Ho visto la Chiesa
La parola del vescovo
Carissimi,
lo scorso Natale, quando vi comunicavo le mie impressioni sull’incontro della Terra Santa e del Papa, non avrei sospettato di avere, a così breve distanza di tempo, da rendervi partecipi di una esperienza che non è comune nella vita di un Vescovo: quella del Concilio.
Pur rimanendo nell’ambito delle esperienze religiose e precisamente del mistero della presenza dell’azione di Dio che salva il mondo, quella del Concilio certamente e la più singolare che possa capitare su questa terra.
Se io penso che per due mesi, tutti i giorni sono stato a contatto con tutti i Vescovi del mondo nella casa del Padre comune, il Papa, se io ripenso a tutto ciò che ho saputo di loro e da loro, veramente posso affermare di aver visto la Chiesa.
Sì, io ho visto e ascoltato degli uomini, ho scoperto delle situazioni e delle preoccupazioni concrete, di questo mondo; e questa è stata una visione diretta di personalità spiccate di culture insospettate, di espressioni, alle volte drammatiche di spiriti superiori; e anche queste cose non si trovano, in eguale misura, in nessuna assemblea di uomini. Tuttavia non è principalmente questo che ho visto.
Per due mesi continui è stata tutta una traduzione dal tesoro del Vangelo di Nostro Signore, di quella perla di inestimabile valore che è la sua Chiesa.
Gli uomini, le espressioni, le situazioni, i problemi sono soltanto il rivestimento di un mistero, cioè di un valore profondo, reale, carico di efficacia divina, inserito nel mondo per salvarlo.
Prima di partire per il Concilio vi avvertii perché non vi confondeste al punto di scambiare il Concilio con la cronaca del suo svolgimento; non so fino a qual punto ci siete riusciti.
Ora oso dirvi che neppure quell’imponente e solenne manifestazione di apertura, che attraverso la televisione vi ha tanto colpito, era una parte sostanziale del mistero di cui vi parlo, ma solo un rivestimento sotto un certo aspetto necessario-, sotto altri forse neppure opportuno.
Chi l’ha visto dall’esterno poteva ricevere l’impressione di una potenza schiacciante; come potrebbe ritenersi un valore del tutto umano la forza della dottrina di un numero così elevato di Padri conciliari, oppure la loro completa e sostanziale unità, anche tra le divergenze più vive. Quella non è la Chiesa, quella non è la sostanza del mistero.
Io ho visto e udito quegli uomini, così solenni nei loro ricchi paludamenti, così dotti nelle loro esposizioni, così forti nella loro compattezza, tutti protesi a far risplendere sul volto della Chiesa, che in parte impersonavano, lo splendore che vi ha impresso il suo Salvatore, e che il tempo e le vicende degli uomini possono avere offuscato.
Atteggiamento di servizio
Avete udito anche voi, fin (dal primo messaggio rivolto al mondo, i Padri protestare che la Chiesa non è nata per dominare ma per servire, dal momento che deve assicurare la presenza nel mondo di Gesù Cristo, il quale « non è venuto PER essere servito ma per servire » (Matteo 20, 28).
E durante lo svolgimento dei lavori conciliari essi non hanno cessato di ribadire che il loro potere di ammaestrare, di guidare, di santificare non li poneva al di sopra dei loro fratelli, ma precisamente al loro servizio, ancora secondo l’insegnamento del Maestro: « il Primo tra di voi sia come l’ultimo ». Ed è ben chiaro nella coscienza di ogni Vescovo del mondo che, nella loro persona, ogni segno distintivo va riferito alla trascendenza di Dio e alla efficacia della sua salvezza e non a loro stessi.
Senso di impotenza
Quale tentazione potrebbe costituire per degli uomini il numero, la rappresentanza, la posizione, per far valere le ragioni della verità e del bene di cui sono depositari!
Codesta tentazione non sfiora (che mistero !) l’anima dei Padri radunati in Concilio sotto l’azione dello Spirito di Dio.
La loro forza non sono la loro capacità di persuasione umana, le loro disponibilità di potenza terrena, economica e politica, la loro organizzazione; la loro forza sta nella loro debolezza. Ecco il paradosso, ecco il fondo del mistero! Più le espressioni di forza umana scompariranno, più sarà presente ed attiva la presenza dello Spirito Santo: «E parliamo non con parole suggerite dalla sapienza umana, ma con parole suggerite dallo Spirito » (I Cor. 2, 13); « Gli stolti agli occhi del mondo Dio ha scelto per confondere i sapienti e i deboli del mondo ha scelto Dio per confondere i forti e gli ignobili e spregiati dal mondo ha scelto Dio, insomma le cose che non sono per annientare quelle che sono, perché nessuno possa darsi vanto dinanzi a Dio» (id 1, 27-29).
Atteggiamento di rispetto
Al Concilio è stato inteso con lo stesso interesse e con lo stesso rispetto Techidimbo Raymund proveniente dalla Guinea come Spellman proveniente da New York, sono organi dello Spirito Santo quelli che fino a ieri saltavano da un ramo all’altro nella giungla come quelli che da un secolo si spostano con le macchine; hanno ragioni valide quelli che riconoscono S. Basilio come Maestro come quelli che si sono formati su S. Tommaso; ha diritto di cittadinanza chi si esprime secondo le categorie di Aristotele come chi si esprime secondo tutt’altre categorie.
La Chiesa che si affaccia dal Concilio non è ebrea, ne greca, ne barbara; è quella di Gesù Cristo che è venuto a spargere il suo Sangue per la redenzione di tutto il mondo e vuole salvare ogni uomo. E’ la Chiesa che non si identifica con nessuna civiltà ma vuole entrare in ognuna come il lievito, come il Figlio di Dio che si è incarnato nella nostra umanità.
Senso della pazienza
La Chiesa attua tra gli uomini di ogni tempo il senso complesso e completo del Regno dei Cieli.
Oggi gli uomini vorrebbero una Chiesa tollerante: una più viva coscienza della dignità della persona, il valore ben inteso o mal inteso della libertà tendono a mettere sullo stesso piano verità ed errore, bene e male. Gesù Cristo non ha inteso così le cose: Egli è l’autentico assertore della dignità umana e della libertà, ma non dà lo stesso valore al bene e al male, alla verità e all’errore; è soltanto paziente, è in atteggiamento di attesa verso chi sbaglia, verso chi fa il male; non dice di strappare la zizzania, come non si stanca di camminare sulle piste della pecorella sbandata, come non cessa di attendere il figliuolo smarrito.
Ogni uomo che nasce in questo mondo può diventare un figlio di Dio, ha diritto di entrale nella Chiesa perché il Sangue del Figlio di Dio lo ha reso degno. Nel Regno dei Cieli, cioè nella Chiesa, persino i cani si cibano delle briciole della mensa dei figli. Questo è il senso delle voci dei Vescovi del mondo che vivono la vita della Chiesa in tutte le situazioni: nella privazione come nel godimento della libertà, a contatto con maggioranze incredule e pagane, in mezzo a fedeli o avversari; senza mire di sopravvento ma ansiosa della salvezza di tutti.
E poi dite che la Chiesa e intollerante!
Predilezione per i poveri
Nell’aula di quello che si può definire il Parlamento di Dio ritorna per ogni tema la presenza dei poveri.
Non c’è nessun tono demagogico, non ci sono mire classiste; è ancora una espressione del mistero della Chiesa, è la presenza operante del Salvatore del mondo, che ha decisamente affermato che riguarderà come fatto a Lui tutto ciò che si fa per chi si trova nel bisogno, e che di questi è il Regno dei Cieli.
C’è uno stimolo per ogni Padre conciliare: la carità di Cristo; c’è una norma: “Chi vede il suo fratello nel bisogno e gli chiuderà il suo cuore, come potrà rimanere in lui la carità di Dio?”. (1 Giov. 3, 17).
Come è drammatico l’accento della voce dei Vescovi che sono Pastori e Padri di popolazioni prive di libertà, mancanti del minimo indispensabile per sostentare la propria esistenza, che soffrono le conseguenze di una pace conservata con una profusione ingente di ricchezze che si potrebbero trasformare in pane
E’ Gesù Cristo che grida alla loro coscienza: “Ebbi fame e non mi avete dato da mangiare! “.
E coloro a cui incombe il compito di continuare a piantare la Chiesa si orientano verso il terreno adatto: i poveri. Ogni bisogno di pane, di difesa, di cura, di bontà dispone a un sentimento di povertà di spirito, a quell’atteggiamento che tutta la letteratura profetica dell’Antico Testamento e la predicazione di N. S. Gesù Cristo hanno indicato come indispensabile per disporsi alla salvezza, la quale consiste nel riconoscere la propria insufficienza e l’assoluto bisogno di Dio.
Carissimi, vi ho detto le impressioni più forti che mi hanno colpito durante la celebrazione della prima Sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Posso assicurarvi che queste mie intuizioni matureranno in completezza, in vigore, in grazia, alla conclusione del medesimo.
Di questi giorni, nei quali la liturgia ci mette a contatto dell’ineffabile mistero della apparizione in mezzo agli uomini della benignità e dell’umanità di Dio nostro Salvatore (II Messa di Natale), è di estremo conforto constatare che quella “umanità e bontà” è più viva e presente che mai in questo mondo che adora la forza e vive sotto l’incubo di essere annientato dalla stessa forza.
Esiste un « Segno » in mezzo alle nazioni: la bontà, la bontà di Dio, la Chiesa nostra Madre.
In tale segno vi rivolgo gli auguri più affettuosi e vi benedico.
Carlo Ferrari Vescovo
Natale 1962.
Stampa: Bollettino Diocesano di Monopoli ,Dicembre 1962, pag. 13-16
Opuscolo augurale