Premesse
Il tema del celibato ecclesiastico è considerato così vivo e attuale che figura ampiamente persino nei grandi rotocalchi. E’ un problema profondamente umano, oltre che morale e religioso, e quando fosse trattato con cognizione di causa e quindi con competenza, e con intenti chiarificatori per una ricerca seria delle vie e dei mezzi di una soluzione positiva, la stessa opinione pubblica ne avvantaggerebbe.
Ciò che invece non giova alla causa, alimentando in un certo numero di Sacerdoti attese infondate e seminando tra il pubblico nuovi motivi di confusione, è un certo modo di affrontare l’argomento (appunto quello dei rotocalchi) che fa larga parte a tutta una serie di motivazioni solo in qualche caso meritevoli di serio esame, ma il più delle volte tendenziose e sfocate, con le quali non ci si propone affatto di contribuire alla soluzione positiva del problema e invece si tende a eliminarlo, magari partendo dal presupposto che la legge ecclesiastica del celibato è superata dai tempi, e ignorando completamente quanto la condizione di vita che tale legge tutela risponda a un’ esigenza sempre più avvertita della consacrazione sacerdotale.
A nostro avviso proprio qui si nasconde l’equivoco più pericoloso.
E’ scontato che la Rivelazione cristiana non identifica il sacerdozio ministeriale con la castità; che certi metodi educativi ecclesiastici qualche volta hanno indotto a degli stati d’animo dannosi, quando le due cose inconsciamente si identificavano; che esistono dei Sacerdoti per i quali questi stati d’animo possono essere fatali; che le condizioni di vita in cui si trova oggi il Sacerdote presenta delle difficoltà, che ieri non rendevano così acuto il problema. [2]
Intanto, per ricondurre il fenomeno a proporzioni più equilibrate I’onestà vuole che si tenga presente quale sia il numero dei «disadattati » in tutti i settori della vita in conseguenza delle difficoltà del mondo di oggi: per esempio, i matrimoni sbagliati, i genitori incapaci, gli educatori impreparati, i professionisti falliti, ecc., sono tutte persone, in numero purtroppo imponente, che quasi sempre accusano i metodi sbagliati del passato, e sono tutte persone che, almeno in parte, potrebbero rimediare alla loro situazione, non accusando le istituzioni del matrimonio, della famiglia e della scuola come strumenti non idonei alla integrazione umana e all’opera educativa; quando trovassero la mano amica che li aiuta a scoprire il valore delle istituzioni e il modo e il mezzo per inserirsi convenientemente in esse, altrimenti non si fa altro che moltiplicare i processi, i quali – può accadere – anziché dare un contributo per adeguare i metodi, mettono in discussione e rischiano di demolire le istituzioni e i valori che contengono.
L’onestà e la carità autentica vogliono pure che ci sia una sincera comprensione per chi si trova in situazioni penose, sia in conseguenza dei metodi e delle difficoltà maggiori, sia per una responsabilità personale – chi è senza peccato getti la prima pietra! – ; poi che si faccia di tutto sul piano morale e su quello materiale per dare un effettivo aiuto a questi nostri fratelli, per ricondurli a scoprire il valore della castità nella loro vita e nel loro ministero e, quando questo non è possibile, per aiutarli a regolarizzare la loro situazione. E’ del tutto disonesto alimentare attese di soluzioni che non verranno ed è ingiusto attentare alla legge che tutela il valore del celibato ecclesiastico.
Osservazioni generali
Partiamo da alcune osservazioni generali per tentare una soluzione chiarificatrice del nostro problema.
Papa Giovanni ha scosso il mondo perché era una incarnazione vivente del Vangelo, testimoniato con la tenerezza sofferta di una amabilità umana dai tratti e dai gesti indimenticabili. Il Concilio ha suscitato un interesse di proporzioni mai verificatesi per un avvenimento religioso, ha acceso speranze per un avvenire migliore anche nei non credenti. La ragione di questo interesse e di queste attese (parliamo di quelle profonde e non di quelle cronachistiche) sta nella coscienza o, per lo meno, in una certa intuizione che la Chiesa ha preso l’impegno di aderire più fedelmente ai valori del Vangelo e di testimoniarli più sinceramente e concretamente nella propria vita. Tutti coloro che hanno temuto (e qualcuno sperato) che il Concilio risultasse capito e forse non hanno neppure letto i documenti.
Oggi poi, tutti i valori, e in primo luogo quelli del Vangelo, poiché sono di ordine spirituale e più impegnativi per la esistenza, sono accettati alla sola condizione che siano concreti ed efficienti. La verità astratta, i principi speculativi non fanno presa, sono accettati e diventano accessibili solo attraverso la pedagogia di una evidente testimonianza. C’è inoltre da ribadire che Gesù Cristo non è il Salvatore per le soluzioni facili, è il Salvatore la cui grazia va sovrabbondantemente al di là di ogni difficoltà che possono creare le situazioni del mondo. Infine deve essere chiaro che proprio questa grazia salva integralmente tutti i valori naturali della persona, anzi li esalta in modo meraviglioso, quindi non si dà luogo a pericoli di mancata integrazione, quando sono state rispettate fedelmente le leggi di una sana pedagogia e di una ascetica autentica.
Il valore della castità
La castità è indubbiamente un valore evangelico di primo ordine; ma non la semplice castità derivante dal rispetto dell’ordine morale, la quale è comune a qualsiasi stato di vita, ma la castità propria del Vangelo: « propter regnum caelorum » (Mt 19, 12). Questa castità perfetta e perpetua è la virtù che più di ogni altra ha una funzione liberatrice, che rimuove ogni impedimento, anche naturale, anche legittimo, all’unico, al sommo, al primo amore di Dio (cf Paolo VI, 12-1-’67); è la condizione per poter avere il cuore indiviso (1 Cr 7, 32-34) e tutto dedito al pensiero delle cose del Signore; è la condizione di coloro che danno testimonianza della futura risurrezione (cf Lc 20, 36). Alla semplice virtù morale la castità del Vangelo aggiunge qualche cosa che va molto al di là di un puro dominio dei propri istinti: è la capacità di attuare il comandamento nuovo (Gv 13, 34) e di anticipare l’annunzio del compimento del Regno di Dio.
Questa castità, come tutti i consigli evangelici, non ha ragione di fine ma di mezzo: il fine è la capacità più libera, più spedita, incondizionata di amare. L’oggetto di questo amore è Dio, il Cristo, la Chiesa, gli uomini e le creature tutte. La castità deve avere, come è nelle intenzioni di Cristo e della Chiesa, la funzione di renderci più capaci di amare, cioè di adempiere pienamente alla nuova legge del Signore. E’ da questo punto di vista che si deve cogliere tutto il suo insostituibile valore.
Questa prospettiva è determinante per una retta impostazione dell’azione educativa del candidato alla castità perfetta e perpetua, il quale non la deve mai perdere di vista, se non vuole ridursi nella triste condizione del « chi non ama, rimane nella morte » (1 Gv 3, 14).
… e la sua complementarietà
Il valore della castità, che le deriva dalla sua funzione liberatrice, nella economia del Vangelo non è isolato. La castità ha una portata imponente per le sue ripercussioni sulle profondità del complesso somatico, psichico, spirituale della persona umana; raggiunge gli elementi più vibranti del composto umano e quindi comporta delle reazioni a livello vitale anche nell’individuo più equilibrato. Per questo sul piano esistenziale è la virtù che pone i problemi più sentiti e che si impongono maggiormente all’attenzione. Chi non li ha risolti dal di dentro o non li vive, può alle volte pensare di trovarsi davanti a fatti di repressione fisiologica e psichica contraria alla natura, a complessi morbosi, a imposizioni inumane; secondo il Vangelo invece si tratta di attuare la legge della perfetta liberazione (cf Gc 1, 25) per godere della felicità di chi comprende, accoglie e fa fruttificare la parola piantata in noi.
Questa totale liberazione però non è operata soltanto dalla castità; forse si potrebbe affermare che ha la sua radice nella povertà evangelica e il suo apice nella imitazione di Cristo « fattosi obbediente fino alla morte di croce » (Flp 2, 8). Uno spirito presuntuoso e un cuore occupato dagli interessi economici, anche se le apparenze possono fare credere il contrario, è meno disponibile all’amore di colui che non fosse casto. Di ciò esiste una indicazione nel senso dei fedeli che sono disposti a scusare un Sacerdote che abbia avuto delle debolezze a riguardo della castità, ma non giustificano mai il suo orgoglio, il suo egoismo e la sua cupidigia di danaro. E’ da augurarsi che il ripetuto richiamo del Concilio sul tema della povertà abbia a rimettere nel retto equilibrio le nostre valutazioni e la nostra condotta.
L’abbarbicamento più tenace e la resistenza più ostinata, che ci impediscono di essere interamente disponibili per l’amore si nascondono nella nostra volontà, nell’attaccamento al nostro io che non si sottomette perché non vuole uscire da se per donarsi. Per questo la castità senza l’obbedienza non raggiunge il suo spiegamento pieno, e tutte le forze che essa, per dire così, incanala per riversarle sugli altri, trovano uno sbarramento e gonfiano fino a straripare con danni incalcolabili. Si veda come S. Paolo pone la conformità a Cristo ubbidiente (Flp 2, 5-11) in relazione alla carità (ivi 2, 14).
La castità evangelica è un dono di Dio
Il Concilio ha richiamato con insistenza questo aspetto gratuito e soprannaturale della castità abbracciata « per il Regno dei cieli ». Parla di un « insigne dono della grazia » (Perfectae caritatis, 12); i candidati al sacerdozio « sentano profondamente con quanta gratitudine debba essere abbracciato questo stato, della perfetta castità, non tanto come cosa comandata dalla legge ecclesiastica, quanto bensì come prezioso dono di Dio da impetrarsi umilmente, e al quale essi, stimolati e aiutati dalla grazia dello Spirito Santo, devono affrettarsi a corrispondere liberamente e generosamente » (Optatam totius, 10), il Concilio ha « piena certezza nello Spirito che il dono del celibato, così confacente al sacerdozio della nuova Legge, viene concesso ingrande misura dal Padre, a condizione che tutti quelli che partecipano del sacerdozio di Cristo con il sacramento dell’Ordine e la stessa Chiesa intera lo richiedano con umiltà e insistenza » (Presbyterorum ordinis, 16).
Il Concilio, che riporta fedelmente la dottrina del Vangelo e la colloca in una prospettiva di sano realismo naturale e soprannaturale, mette in evidenza:
a) che la castità sacerdotale rispetto allo stato coniugale è una condizione di rinunzia: « gli alunni abbiano una conveniente conoscenza dei doveri e della dignità del matrimonio cristiano che rappresenta l’unione di Cristo con la Chiesa; ma sappiano discernere le ragioni della superiorità della verginità consacrata a Cristo, in modo da fare a Dio, la donazione completa del corpo e dell’anima, per mezzo di una scelta operata con matura deliberazione e magnanimità » (Optatam totius, 10). Di conseguenza questa opzione deve essere chiara e attuale nell’animo di chi la compie e deve essere perfettamente motivata dalle ragioni che sostengono tutte le scelte del Cristianesimo: non è semplicemente la scelta del bene rispetto al male o di un valore positivo nei confronti di uno negativo; è la scelta del più rispetto al meno, di un valore superiore in luogo di un altro inferiore. E’ il senso della parabola di colui che con gioia vende quanto possiede e compra il campo in cui ha scoperto che vi è nascosto un tesoro e del mercante che, trovata una perla di gran pregio, va, vende quanto ha e se la assicura (cf Mt 13, 44-46). Questa chiarezza e questa coscienza sono indispensabili per i momenti di nostalgia, di sconforto, di tentazione di complesso di inferiorità; abitualmente deve sostenere il senso di intima soddisfazione che rifletta chiaramente la a vera gioia pasquale » (Presbyterorum ordinis, 11) di coloro che hanno scoperto il
Regno dei cieli.
b) Comporta una rinunzia che non si compie una volta per sempre; essa è di tutti i giorni della vita; la condizione di coloro che scelgono il matrimonio sta di continuo davanti agli occhi la natura non è per niente immunizzata dai richiami delle sue inclinazioni ed esigenze, essi saranno continui; nel mondo di oggi la esasperata ostentazione di motivi sessuali e la abituale consuetudine di vita promiscua accentua questi richiami; non si sottovalutino, infine, le conseguenze del peccato originale. Chi si buttasse nel mondo, con un impegno di castità sacerdotale, senza gli aiuti da cui questo impegno deve essere sostenuto, andrebbe incontro a una vita impossibile, il suo proposito di vita casta si rivelerebbe una chimera e la sua fine sarebbe il fallimento.
c) La castità sacerdotale è possibile e diventa normale condizione di vita nella misura in cui ci si impegna a difenderla con la mortificazione e a implorarla e ad alimentarla con la preghiera. Il decreto sulla formazione sacerdotale mette all’erta circa i pericoli ai quali è esposta nella società di oggi la castità, e prosegue: « Aiutandosi con i mezzi divini e umani adatti, imparino a integrare nella loro persona la rinunzia al matrimonio in maniera tale che la loro vita e la loro attività non abbiano in alcun modo a patire danno dal celibato, ma piuttosto acquistino un perfetto dominio sul corpo e sull’animo e una completa maturità al punto di gustare la beatitudine del Vangelo » (Optatam totius, 10).
Il paradosso della vita cristiana è che nasce dalla morte (cf p. es. Gv 12, 24); si cammina sulle orme di Cristo col rinnegare se stessi (Mt 16, 24); spunta la vita nuova dal Cristo risorto e si sviluppa fino alla piena maturità quando Cristo può compiere la sua passione e morte in noi.
Il rispetto delle leggi della sana psicologia e l’applicazione dei retti metodi pedagogici hanno lo scopo di accompagnare lo sviluppo della persona fino a quella maturità che sarà « particolarmente comprovata in una certa fermezza di animo, nel saper prendere decisioni ponderate e nel retto modo di giudicare uomini ed eventi » (Optatam totius, 1 1 ).
Educazione alla castità
A questo traguardo di dominio di se, di stabilità di equilibrio, di retto giudizio si giunge attraverso una seria costante disciplina intelligentemente proposta e accettata con una cosciente collaborazione; ma educatori ed educandi devono essere consapevoli che si opera in una condizione di peccato e che perciò le posizioni di difesa e le linee di sicurezza devono situarsi a un margine che si sposta sempre più dal puramente lecito al decisamente perfetto.
Inoltre tutta l’azione pedagogico-ascetica richiede di essere pienamente informata di motivazioni e sostenuta dai mezzi soprannaturali indispensabili a maturare la persona cristianamente adulta. Questa azione ha pure lo scopo di « integrare nella persona (dei Sacerdoti) la rinunzia al matrimonio in maniera tale… che acquistino un più perfetto dominio sul corpo e sull’animo e una più completa maturità… » (Optatam totius, 10).
Tutto il complesso sessuale dell’uomo tende verso la donna come al suo oggetto naturale; il Sacerdote rinuncia coscientemente alla donna senza rinunciare a essere uomo: sarà virile perché fornito dl determinate energie fisio-psicologiche, sarà paterno perché dotato di una capacità affettiva portata alla protezione e alla difesa, sarà sensibile perché aperto a tutti i motivi di dolore e di gioia, di armonia e di grazia che vi sono intorno a lui; ma egli rinuncia alla soddisfazione dei sensi, rinuncia a un amore elettivo che si polarizza su una donna, rinuncia alle gioie di un affetto intimo ed esclusivo proprio della vita coniugale.
Dunque la castità esclude dalla vita del Sacerdote la donna? Come oggetto proprio della componente sessuale, senz’altro sì, in funzione del suo sviluppo affettivo (altri dicono: della sua integrazione affettiva), ancora sì: perché è illusorio mettere in moto un elemento del complesso sessuale e pretendere di dominare gli altri, senza contare che verrebbe praticamente meno proprio quella funzione tipica della castità sacerdotale, che dispone a un amore più grande per tutti.
Perciò la donna è esclusa dall’amore del Sacerdote? No: entra a pieno diritto per la via « amatevi come io vi ho amato » (Gv 13, 34).
Il posto della preghiera
Quest’ultima affermazione diventerà più chiara e rasserenante, quando si comprenderà il ruolo che ha la preghiera per la castità del Sacerdote.Per preghiera non si intendono gli atti intermittenti, sia pure regolati da una disciplina, con cui si chiede l’aiuto di Dio e si eleva a lui il proprio pensiero. La preghiera è l’elemento vitale nella esistenza del Sacerdote. Egli giunge al sacerdozio perché ha scoperto Cristo, attraverso una maturazione spirituale, e conseguentemente anche psichica, Cristo si è imposto nel suo fascino di Uomo-Dio, Salvatore, Amico, Inviato del Padre per la salvezza del mondo; è diventato una presenza personale decisiva, è nato un rapporto di amore e di interessi. Ecco il tesoro, ecco la perla preziosa!, il motivo della scelta. Cristo entra nella totalità della vita del Sacerdote, vi prende tutto il posto, anche quello che avrebbe potuto occupare la donna.
La preghiera specificamente intesa, è il momento forte di questo rapporto, e attraverso l’azione della Parola, dei Sacramenti, della carità, essa diviene l’alimento di uno scambio interpersonale veramente affettivo (anche quando si svolge nella oscurità della fede, nel senso di vuoto umano, ecc.), il quale, a mano a mano che si consolida ha le sue ridondanze equilibratrici, pacificatrici e gioiose su tutta la persona del Sacerdote. Alla scuola di Cristo e sotto l’azione del suo Spirito, si scopre e si apprende la delicatezza, la tenerezza, la fedeltà dell’amore del Padre: matura una incredibile capacità di amare come Dio ama il mondo (cf Gv 3,16) e come Cristo ci ha amato (cf Gv 13,34).
… e della mortificazione
La castità sacerdotale pone l’alternativa: o la donna o Cristo se si vuole mantenere fede alla scelta è indispensabile praticare la mortificazione connessa con la rinuncia ed essere fedeli all’ascolto della Parola, alla frequenza dei Sacramenti, alle aperture e alla disponibilità della carità: qui si nasconde e si svela la misteriosa presenza di Cristo e del suo amore. Si legga a conferma e a completamento di questa affermazione tutto il numero 18 del Presbyterorum ordinis.
Si può presumere che nelle cose fin qui dette esista un sostanziale accordo, tutt’al più l’esposizione potrà sembrare dottrinale o, come si dice, teorica. E’ naturale peraltro che rimangano degli interrogativi, sia perché la ristrettezza di un articolo non permette uno sviluppo adeguato, sia perché le situazioni personali sono così numerose da risultare impossibile il tenerle presenti tutte. Accenniamo soltanto a una questione e a qualche situazione.
Sacerdoti o Religiosi?
La questione può esprimersi in questi termini: la pratica dei consigli evangelici, tra i quali e non isolatamente la castità, che distinzione lascia tra il Sacerdote e il Religioso?
Lasciamo ai competenti il compito di studiare e di chiarire nei suoi termini dottrinali una questione che comporta delle conseguenze assai serie. Timidamente ci chiediamo: tolto l’aspetto canonico, le finalità specifiche dei vari Istituti e la loro spiritualità, la pratica dei consigli evangelici è o non è essenziale per conseguire la perfezione dell’amore indiviso per Dio e per i fratelli?
D’altra parte, è concepibile, in tempi in cui è in atto una riforma nella Chiesa, non essere impegnati a tendere alla perfezione della carità mentre ci si presenta come maestri, santificatori e guide di coloro che Dio chiama a dar la preferenza al suo Regno rispetto a qualsiasi interesse (cf Mt 6, 33), ad amarlo con tutta la mente con tutte le forze e con tutto il cuore (cf Mt 22, 37), e che sanno di passare dalla morte alla vita a condizione di amare i fratelli? (cf 1 Gv 3, 14).
La storia pare che stia a testimoniare che a ogni grande riforma nella Chiesa si accompagna una fioritura di Istituti religiosi che, almeno al tempo della loro fondazione, svolgono un’opera di supplenza nei confronti del ministero ecclesiastico che era venuto a mancare perché i Sacerdoti di « primo » o di « secondo ordine » si erano allontanati proprio dalla pratica dei consigli evangelici.
Anche ai giorni nostri, nei quali sono evidenti sinceri sforzi di rinnovamento, parecchi del clero diocesano hanno pensato di trovare gli aiuti adeguati per la loro santificazione e per l’efficienza del loro ministero negli Istituti secolari, i quali comportano una vera e completa professione dei consigli evangelici.
Anche se il Concilio riconosce che ai membri di codesti Istituti, chierici compresi, essa conferisce una consacrazione (Perfectae caritatis, 10), tuttavia a noi sembra che siamo ancora in una fase di ricerca che, se condotta bene sui Documenti della Scrittura, della Tradizione e del Magistero, dovrà approdare alla scoperta di forme di vita per il clero diocesano e di una sua spiritualità che mutuino i loro elementi direttamente dal Vangelo e trovino espressioni organizzative adeguate alle esigenze dei tempi in cui il Sacerdote vive.
Il Sacerdote, membro del Presbiterio che si raccoglie intorno al Vescovo per la edificazione della Chiesa particolare, è inserito in una istituzione sacramentale in cui non possono mancare né i mezzi di santificazione adeguati al suo stato, né una spiritualità che non sia confacente a questo stato, di per se anteriore e più feconda di quella che deriva dagli Istituti più venerati e benemeriti. I Documenti del Concilio contengono più di una indicazione che potrebbe essere presa in questo senso; esiste già anche una buona letteratura; ma c’è ancora molta strada da percorrere sia nel campo della ricerca e della riflessione come in quello della maturazione della mentalità.
La situazione e le situazioni del Sacerdote
La situazione che si voleva richiamare è questa: chi abbraccia la castità sacerdotale, al posto della donna pone l’amore di Cristo e gli interessi del suo Regno. L’amore che Cristo rivela ed esprime al suo eletto e l’amore con cui questi risponde non è un passatempo, è un rapporto di esistenza dinamico, fecondo: è destinato a portare frutti, (Gv 15, 2. 5. 8. 16).
In termini più concreti, la castità sacerdotale è abbracciata per essere in grado di donarsi totalmente a Cristo presente nei fratelli con l’esercizio del ministero.
E’ sintomatico che il Concilio abbia concepito il decreto sui Presbiteri non partendo dalla loro vita, ma dal loro ministero. La cosa non è nata a caso: intenzionalmente si è voluto delineare una prospettiva pedagogica che deve essere eminentemente pastorale e per di più indicare l’esercizio del ministero come la sorgente più ricca e autentica e il sostegno più efficace della vita spirituale del Sacerdote.
Chi annuncia la parola la deve prima ascoltare, custodire e farla fruttificare; chi celebra l’Eucaristia deve « imitare ciò che tratta» e a mutarsi in ciò che prende » (Lumen Gentium, 41 e 26); chi presiede all’assemblea deve essere disposto a dare la vita per la comunità come il buon Pastore. E’ quel rapporto di intimità personale con Cristo che da rapporto a due in un primo tempo diventa poi fecondo a favore dei molti. Di fatto avviene pure normalmente che l’esercizio del ministero fornisca sempre nuove occasioni e sollecitazioni al rapporto a due con Cristo.
Riepiloghiamo il discorso: la castità mi dispone all’amore di Cristo e dei fratelli; Cristo lo servo nei fratelli con l’esercizio del mio ministero; I’esercizio del ministero è la giustificazione concreta, lo stimolo e l’alimento della mia castità.
Come mai allora una parte di Sacerdoti indica l’esercizio del ministero quale occasione del proprio fallimento, e un’altra parte, al contrario, attribuisce la defezione al fatto di vivere in condizioni che praticamente impediscono l’esercizio del ministero?
E’ un fatto che un numero notevole di Sacerdoti si trovi in una condizione di logoramento fisico e psichico per sovraccarico di occupazioni. Intanto, per buona parte queste occupazioni non sono propriamente esercizio del ministero, ma appartengono a quelle che S. Bernardo definisce « maledictae » e che soltanto uno spirito di fede, dalle ragioni non sempre valide, può in qualche modo collegare con il triplice ufficio della salvezza: tante di queste occupazioni potrebbero passare ai laici! Poi, quando, per qualunque motivo, il lavoro eccede i limiti della resistenza si trasforma in un male che, in coscienza, ordinariamente non si può giustificare, e che in molti casi può diventare un’occasione prossima di peccato, come lo è, per esempio, la familiarità con donne.
Si trovano in situazioni del genere molti giovani Sacerdoti costretti a ricorre al neurologo o al tisiologo a causa dei loro esaurimenti. Se avvengono dei cedimenti, sono imputabili solo nella misura in cui è venuta meno la fedeltà alla mortificazione e alla preghiera, come le abbiamo descritte sopra e in quanto erano ancora possibili nella situazione in cui i soggetti erano venuti a trovarsi. Si può chiedere se hanno fatto presente la loro situazione al direttore spirituale e al superiore.
E i preti « festivi »?
La scarsità di clero, sotto certi aspetti, rischia di diventare una favola pericolosa. Si continua a ripetere che in Italia i preti sono pochi, quando un numero rilevante di parrocchie non supera mille abitanti. Tra i Sacerdoti della montagna e della collina e di molta parte della pianura quanti sono quelli che possono esercitare, a tempo pieno, il ministero? Supposto che svolgano le venti lezioni integrative delle scuole elementari, che preparino l’omelia festiva, più qualche adunanza; tolta la confessione di dieci persone la settimana e di cinquanta per il primo venerdì, quando è che possono fare il prete?
E se non possono fare il prete, che cosa faranno?
E’ sempre più evidente che le parrocchie che non hanno di che occupare a pieno la giornata di un Sacerdote debbano rimanere scoperte, non tanto per la penuria di Sacerdoti, ma perché oggi costituiscono un motivo o di rovina morale del Sacerdote o per lo meno danno luogo a una mancata valorizzazione della esistenza di una persona. Per un vero o presunto bene di poche anime non si ha il diritto di sacrificare un tesoro di energie che appartiene a tutta la Chiesa.
Certo: una affermazione del genere cozza contro molte difficoltà: sono note, sono dure da superare, richiedono coraggio non solo nei superiori ma anche disponibilità negli stessi Sacerdoti. Si rifletta però alle conseguenze: un prete disoccupato è uno scontento, se poi si adatta diventa un ozioso dalla vita insignificante; quale efficacia può avere ancora il suo ministero? Si può pensare che il tipo di esistenza di questi preti presso i giovani di oggi, sensibili ai valori concreti ed efficienti, si presti a suscitare una vocazione o non è piuttosto, in molti casi, il motivo di esodo dal seminario di quelli più aperti e dotati? E la castità di questi preti?
Le situazioni umane però non escludono che il Sacerdote, indipendentemente dalla propria e altrui volontà, si trovi nella impossibilità temporanea o permanente di esercitare il ministero. In questi casi come si sostengono il suo impegno e la sua rinunzia? Bisogna dire che chi accetta di seguire Cristo è uno che si lascia condurre, che cammina nel mistero e allora deve già aver posto in preventivo il “mistero della croce”, del fallimento apparente e deve credere alla fecondità misteriosa ma altrettanto certa della sua esistenza; è quell’aspetto della vita cristiana che noi abbiamo relegato tra le mura dei monasteri, ma che lo Spirito può suscitare e richiedere anche lungo le strade del mondo e nel segreto dei cuori. Certamente bisogna pensare che a costoro Cristo risponda: « Ti basti la mia grazia » (2 Cr 12, 9), e saranno vere anche le parole « Perché piangi? Perché sei triste? Non valgo io per te più di dieci figli » (1Sam 1, 8).
Conclusione
Queste « situazioni limite » non sono infrequenti nella vita di un Sacerdote e quindi bisogna tenere sempre più in considerazione la consistenza psichica e l’equilibrio del temperamento come condizione e termine della sua educazione; è indispensabile che abbia fatto la sua scelta a ragione veduta, che abbia, in particolare, capito la castità in funzione di una capacità più grande di amare; che Cristo sia presente nella sua vita come « la cosa veramente indispensabile »; che l’amore a Cristo sia concepito come un amore a tutto il mondo,la più aperta e la più matura delle capacità di sintonia con tutti i problemi del mondo. Non deve vivere solo: c’è il suo Vescovo, lo avvicini e si apra come a un padre (uno matura la sua paternità anche con la collaborazione dei figli che non si scoraggiano e non disarmano quanto a fiducia e confidenza); ci sono i fratelli del Presbiterio, si ostini a intrecciare contatti e, possibilmente, amicizie; forse c’è un compito di studio a favore dei propri confratelli; c’è tutta una realtà cosmica da impregnare di amore e di preghiera; al termine c’è Cristo morto in croce, solo.
Il mattino di Pasqua, dopo la passione, quando i sensi e i sentimenti hanno acquistato la chiarezza dell’aria tagliente dell’alba e il cuore è ardente per la Sua presenza ed è Lui, Cristo che prende l’iniziativa, nella vita del Sacerdote ci può entrare anche la donna, come è avvenuto per non pochi santi, nella vita dei quali la sua presenza si è rivelata decisiva.
Però, è pure vero che ogni mattino non è quello di Pasqua, ed è più lungo il buio della notte che la chiarezza dell’alba; l’attesa può essere molto lunga e nel frattempo la stanchezza, la noia, I’aridità, i contrasti, l’atmosfera materialista, le abili architetture delle ragioni del mondo potrebbero sorprenderci ad affermare che non conosciamo Cristo davanti a una a ancella del pretorio », prima che il gallo canti. Come aveva ragione Gesù a insistere: « Vigilate e pregate » (Mc 14, 38).
Ci si perdoni se ci siamo trovati a esporre « in parabole » le cose tremende dei nostri Sacerdoti.
CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
Stampa: Via Verità e Vita n 14, Ottobre 1967: ” La vita sacerdotale”
Il presente articolo e stato redatto prima che venisse pubblicata l’enciclica « Sacerdotalis caelibatus »; L’A. non ha quindi potuto fare riferimento ad essa (n.d.r.).
ST 225 Castità 1967