Ho avuto la grazia di scoprire e di conoscere il Padre fin dai lontani tempi della teologia. Questa conoscenza è andata sempre piú crescendo e ha segnato la mia vita spirituale e il mio ministero. lo sono stato definito una colonna di granito liscio che non offre nessun appiglio sentimentale, tuttavia la paternità di Dio mi ha talmente impregnato da lasciare segni indelebili in coloro che ho incontrato nel mio lungo ministero. Questa è la mia testimonianza al Padre, il quale tiene il primo posto nella storia della salvezza come è attestato dalle divine Scritture.
Il protagonista delle opere e delle parole narrate nell’Antico Testamento è il Padre. Soltanto nel Nuovo Testamento emergono con chiarezza le persone dei Figlio e dello Spirito Santo.
A cominciare dalle prime pagine della Bibbia, Dio dispiega la sua potenza e la sua sapienza nella creazione dell’universo, rivela in particolare il suo amore nella creazione dell’uomo e della donna; il castigo del peccato è accompagnato dalla promessa di un salvatore. Il rapporto con i Patriarchi è quello di un Dio misterioso, ma che interviene concretamente e si fa garante di promesse che alimenteranno la loro speranza in un avvenire pieno di grazia.
La vicenda centrale di questa lunga storia è l’Esodo. Dio si rivela a Mosè: da una parte nel mistero piú profondo e dall’altra nella preoccupazione manifestata nella potenza, nella pazienza e nella fedeltà di un amore che non può essere piú paterno.
I discorsi che Mosè rivolge al popolo di Dio sono un continuo richiamo alla osservanza della legge: la minaccia e l’esplosione dell’ira di Dio si concludono sempre nel segno dell’amore paterno, cioè nella fedeltà di Dio alla sua alleanza. I discorsi dei Profeti hanno lo stesso senso, e in essi si colgono espressioni commoventi della pietà e della tenerezza del Dio di Israele.
Leggiamo in Isaia (49, 14-1 5): ” Sion ha detto: – il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato -. Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io non ti dimenticherò mai “.
Geremia insiste: ” Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre piú vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui’, provo per lui la piú profonda tenerezza ” (31, 20-21).
Osea riassume così: ” Come potrei abbandonarti Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Adma, ridurti allo stato di Zeboim? li mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non un uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò nella mia ira ” (11, 8-9).
Sappiamo che le parole dei Signore sono rivolte direttamente al suo popolo, ma sappiamo anche che hanno lo stesso senso per ogni membro di questo popolo.
Dio è rivelato pienamente come Padre nella Nuova Alleanza. Il Vangelo, che molte volte abbiamo ridotto a un codice di norme morali, è essenzialmente il lieto annuncio che Dio ci è Padre. Gesú Cristo nelle sue parole e nelle sue opere è tutto riferito al Padre, lo Spirito Santo compie la rivelazione della paternità di Dio.
Gesú entrando nel mondo dichiara apertamente: ” Allora io ho detto: ecco, io vengo – poiché di me è scritto nel rotolo dei libro – per fare, o Dio, la tua volontà ” (Ebr 10, 7-9). Quindi soggiunge: ” Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato ” (Gv 6,38); ” Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi 1,a mandato ” (Gv 4,24). Ai suoi seguaci Gesú insegna a perdonare come il Padre perdona, ad amare come il Padre ama, ad essere perfetti come è perfetto il Padre (cfr. per es. Mt 8, 48). La cosiddetta parabola del figliol prodigo è la piú commovente illustrazione della bontà del Padre (Lc 15, 1-32). Gesú parla talmente bene del Padre e con tanto entusiasmo che Filippo dice: ” Mostraci il Padre e ci basta “. Risponde Gesú: ” Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi dire mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro credetelo per le opere stesse ” (Gv 14, 8-13).
Le teofanie del battesimo e della trasfigurazione hanno al centro il Padre che proclama Gesú suo Figlio prediletto.
Il mistero finale della vita di Gesú, la sua passione e morte, è tutto un dialogo del Figlio con il Padre, di cui compie la volontà e nelle cui mani rimette lo spirito.
La persona del Padre costituisce e definisce il fondamento della persona umana. Di questo Padre noi siamo i figli: non di nome ma di fatto, così che il nostro comportamento morale non è comandato da una legge ma da un rapporto personale, che corrisponde alle nostre relazioni di figli con il padre.
Questa è una affermazione ardita; ma dobbiamo convincerci che non faremo mai il passaggio dalla economia della legge a quella della fede e della grazia, finché non concepiremo la nostra condotta morale come un rapporto unico e distinto con le Divine Persone.
L’esperienza mi spinge a insistere su questo che è il punto nodale della vita cristiana: la condotta morale non è un legame estrinseco che unisce la volontà umana con quella di Dio; la morale cristiana è un rapporto della persona umana tutta intera con le divine Persone; questo rapporto è costituito essenzialmente dalla partecipazione alla stessa natura divina (cfr 1 Gv 3, 1), dalla vita sovrabbondante che ci porta il Figlio (cfr Gv 10,10), dalla capacità di camminare secondo lo Spirito (cfr Rom 8, 3-4).
Come sempre, l’ignoranza delle Scritture ci ha riportati sotto il dominio della legge: si sono prodotti volumi e volumi di teologia morale, i quali non erano altre che una illustrazione dettagliata dei comandamenti, in genere, senza riferimento al Dio della Grazia.
E’ normale che ci voglia ancora tanto tempo e tanta fatica per il passaggio da una economia della legge a quella della fede.
Soffermiamoci a leggere, meditare, contemplare i testi biblici che affermano la nostra costituzione di figli di Dio.
” Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito dei suo Figlio che grida: Abbà, Padre! ” (Gal 4, 4-6). ” In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi ” (Ef 1,4); ” Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio ” (Rm 8,16). ” Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre! ” (Rm 8, 14-1 5). ” Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente… carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato ” (1 Gv 3, 1-2).
Essere figli di Dio non è una pia affermazione, ma è la sostanza della vita cristiana, della nuova economia che è supposta dalla nuova creazione.
Non resisto alla tentazione di ricordare che per troppo tempo si è affermato: ” essere in grazia di Dio significa non avere peccati mortali sull’anima ” e si portava avanti una azione pastorale (missioni, ritiri di perseveranza, ecc.) orientati a stimolare le persone a vivere in grazia di Dio, intesa come assenza del peccato mortale. A questo scopo si teneva una insistente predicazione dei “novissimi” per inculcare la paura dell’inferno, prescindendo dalla lieta novella che Dio ci ama di un amore infinito, fedele e misericordioso e che di questo Dio noi siamo, di fatto, figli.
E questo, come abbiamo già piú volte avvertito, è avvenuto perché ci