San Clemente 22 febbraio 1970 per i dirigenti di Azione Cattolica
Mons. Carlo Ferrari
Non faccio preamboli alla conversazione che vogliamo fare insieme in questa giornata. Vi siete accorti che ogni volta che il vescovo si incontra con i più disponibili a dare un contributo alla sua azione é preoccupato di sottolineare quei punti fondamentali o della dottrina o della vita della chiesa che debbono entrare – e per l’esercizio del suo ministero e per la collaborazione di quelli che vogliono lavorare con lui – nell’ambito della nostra comunità cristiana.
L’anno scorso avete avuto il coraggio di sopportare, e io quello di farvi il discorso sui tre grandi misteri: chiesa, trinità ed eucaristia ed il nesso che esiste tra di loro. So che avete dato prova di pazienza e di intelligenza cristiana e l’ ho potuto costatare dall’esito delle relazioni del lavoro dei vostri gruppi. Quest’anno faccio qualche cosa di analogo. Mi riferisco ad un avvenimento della vita della chiesa: l’andata in vigore del nuovo rito della celebrazione della Santa Messa.
Noi non valuteremo mai sufficientemente l’importanza di questo avvenimento. Una riforma della celebrazione della Messa non avviene da circa cinque secoli, perciò lo possiamo ben considerare un avvenimento straordinario. Ma, l’avvenimento é tanto più straordinario in quanto propone la riforma non soltanto per qualche cosa di esterno, fosse anche la composizione dei testi che entrano nella celebrazione della Messa oppure per i riti che accompagnano la celebrazione della Messa.
L’avvenimento é importante perché ci introduce in una visione più chiara, più profonda della realtà della celebrazione e ci impegna di conseguenza. La riforma che é stata promossa dal concilio di Trento e sancita da San Pio V, riguardava specialmente l’unificazione dei riti e dei testi che si usavano nella celebrazione della Messa. La riforma attuale, invece, riguarda la prospettiva secondo cui si deve concepire la celebrazione. La prospettiva viene indicata nel senso di azione comunitaria.
La Messa, sempre di sua natura é stata una celebrazione comunitaria però l’accento, la visione, il modo di proporre la celebrazione della Santa Messa e anche una certa teologia sulla Messa non erano i più indicati, perché ne risultasse davvero una azione che riguardasse tutti e fosse compiuta insieme. Invece quesa ultima riforma é esplicita, nel modo più forte e più deciso, a definire la Messa come una azione del Popolo di Dio che si riunisce per celebrare il memoriale del Signore.
La cena del Signore, la Messa, é la congregazione, è l’assembramento del Popolo di Dio sotto la presidenza del sacerdote per celebrare il memoriale del Signore” (I, 7). La celebrazione della Messa é azione di Cristo e del Popolo di Dio gerarchicamente ordinato (fg I, 1), Quindi è azione eminentemente comunitaria. La Costituzione sulla Sacra Liturgia é dominata dalla preoccupazione che la riforma dei riti favorisca al massimo la partecipazione cosciente, attiva e fruttuosa dei fedeli alle celebrazioni liturgiche.
L’Istruzione Generale del nuovo messale romano, che é la presentazione e quasi come il catechismo nuovo della Messa, ha corrisposto in pieno a quanto auspicava il concilio nella Costituzione sulla Sacra Liturgia. I fedeli non sono chiamati soltanto a partecipare, nel senso di prendere parte all’azione di un altro (per esempio il sacerdote), ma a fare la loro parte in una azione che é comune a tutti. Il Popolo di Dio diventa l’attore principale di questa azione e con Gesù Cristo é l’attore totale.
Precisiamo due cose. La celebrazione della Messa é una azione di nostro Signore Gesù Cristo.
Credo che non sia necessario insistere su questo aspetto. Abbiamo sempre affermato che la Messa é il sacrificio di nostro Signore Gesù Cristo ma non abbiamo sufficientemente accentuato l’attualità di questo sacrificio che è compiuto da lui in persona con le disposizioni stesse con cui si è offerto, in croce, con lo stesso amore e quindi con tutto se stesso. Essendo Egli presente, é presente tutto ciò che ha fatto per la nostra salvezza. La Messa é questa azione per cui nostro Signore Gesù Cristo é in mezzo ai suoi in questo momento e in questo luogo ad offrire al Padre con i suoi fratelli ciò che ha già offerto sul Calvario.
La Messa non é soltanto l’ attualizzazione di ciò che ha compiuto il Cristo storico, ma é l’azione del Cristo glorioso presente in mezzo a noi come capo del suo Corpo, cioè della sua Chiesa, Popolo di Dio adunato nell’unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.
Che cosa si intende per Popolo di Dio? Il Popolo di Dio sono tutti quelli che Dio chiama: sono tutti i credenti, sono tutti i battezzati e tutti quelli che Dio solo conosce come suoi, e tutti hanno la stessa dignità di figli di Dio, tutti sono soggetti al comandamento dell’amore, tutti indistintamente hanno bisogno degli stessi mezzi di salvezza e tutti sono responsabili delle sorti del regno di Dio. Questo Popolo di Dio non é costituito in un modo amorfo o indeterminato.
Questo popolo di Dio è costituzionalmente, cioè, per volontà di Dio, ordinato in un modo gerarchico perché ha un Capo che é Cristo e noi siamo le membra; Questo popolo di Dio è ordinato in un modo gerarchico perché Cristo vuole esercitare la sua funzione di Capo da cui deriva la vita delle membra e da cui deriva una sottomissione delle membra in un modo conforme alla natura umana, che esige una espressione anche sensibile e visibile delle realtà spirituali, profonde e divine di cui ci ha gratificato Dio.
Cristo é Capo della sua chiesa. In mezzo al Popolo di Dio ci deve essere questa espressione di Cristo primogenito in mezzo a una moltitudine di fratelli, di Cristo che comunica la sua vita alle membra del suo corpo, di Cristo che aduna in unità di vita, di esistenza e di azione tutti i membri del Popolo di Dio, tutte le membra del suo Corpo. L’espressione di tutta la realtà di Cristo Capo la troviamo nella gerarchia, così che, il Popolo di Dio non sono i laici come la chiesa non é la gerarchia.
La chiesa, non sono i membri della gerarchia! Quando diciamo Popolo di Dio dobbiamo intendere tutti: dal papa all’ultimo battezzato.
Il papa, i vescovi, i sacerdoti non sono fuori dal Popolo di Dio, sono Popolo di Dio come tutti gli altri, ma hanno una loro funzione al servizio del Popolo di Dio, perché possa esistere il Popolo di Dio, perché il Popolo di Dio possa espletare l’azione cui é chiamato da Dio stesso. E, come i sacri ministri non possono dire “noi siamo la chiesa” neppure i laici possono dire: ” noi siamo la chiesa”. Quando a questo “noi” attribuiamo un significato comprensivo di tutti i membri del Popolo di Dio, noi possiamo dire: “noi siamo la Chiesa”.
Io che battezzato sono Chiesa in quanto sono in comunione con tutti i battezzati e sono in quella comunione ordinata gerarchicamente nella quale hanno la loro funzione i sacri ministri. Diversamente non sono la chiesa.
Io posso dire con tutta verità, da battezzato: io sono la chiesa.
Noi qui, da battezzati, possiamo dire: noi siamo la chiesa
ma perché sia vera questa nostra affermazione dobbiamo accettare di immergerci nella comunione con tutti quelli che sono battezzati come noi e nella comunione con tutti quelli che da nostro Signore Gesù Cristo hanno avuto un ministero, una funzione, un compito per la nostra unità, per la nostra efficienza, per l’efficienza della nostra stessa comunione.
Ho fatto queste precisazioni perché, quando si ascoltano certe affermazioni della istruzione generale, si può rimanere, da una parte sorpresi e perplessi, e dall’altra tentati di rivendicare posizioni per niente legittime. Il Popolo di Dio che si raduna per l’assemblea liturgica deve essere concepito come é stato concepito da Dio: tutti uguali nella dignità di figli di Dio e ciascuno con il suo compito particolare.
Se entrano in funzione i compiti di tutti, se entra in funzione l’azione responsabile di ciascun membro del Popolo di Dio, cioè tutta l’assemblea liturgia, allora le cose sono a posto, sono vere, sono autentiche; allora possiamo parlare con tutta tranquillità e dire veramente che la celebrazione della Messa viene fatta dalla assemblea liturgica, viene fatta – come vedremo- dal Popolo di Dio che si aduna in questo luogo e in questo momento.
Capite anche che la più grande novità, che la più radicale riforma in cui siamo impegnati consiste nel ruolo attribuito alla assemblea liturgica: porzione del Popolo di Dio che in questa chiesa, in questo momento é l’espressione completa e piena di quella realtà misteriosa, che é tutto il Popolo di Dio. Ci troviamo di fronte ad una realtà tutta da scoprire nella quale, a poco a poco, dobbiamo entrare perché diventi un elemento della nostra esistenza religiosa.
Donde ha origine la realtà che noi chiamiamo assemblea liturgica?
Donde ha origine, in concreto, la gente che é in chiesa in quel momento insieme al prete, per celebrare la Santa Messa?
L’origine prima, il fondamento é nella volontà di Dio, il quale ha voluto fare di noi la famiglia dei suoi figli, ha voluto fare di noi il suo popolo, gente che sta insieme perché riconosce di partecipare la propria vita da un unico Padre, gente che, di conseguenza, riconosce di avere una fraternità che va molto al di là, di quella della parentela e si annoda in Dio, che per ognuno di noi, é Padre.
Quindi, come avete sentito ripetere tante volte, il piano di Dio, la volontà di Dio, ciò che Dio si propone di ottenere attraverso tutto quello che fa nella storia della salvezza, che ha la sua massima espressione, la sua massima efficacia realizzatrice nel mistero della Incarnazione del Figlio e nel mistero della sua morte e risurrezione, é di avere un popolo che sia suo, una famiglia di figli, e fratelli fra di loro.
Noi ci troviamo in chiesa in quel momento per celebrare la Santa Messa non tanto perché lo abbiamo deciso noi per soddisfare un precetto o per compiere un atto liturgico o per altri motivi. Prima di ogni nostra decisione c’é quella di Dio di costituirci membri del suo popolo e le nostre decisioni per essere cristiani, devono essere una conseguenza della decisione di Dio.
Quindi al primo posto il più presente, colui che desidera, vuole, sollecita e rende possibile la nostra presenza, é Dio che ci vuole salvare e vuole diventare il nostro Padre e vuole farci partecipi di tutti i suoi beni, e vuole introdurci nella comunione della sua vita in questo modo: non ognuno per nostro conto senza nessun legame vicendevole, ma come membri di una stessa famiglia, come membri di uno stesso popolo, come membra di uno stesso corpo, come pietre di uno stesso edificio. Ecco qual é l’origine il fondamento dell’assemblea liturgica. Ripeto ancora una volta: la volontà di Dio è costituirsi un popolo.
Che valore ha quel gruppo di persone che assistono quella Messa? Possono essere due mila o trentamila. Possono essere duecento, venti o due persone. E’ più importante una assemblea liturgica di duecento, di venti o di due persone?
Come fatto religioso cristiano, come evento di salvezza il quale si iscrive nella volontà di Dio, ha certamente più valore una assemblea di due persone che veramente siano animate da un determinato grado di fede, di speranza e di carità in confronto di quella di duemila persone che non sono animate dallo stesso grado di fede di speranza e di carità.
Siamo abituati a dire: “che Messa! Non c’era un posto vuoto”… ma ognuno occupa il suo posto sul banco o contro un pilastro… ognuno si ascolta la sua Messa… ognuno fa la sua comunione, magari, é seccato che gli altri cantino e non può dire le sue preghiere…
L’assemblea liturgica ha il suo valore perché esprime tutto il mistero del Popolo di Dio. Il Popolo di Dio é una realtà che va oltre ciò che si vede. Oltre le persone che sono presenti, oltre il lato esteriore delle azioni che compiono le persone presenti e che si percepiscono, c’é tutta una ricchezza di elementi che non si vedono e che chiamiamo misteriosi perché sono nascosti: i sentimenti di fede, di speranza e di carità che sono nel cuore di ognuno, la presenza di Dio in mezzo al suo popolo: del Padre e tutto ciò che egli ha fatto per costituirci come suo popolo fino a darci il suo Foglio unigenito, del Figlio e tutto quello che egli ha fatto perché noi fossimo l’unica famiglia dei figli di Dio, dello Spirito Santo il quale con la sua azione ancora più misteriosa perché del tutto nascosta, porta a compimento ciò che vuole il Padre e ciò che ha fatto il Figlio per ognuno di noi. Ecco i grandi valori inestimabili che nasconde e di cui é portatrice l’assemblea liturgica.
In una piccola assemblea c’é tutta la realtà del Popolo di Dio. Ma,come é possibile che ci sia tutta la realtà del Popolo di Dio dal momento che non tutti i membri del Popolo di Dio sono presenti?
Qui é il punto su cui dobbiamo chiarire le cose.
L’assemblea liturgica non ha valore perché tutti cantano – é buona cosa che tutti cantino- non ha valore perché tutti fanno la comunione – é cosa bellissima e importantissima che tutti facciano la comunione – non ha valore perché c’é tanta gente – ha valore perché in questo momento l’azione di Dio Padre Figlio Spirito Santo ha una intensità unica per raggiungere lo scopo che Dio si prefigge per salvarci, e per salvare i nostri fratelli. Qui c’é tutto, fossero presenti anche solo due persone. C’è tutto anche nel senso della presenza di tutti i credenti e di tutti quelli che sono nella mente di Dio che salva. Sono presenti perché li tiene presenti Dio. Sono presenti perché li teniamo presente noi con la nostra fede.
Se io voglio fare parte di una autentica comunità liturgica debbo credere alla comunione dei santi, anzi, devo essere in comunione con tutti quelli che sono santificati dall’azione di Dio per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo; debbo essere in comunione di speranza con tutto il mondo. Ogni Messa, ogni celebrazione é la celebrazione della Messa di tutto il mondo. Se noi non siamo in comunione con tutto il mondo la nostra assemblea é una povera assemblea perché a celebrare la Messa non ci si va da soli. Non si lasciano fuori gli altri figli del Padre. Sarebbe una Messa senza carità.
In questo senso l’assemblea liturgica é espressione nel tempo e nel luogo di tutto il mistero del Popolo di Dio. Ecco, é necessario prendere coscienza che io, qui, con i miei fratelli, con il sacerdote, nel compimento di ciò che sta accadendo, sono la chiesa, sono il Popolo di Dio, porto in me e con me tutto il mistero cristiano, tutto il mondo e tutte le creature le quali attendono da me: mente e cuore per lodare il loro Creatore.
Il compito della assemblea liturgica.
La celebrazione della Messa come azione di Cristo e del Popolo di Dio gerarchicamente ordinato é il centro di tutta la vita cristiana, é il culmine dell’azione con cui Dio, in Cristo, santifica il mondo, ed é il momento più alto del culto che gli uomini tributano a Dio. ( cf I,1)
Più semplicemente: la celebrazione della Messa é il convenire in un solo luogo per formare un cuore solo, una mente sola, un’anima sola tra tutti i presenti, sotto la presidenza del sacerdote “ad memoriale domini celebrandum”: per celebrare il memoriale del Signore.
L’assemblea celebra il memoriale del Signore. Noi questo lo esprimiamo con le formule che possono diventarci molto famigliari, ma delle quali ci può sfuggire la pienezza del significato: parlo delle acclamazioni dopo la consacrazione. “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione nella attesa della tua venuta”. Ecco l’azione che compie l’assemblea liturgica.
1) Celebriamo la morte del Signore.
Questa espressione, che si appunta su un particolare della vita terrena del Figlio di Dio fatto uomo, ha una estensione che equivale a tutta la esistenza terrena e a tutta la missione del Figlio di Dio per tutti gli uomini.
L’assemblea liturgica celebra la parola di Dio: l’ultima parola di Dio, la pienezza della parola di Dio. La parola definitiva di Dio é Gesù Cristo in persona: tutto ciò che é, tutto ciò che ha fatto, tutto ciò che vuole, tutto il suo vangelo.
L’assemblea é adunata dalla parola del Signore. Poiché tutto ciò che fa parte del cristianesimo é misterioso: vi é presente l’uomo e soprattutto Dio, l’assemblea liturgica fa qualche cosa e a sua volta, é fatta.
Fa qualche cosa: celebra la parola del Signore, si mette in ascolto della parola di Dio, ma nello stesso tempo, é fatta, é edificata, é cementata dalla parola stessa di Dio, la quale non é condizionata dagli uomini, dalla nostra intelligenza, dalle espressioni verbali di cui la rivestiamo.
La parola di Dio é Dio in persona che parla agli uomini. Nel momento della celebrazione della parola, Iddio dall’interno e il suo ministro dall’esterno, edificano la chiesa, edificano l’unità della assemblea, aprono le vie all’unità, spingono all’unità, fanno camminare verso l’unità.
La parola di Dio, Dio, le Divine Persone fanno tutto questo mentre noi celebriamo la parola del Signore.
La parola del Signore é prima di noi, é al di sopra di noi, vale più di noi e fa ciò che propone. La grande proposta é che noi siamo figli di Dio, la grande realizzazione é che noi ci comportiamo, siamo, e stiamo insieme come figli di Dio.
Per arrivare a questo traguardo di stare tutti insieme, di fare una cosa sola, dobbiamo superare il grande ostacolo che é il nostro “io”. Gesù Cristo dice che farà di noi tutti una cosa sola quando sarà innalzato da terra, sulla croce.
Celebrare la morte del Signore, celebrare tutto Gesù Cristo, celebrare la sua parola, comporta necessariamente che noi rinneghiamo noi stessi, che la morte del Signore sia celebrata nelle nostre persone con la nostra morte: “Se qualcuno vuole venire dietro di me rinneghi se stesso, porti la sua croce ogni giorno e mi segua” (); ” non sono più io che vivo, in me vive Cristo” (). Questo é l’evento che accade mentre celebriamo la morte del Signore.
2) proclamiamo la sua risurrezione
Gesù Cristo come uomo muore in croce, ma la potenza di Dio lo risuscita ed egli vive la vita definitiva da cui sgorga quella vita che egli ha portato sulla terra e che vuole sia abbondante in ciascuno di noi. E’ la vita nuova. E’ la nuova creazione da cui hanno origine le nuove creature: i figli degli uomini che diventano figli di Dio.
Mentre nel mistero di Cristo é il Figlio di Dio che si fa uomo, nel mistero cristiano é il figlio dell’uomo che diventa figlio di Dio per la forza della potenza della risurrezione. La forza della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo é la forza che immette nel mondo, nella persona degli uomini una nuova realtà, una nuova vita.
L’assemblea liturgica proclama la risurrezione del Signore. In che modo noi la proclamiamo? Se celebriamo la morte del Signore con il rinnegamento di noi stessi, proclamiamo la sua risurrezione con il rinnovamento di noi stessi. Diventare nuovi é bello, é stimolante.
La domenica per andare a Messa, – le donne per un motivo, gli uomini per un altro – mettono il vestito “da festa”, hanno ordinato la loro persona e così rinnovati vanno alla celebrazione. Di fatto, però é al momento in cui usciamo da Messa che siamo rivestiti di novità: di una novità di vita, di pensieri e di sentimenti rinnovati. Siamo carichi di energia nuova per camminare da figli di Dio e da fratelli.
3) Nella attesa della tua venuta
Gesù é venuto su questa terra e poi é ritornato al Padre per preparare un posto a ciascuno di noi ( cf ). Celebrando il memoriale del Signore dobbiamo prendere coscienza della dimensione escatologica della esistenza cristiana: “non habemus hic manentem civitatem” ( ). La nostra vita non si consuma qui. Noi siamo un popolo in cammino, un popolo pellegrinante verso la città futura, verso la dimora eterna, verso la casa del Padre. Gesù Cristo ritornerà per prenderci, per portarci con sé.
E’ necessario prendere coscienza di tutto questo: fare entrare nell’intimo di noi stessi la certezza che c’é un’altra vita, che andiamo sicuramente verso quest’altra vita e lasciarla trasparire da tutto il nostro comportamento.
Niente é definitivo in questo mondo, niente é assoluto in questa vita. Definitiva ed assoluta é soltanto la fine.
In questo nostro mondo, in questi nostri tempi, quando in certe zone del mondo pare si sia raggiunto il paradiso in terra perché non manca più niente e c’é sovrabbondanza e saturazione, quanto diventa insidioso il pensiero che il paradiso ce lo costruiamo qui! Quanto senso di inferiorità – a volte – ci può essere in certi nostri atteggiamenti di fronte a quelli che ci accusano di non essere capaci di costruire un paradiso in terra e perciò ne abbiamo inventato uno nell’altro mondo! Di fronte a questa accusa abbiamo quasi vergogna di proclamare il paradiso, la coscienza si assopisce ed esaltandoci nell’impegno di edificare la città terrena, finiamo di lasciare credere di avere ormai abbandonato il proposito di tendere verso alla città eterna.
L’ambito di azione della assemblea liturgica non é semplicemente quello dell’edificio dove ci celebra la Messa. L’ambito della celebrazione liturgica é la esistenza umana, é la nostra esistenza quotidiana nell’ambiente in cui ci troviamo, con i problemi che abbiamo da risolvere, con le gioie e le tristezze che accompagnano lo svolgimento della nostra vita.
Questo é il punto più impegnativo della celebrazione. Da una parte c’é il grande avvenimento della salvezza che é compiuto da Dio, nel quale noi siamo coinvolti per svolgere la nostra parte con tutta la nostra responsabilità e che ha la sua massima espressione e densità nella celebrazione liturgica; dall’altra parte ci sono gli avvenimenti a cui abbiamo accennato nei quali noi viviamo: avvenimenti di vita, di morte, di gioia, di dolore, avvenimenti personali,comunitari, nazionali ,internazionali, a tutti i livelli da quelli economici a quelli politici.
Con la nostra celebrazione liturgica, questa forza della massima intensità salvifica, come ci inseriamo negli avvenimenti della vita quotidiana?
Come portiamo, come esprimiamo, come prolunghiamo il grande evento in tutti gli eventi di cui é costituita la nostra esistenza?
Oppure questi piccoli eventi – di fronte all’evento di Dio sono tutti piccoli i nostri eventi anche quando sono importanti – come li portiamo verso l’evento salvifico perché siano salvati, perché acquistino il senso inteso da Dio, perché entrino nella salvezza?
Ecco l’ambito dell’azione dell’assemblea liturgica.
Ho accennato soltanto. A tutti gli interrogativi io non dò una risposta, perché occorre tempo, riflessione, ricerca esperienza.
Vedete che ci deve essere tutta una azione, tutta una pastorale per educare l’assemblea liturgica, per far sì che quelle persone che sono a Messa diventino realmente assemblea liturgica, per far sì che le persone che sono a Messa non siano degli spettatori di fronte ad un avvenimento, ma siano degli attori che compiono quella azione; per far sì che ognuno dei presenti non sia presente per conto proprio ma ci sia con tutti gli altri e agisca con tutti gli altri; per far sì che ognuno dei presenti faccia la sua parte: cantare, leggere, servire all’altare, guidare e animare la assemblea, eccetera e, in particolare, dare con consapevolezza il sigillo ecclesiale alla preghiera del sacerdote.
Quei brevissimi e piccolissimi “amen” che si dicono durante la Messa, sono come la firma di un notaio su un atto legale. Voi potete stendere un contratto importante, ma se manca la firma del notaio non vale. Il sacerdote può avere recitato la preghiera più solenne. Se manca “l’amen” dell’assemblea, quella preghiera non é ratificata, non é fatta propria in modo ecclesiale, liturgico, da parte del Popolo di Dio. Dire “amen” vuole dire: quello che hai detto tu lo diciamo anche noi. Va bene quello che hai detto.
Capite, a questo proposito, quanto cammino ci sia da fare per indurre i nostri uomini, i nostri giovani, le donne e tutti a prendere coscienza di questa realtà, di questo fatto, di questo compito, di questa funzione, dell’importanza di questa azione e della parte che ognuno di noi ha nel compimento della celebrazione liturgica, della celebrazione della Messa.
Terminando mi permetto di fare un richiamo.
Tutte le nostre comunità parrocchiali, in questo momento, sono impegnate con la nuova celebrazione della Messa. Spuntano le chitarre e i canti nuovi e altre novità. Ognuna può avere la sua importanza però, guai a fermarsi qui. Se la comunità parrocchiale pensasse: noi abbiamo rinnovato le nostre celebrazioni… il canto é perfetto, il servizio é perfetto… Se non hanno acquistato coscienza di essere il Popolo di Dio, se non hanno acquistato coscienza della funzione che svolgono in questo momento di annunciare la morte del Signore,di proclamare la sua risurrezione nella attesa della sua venuta, non hanno rinnovato nulla.
C’é questo pericolo. Più sono grandi e vistose le novità esterne tanto più potrebbe avvenire che siano povere le innovazioni interiori. Fare delle innovazioni esteriori é facile. Sarà facile trovare dei ragazzetti con due chitarre e trovare una giovane magari in minigonna che legga Isaia; sarà facile introdurre canti nuovi e fare cantare i giovani che prima non cantavano – ciò che é positivo-, ma se noi ci fermassimo lì, cosa avremmo fatto? Fanno presto i giovani a stancarsi anche dei loro canti nuovi e, se la novità è tutta lì, ad un certo punto non dice più niente.
E’ tutto “un altro” il rinnovamento che deve avvenire nelle nostre celebrazioni. E’ a livello di fede, di speranza e di carità.
OM 323 Assemblea liturgica 70 – 22-2-1970 agli uomini di Azione Cattolica
appunti su agenda 1970