Giovedì della settimana santa 1976 in sant’Andrea
Carissimi, apriamo il nostro cuore alla intelligenza di ciò che facciamo insieme. Tra poco saranno portati davanti a noi olio, profumo, pane, vino e acqua. Sono elementi naturali che in seguito della nostra preghiera liturgica, acquisteranno un valore di carattere sacramentale, di simboli, di strumenti dell’attuazione nella chiesa, nei momenti più lieti e significativi della continuità, della presenza di Cristo Salvatore in mezzo al mondo.
L’olio profumato nel linguaggio biblico e in quello della liturgia é simbolo di gioia con cui si onorano gli ospiti e i cadaveri per la sepoltura. Con l’olio si guariscono i malati, si espellono i demoni. L’olio é simbolo e strumento di consacrazione. Non occorre richiamare il simbolismo del pane e del vino e dell’acqua. Tutti questi elementi nella loro assunzione biblico – liturgico, sono evocativi della presenza e dell’azione dello Spirito Santo. La gioia e i suoi componenti sono frutto dello Spirito Santo. Egli é la medicina dei corpi e degli spiriti Per la sua potenza sono scacciati i demoni. Egli in persona é la consacrazione.
L’unto per eccellenza é Gesù, il Cristo, il Messia. Egli é unto in Spirito Santo nel momento in cui lo Spirito ha adombrato Maria vergine per il suo concepimento, nel momento del battesimo quando scende su di Lui all’inizio della vita pubblica in forma di colomba, e rivela la sua identità: “Questo é il mio figliolo diletto. Ascoltatelo”. Gesù va incontro alla morte e si offre nello Spirito Santo. Tutti questi momenti del mistero totale di nostro Signore Gesù Cristo, Verbo fatto carne, convergono nella manifestazione finale, oltre la quale non si può andare: la sua morte quando, come ho detto, nello Spirito offre se stesso.
Questo punto di convergenza di tutta l’esistenza terrena del Cristo coincide con il suo sacerdozio. Cristo é costituito sacerdote. Cristo è il pontefice che con un’unica offerta ha santificato tutti, é entrato per sempre, oltre il cielo, dinanzi all’Altissimo e continua ad offrire preghiere e suppliche per il suo popolo.
C’é un modo di dire a cui corrisponde anche un modo di pensare: che Gesù abbia abolito il culto che nella chiesa in particolare non debba coincidere con le azioni liturgiche. E’ vero che il culto che ha celebrato nostro Signore Gesù Cristo, – il suo sacerdozio -, non é nell’ordine Levitico, non si riferisce al sacerdozio dell’Antico Testamento. E’ un sacerdozio nuovo che Egli celebra. Lo celebra in tutta la sua esistenza, che costituisce il vertice della sua azione di Salvatore. Egli illumina i popoli con il suo vangelo, li raduna intorno a sé con la forza della sua parola perché, lo seguano e, rinnegando se stessi, diventino con lui delle ostie viventi.
Gesù é sacerdote, ostia ed altare! Quindi la Chiesa che continua la sua missione deve esercitare un culto, non avulso dalla realtà delle situazioni in cui l’uomo vive. La ragione é chiara. Come Gesù, nel quale si compie la salvezza di tutto il mondo, offre il sacrificio nuovo nella sua persona e con la sua persona, nel dono di tutto se stesso nella potenza dello Spirito, così altrettanto deve avvenire nella Chiesa.
Sono gesti vuoti, i gesti di culto nei quali non sono presenti e la persona di nostro Signore Gesù Cristo e la nostra persona, per costituire con Lui delle ostie viventi in sacrificio spirituale. Spirituale nel senso che é animato dallo Spirito che coinvolge tutta la nostra persona. Siamo invitati ad offrire i nostri corpi come ostie viventi, cioè, la concretezza della nostra persona in tutte le dimensioni dei suoi rapporti con il creato e con tutti gli altri uomini. Questa é l’offerta che noi dobbiamo fare a Dio, questa è l’offerta che diventa un servizio a Lui dopo essere stato un servizio per i fratelli. Un servizio vero ai fratelli perché da Lui, da Gesù, noi attingiamo la forza dell’amore che testimonia la presenza continua dell’amore di nostro Signore Gesù Cristo nel mondo per salvarci.
Si può dire, che Gesù al di sopra di tutti i suoi pensieri, al di sopra di tutte le sue preoccupazioni al di sopra della sua azione ha voluto garantire nel mondo la continuità dell’esercizio di questo sacerdozio, e, scelti i dodici li tiene sempre con sé, rivela loro i segreti del Regno del cielo, dice a loro le cose del Padre che agli altri racconta in parabole, promette il suo Spirito li manda nel mondo perché siano coloro che suscitano, che animano, che perfezionano quel popolo sacerdotale che é tutto il popolo cristiano. Il giorno di Pentecoste tutto questo avverrà per l’azione dello Spirito Santo.
Non dimentichiamoci che celebriamo la Messa crismale, la Messa dell’unzione, la Messa degli oli, la Messa della consacrazione, la Messa dell’azione dello Spirito Santo, la Messa della nostra consacrazione che é sulla linea della consacrazione degli apostoli.
Ecco, vorrei fare notare, che Gesù non compie la consacrazione degli apostoli nell’ambito ristretto e limitato di una liturgia, ma la compie durante tutto il tempo della vita pubblica: dal momento in cui chiama gli apostoli li tiene con sé, li ammaestra alla sua scuola, dà loro il mandato di annunziare il vangelo, di fare dei discepoli, di battezzare, di convocare nell’unità i dispersi figli di Dio, promette il suo Spirito e il suo Spirito discende.
Gli apostoli sono costituiti da tutto questo succedersi di eventi: da una assiduità di ciascuno di loro con nostro Signore Gesù Cristo, nell’accoglimento di ciò che Egli compie per loro e in loro e che ha una manifestazione eclatante il giorno di Pentecoste. Noi non possiamo dire: gli Apostoli sono stati consacrati nel cenacolo, cioè nel momento in cui Gesù istituisce l’eucaristia. La consacrazione comprende tutto l’arco di tempo in cui essi sono stati con nostro Signore Gesù Cristo. Ho detto che questa azione di Gesù é stata al vertice di tutte le azioni che ha compiuto durante la sua esistenza terrena per garantire nel mondo l’esercizio del suo sacerdozio fino alla consumazione dei secoli, perciò gli apostoli hanno dei successori e noi siamo sulla via della successione apostolica.
Lasciamo stare le strade diverse. La vostra Messa é uguale alla mia Messa. La vostra assoluzione é uguale alla mia assoluzione. Il vostro gesto di battezzare é uguale al mio gesto di battezzare. Voi potete confermare come io confermo. E’ poco ciò che ci distingue. E’ molto invece ciò che ci identifica, ciò che ci rende partecipi di una sola grazia, partecipi di un solo ministero, partecipi di una sola responsabilità.
E allora, voi come me, tutti, insieme, dobbiamo capire la preoccupazione di nostro Signore Gesù Cristo nella formazione dei suoi apostoli. Egli li chiama e noi crediamo di essere chiamati, e abbiamo la coscienza di essere chiamati. La chiamata non si perde nel tempo, nel passato. La chiamata é di tutti i giorni. Tutti i giorni Gesù mi chiama perché io sia sacerdote. Noi, come gli apostoli, non siamo servitori. Rispetto a Lui siamo amici. “Non vi chiamerò servi, ma amici, perché tutte le cose che ho udito dal Padre mio, le rivelo a voi”. < Questo é l’altro elemento della nostra costituzione a ministri di nostro Signore Gesù Cristo.
Vorrei dire, come ho detto per gli apostoli, che il gesto culminante della nostra ordinazione ha senso se veramente noi abbiamo una assiduità di vita con nostro Signore Gesù Cristo, se noi veramente ci preoccupiamo di essere in continuità alla sequela di nostro Signore Gesù Cristo, se noi apriamo il cuore – e questo importa estremamente- alle confidenze di Colui che ha voluto costituirci suoi amici prima che suoi sacerdoti, accogliendo le sue confidenze. Veramente noi, miei cari sacerdoti, siamo i confidenti di nostro Signore Gesù Cristo? Veramente le nostre confidenze le riponiamo in nostro Signore Gesù Cristo? La persona cui facciamo riferimento in tutte le situazioni della nostra vita, é veramente Gesù che ci ha scelti, ci vuole mandare nel mondo, per il mondo?
Questo é di estrema importanza. Lo Spirito Santo che discende su di noi il giorno della Ordinazione, permane in noi! Gli apostoli prima di ricevere lo Spirito Santo, a detta di Gesù stesso, non erano in grado di comprendere il mistero di nostro Signore Gesù Cristo. Noi abbiamo ricevuto in pienezza lo Spirito di Dio, prima di tutto in ordine al nostro ministero. Ma il nostro ministero reale diventa vero, diventa autentico se lo Spirito Santo ci può possedere come ha posseduto nostro Signore Gesù Cristo, se può offrire al Padre tutta la nostra persona come ha offerto al Padre tutta la persona di nostro Signore Gesù Cristo.
Ecco, miei cari, noi celebriamo il nostro sacerdozio, la nostra consacrazione. Non dico che la nostra consacrazione ha degli antecedenti. La nostra consacrazione ha degli elementi costitutivi che sono la vocazione, l’assiduità di vita nella apertura del nostro cuore alla confidenza con nostro Signore Gesù Cristo e la nostra sequela sulle orme di Gesù che tutti i giorni sale al Calvario.
Allora, la Messa che celebriamo tutti i giorni segna un punto di arrivo e un punto di partenza a cui giungiamo con la convergenza di tutto ciò che siamo, di tutto ciò che facciamo e pensiamo e da cui partiamo per andare nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, in umiltà e mitezza, portando in noi la potenza dello Spirito nel quale Cristo si é immolato e nel quale siamo chiamati ad immolarci noi pure quotidianamente per la salvezza dei nostri fratelli. Ecco, in qualche modo espresso il senso della nostra consacrazione.
Ma noi siamo chiamati a continuare il sacerdozio di nostro Signore Gesù Cristo, ad esercitare il nostro ministero nel mondo di oggi. Non stancatevi. Seguitemi in ciò che intendo dirvi in umiltà e semplicità e in spirito di gratuità, per il mutuo conforto, per il mutuo sostegno.
Oggi dobbiamo tenere presente “come ci concepisce nostro Signore Gesù Cristo”, perché gli eventi nei quali ci muoviamo, nei quali si estende l’arco di tempo di esercizio del nostro ministero, rendono più chiara la parola del Signore.
Gesù ci definisce “pusillus grex”. Non siamo “massa”. Non dobbiamo pretendere che la massa di tutti i nostri fratelli sia intorno a noi col proprio consenso. Scusate se uso delle espressioni, così come mi vengono. Dobbiamo prendere coscienza di essere “minoranza”, non solo perché quelli che vengono in chiesa sono sempre più pochi. Vorrei dire “bene” che é nella economia di Dio che il Regno si costruisca, si edifichi in mezzo a pochi, a modo di un piccolo seme. Non solo a modo di un seme, ma di un piccolo seme!
Noi vogliamo vederli tutti, noi vogliamo le chiese piene, noi moltiplichiamo le nostre iniziative, le nostre imprese, e poi costatiamo che non ci riusciamo, che non vengono da noi e diamo la colpa a questo o a quello. Molte cose sono vere. C’é una cosa da tenere presente e che é vera. Al numero 9 della Lumen Gentium, a cui vi rimando, il popolo di Dio é visto sulla continuità del piccolo resto di Israele. Quando mai Israele, tutto intero, é stato fedele al suo Dio? E quando mai il popolo cristiano é stato fedele, nella totalità dei battezzati, all’unico Signore, Gesù?
Se noi continuiamo a preoccuparci del numero e non della qualità, noi non siamo sulla linea di nostro Signore Gesù Cristo. Nella chiesa e nel mondo Gesù ha diritto di essere veduto e può essere veduto soltanto nelle opere buone che compiamo perché gli altri Lo vedano. Le opere che noi dobbiamo compiere nel mondo, quelle suscitate dal nostro ministero, presupposte dal nostro sacerdozio e offerte a Dio e al mondo nella nostra celebrazione liturgica, devono essere queste: che ci vogliamo bene in obbedienza al precetto del Signore. Questo segno aspetta da noi il mondo, salvato a prezzo del sangue di nostro Signore Gesù Cristo!
Noi non ci rassegniamo a prendere coscienza di “altre” dimensioni della chiesa e del raggio del nostro ministero. Ci affanniamo, ci affatichiamo, lavoriamo tutta la notte e non prendiamo niente perché vogliamo prendere tutto. No. Nella nostra persona e attorno alla nostra persona edifichiamo una chiesa dal volto inconfondibile, “senza macchia e senza ruga”, costituita da battezzati che mettono al primo posto il valore del loro battesimo e che perciò aspirano, insieme a noi, ad essere santi perché solo la santità é credibile.
Questo é il presente. Questo é il presente, poi, ad un certo punto, mi verranno in mente tante cose che avrei potuto dirvi e non vi ho detto, ma vi ho già stancati abbastanza. Voi siete intelligenti, tante cose le avete già sentite, tante cose -tantissime cose- le sapete. Dobbiamo avere il coraggio di coloro che sanno perdere, di coloro che accettano la sconfitta, di coloro che accettano il fallimento perché, se siamo inseriti nel mistero di nostro Signore Gesù Cristo e perciò nel mistero della sua persona, Non dobbiamo sfuggire alla sorte della sua persona. La chiesa tutta intera non può sfuggire alle sorti del suo Salvatore.
Sì, nascono tanti interrogativi, però, lasciamo un po’ da parte tutto ciò che fa problema e affrontiamo questo problema, che non pone nessun interrogativo e nessuna incertezza: quello della conformità della nostra persona alla persona di nostro Signore Gesù Cristo, al nostro divino Maestro, al nostro Sacerdote. E poi siamo già nel mezzo di un futuro che indubbiamente cambierà ancora la situazione e noi dobbiamo concepire bene gli avvenimenti. Qualunque sia l’esito di questa gravissima crisi che stiamo vivendo e soffrendo, se siamo sensibili, insieme ai nostri fratelli, dobbiamo prendere un atteggiamento giusto. Ecco uno dei pericoli gravissimi. Noi siamo chiamati ad illuminare e ad animare le istituzioni, anche quelle del mondo, però non dobbiamo confidare in queste istituzioni, non dobbiamo appoggiarci a queste istituzioni, non dobbiamo cercare garanzie da queste istituzioni.
Il Signore può compiere ancora un miracolo. Compisse il miracolo che i preti e i vescovi confidino, non in un partito che vince, ma in Gesù Cristo che é il Salvatore del mondo! Gesù Cristo é con noi! Quanti interrogativi! Quante ansietà! Quasi paura di ciò che può accadere! “Uomini di poca fede”. Siamo sulla stessa barca sulla quale naviga nostro Signore Gesù Cristo. E’ a lui che dobbiamo rivolgerci e pregarlo e gridare e urlare: Signore salvaci! Lui é il Salvatore, perché Lui é il Sacerdote. Lui é il Cristo! E noi con Lui.
OM 544 Giovedì Santo 76