne scaturisce per il Vescovo Carlo una linea di fondo centrata su questo incontro con la Parola incarnata, linea da cui il Vescovo fa discendere le scelte qualificanti del suo ministero: del “resto fedele” della catechesi esperienziale, dell’impegno prioritario per gli adulti e per la famiglia.
Scelte che hanno questo in comune: di rivolgersi a tutto l’uomo, non solo a qualche sua facoltà o a qualche fase del suo sviluppo, cioè di considerare la persona e di proporle la sua piena maturazione “in Christo Jesu Domino nostro” come dice San Paolo, o nella verità dell’amore, come dice oggi Benedetto XVI.
3) La distinzione tra il centro e la periferia e la proposta di un continuo andare e venire dal centro alla periferia e da questa all’unico centro.
Per il Vescovo Carlo e per il cristiano, il centro non può che essere il mistero delle Divine Persone, mentre la periferia è il vario e vasto articolarsi del mistero nella storia del popolo di Dio e in tutta la storia umana.
Senza questo “va e vieni” senza questo confronto continuo con il centro di irradiazione significativa e salvifica, vien meno il criterio fondamentale per la valutazione degli eventi; conta soltanto il numero, la quantità, il successo comunque ottenuto, la mobilitazione e la rappresentazione mediatica: come infatti sta avvenendo, in un contesto sociale e culturale che si banalizza sempre di più.
Da ultimo, non posso certo dimenticare ciò che ho ricevuto da un’esperienza di ventitre anni al settimanale diocesano, inteso qui non come prodotto cartaceo, ma come insieme di persone che contribuiscono a costruirlo, pagina dopo pagina, a farlo uscire regolarmente e a diffonderlo. E’ ovvio che potrei dire molte cose su quest’esperienza, ma limito a una sola.
Insieme a impegno di discernimento, a tentativi di crescita qualitativa e diffusionale, il settimanale mi ha dato la possibilità, nel suo genere unica, di quel “va e vieni” di cui dicevo prima tra il centro e la periferia.
Il centro, che qui è da intendere specialmente come centro diocesano, parola e attività del Vescovo, iniziative degli organismi diocesani e la periferia, per nulla periferica, delle parrocchie, delle associazioni, del volontariato, della vita sociale e culturale, insomma il radicamento delle persone nel loro territorio e lo scambio con il centro diocesano, provinciale, con il capoluogo.
Non poco della storia di questa Chiesa diocesana ha trovato un volto, una lettura, delle prospettive di impegno e di futuro nelle pagine del settimanale.
E noi ne siamo stati i primi testimoni, non dico i migliori, ma, in tanti casi, i più interessati a far sì che il “va e vieni” continuasse e che l’esperienza di pochi potesse venir condivisa da molti.
Il settimanale ci ha dato, insieme con altri strumenti, come la radio diocesana, la possibilità di far circolare del sangue buono e nuovo nell’organismo della Chiesa locale.
Come non esserne grati alle persone che qui lavorano e,molto di più, al disegno delle Divine Persone che di noi ha voluto e ancora vuole avvalersi.
Don Benito Regis
Il segretario dal 1952 al 1992