in assemblea liturgica
Di fronte a un problema di linguaggio
Oggi che la lingua parlata è quella con cui si esprime la Liturgia nelle parti indirizzate ai fedeli perché capiscano e rispondano (letture, preghiere), si fa più evidente il ruolo del linguaggio liturgico e le sue difficoltà.
La Rivelazione divina ebbe inizio e si compì in un contesto culturale ben preciso e si espresse nelle categorie proprie della cultura semitica, concreta e dinamica e quindi con il rispettivo linguaggio.
Inoltre, la trascendenza della Rivelazione è al di sopra dei nostri piani e ha dei ritmi a cui dobbiamo essere molto attenti per inserirci nel momento giusto dell’avvenimento della Salvezza.
Il linguaggio liturgico che ” ripete ” quello della Rivelazione è essenzialmente biblico. Questo significa che è legato all’ambiente culturale dove si svolgono gli avvenimenti del Vecchio e del Nuovo Testamento ed esprime le cose di Dio secondo le categorie e con i termini del mondo semita.
Accade perciò continuamente che le parole che si leggono o si ascoltano durante la celebrazione liturgica non esprimono lo stesso significato che hanno nella lingua in cui furono scritte e pronunciate.
In concreto, le parole italiane con cui è tradotto il latino dei testi liturgici possono avere un altro significato da quello che è definito nei vocabolari della lingua italiana.
Con sorpresa di molti l’anno 1965 segnerà la data di nascita dell’ “Italiano cristiano “. La cosa non dove meravigliare: è stato così per il Greco e per il Latino. Non è qui il caso di fare la storia di questi fenomeni. Per quel che ci riguarda è sufficiente avere rilevato il fatto e tirare la conseguenza che è quella in cui viene a trovarsi impegnata la nostra Catechesi, la quale dovrà preoccuparsi di iniziare i fedeli al linguaggio biblico-liturgico; altrimenti il ” Volgare ” in Liturgia continuerà ad essere oscuro e incomprensibile quanto il Latino.
Anche i tempi, secondo cui si svolge la Storia della Salvezza ” ripetuta ” dalla celebrazione liturgica, appartengono al linguaggio della Rivelazione e questo ci interessa più da vicino per lo svolgimento del nostro tema.
I tempi della Salvezza sono: quello della Preparazione,della Realtà, della Continuazione e del Compimento.
L’aspetto che a noi interessa è specialmente quello dei ” segni ” attraverso i quali Dio è presente e compie la sua azione.
Nell’Antico Testamento c’erano le ” figure “: Dio testimoniava di essere col suo Popolo per condurlo verso la Salvezza con i suoi portenti, i suoi rappresentanti che agivano e parlavano a nome suo e fornivano le prove di essere da Lui inviati; questi ” segni ” di Dio però rimanevano sempre aperti sul futuro e la letteratura apocalittica ne indicava un significato sempre più spirituale e universalistico, che diventerà chiaro e compiuto solo quando la ” figura ” cederà il posto alla Realtà.
Il Verbo di vita si rese così manifesto da poter essere visto e toccato con le mani (1 Gv. 1); così che l’Umanità del Cristo divenne il ” segno ” di Dio Salvatore che ha stabilito la sua dimora fra gli uomini; chi vede il Cristo vede il Padre e sa che quando opera il Cristo opera il Padre e chi crede in Lui diventerà capace di compiere le sue Opere (Gv. 14,9-12).
E siamo così nella fase in cui le ” mirabilia Dei “, le Opere del Cristo, cioè la Salvezza si compirà da quelli che credono. Il ” segno ” sono i credenti, il Popolo di Dio, il Corpo di Cristo, la Chiesa.
L’elemento ” segno “, presente in tutte le fasi temporali della Salvezza e che cadrà solo al momento in cui la Realtà ci starà ” faccia a faccia ” (1 Cor. 13,12), è il criterio di garanzia e di sicurezza dell’incontro personale con Dio che salva e lo strumento normale della sua azione: dove c’è il ” segno “, è presente Dio che salva.
Il ” segno ” del tempo presente è la Chiesa nel complesso di tutte le realtà di cui è portatrice e nei particolari in cui la Rivelazione la esprime. Il Documento più recente e più solenne del Magistero, la Costituzione ” De Ecclesia “, dopo aver riprese la varie immagini con cui la S. Scrittura descrive il Mistero della Chiesa, dedica un capitolo intero a quella del ” Popolo di Dio “, la quale, (?) anche se non coglie tutti gli aspetti della realtà del grande Mistero, rimane la più completa e la più sviluppata nella letteratura biblica.
Precisamente del “Popolo di Dio” la Costituzione (art. 9) afferma che ” pur non comprendendo in atto tutti gli uomini, e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce per tutta l’umanità un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e quale luce del mondo e sale della terra è inviato a tutto il mondo. Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace e ne ha costituito la Chiesa perché sia per tutti e per i singoli sacramento visibile di questa unità salvifica “.
Significato di ” Popolo di Dio “
Guidati come siamo da intenti pastorali e consci che solo nella Chiesa si compie l’avvenimento della Salvezza, non possiamo ignorare nella nostra catechesi un fatto così decisivo come la convocazione del Popolo di Dio e il ruolo sacramentale di questo popolo in ordine alla salvezza del mondo.
Nella stesura di queste note esiste anche una certa preoccupazione di mettere in evidenza i termini del linguaggio biblico, che sono gli stessi del linguaggio liturgico, perché si rilevi come questo linguaggio che colpirà di continuo i nostri fedeli durante le celebrazioni sacre, e a cui non sono abituati, ha bisogno di essere ” vocabolarizzato “.
L’atto di nascita del Popolo di Dio, destinato a divenire una realtà nuova nella storia (un ” tertium genus “) è costituito da un intervento della libera iniziativa di Dio con cui Egli ” convoca” i figli di Israele a stare alla sua presenza (Es. 19,16).
La ragione per cui esiste questo Popolo è l’Amore di Dio: ” Il Signore si è compiaciuto di voi e vi ha scelti, non perché eravate un popolo più numeroso degli altri popoli; anzi siete di numero inferiore ad ogni altro popolo, ma perché il Signore vi ama ” (Deut. 7, 7).
Attorno al tema dell’Amore di Dio si annodano tutti i temi biblici che descrivono l’origine, la natura, la finalità di questo Popolo.
Israele è eletto per essere di Dio a un titolo singolare, per essere consacrato a Lui e costituire la sua eredità (Deut. 7,6; 14,2; 9,26); è legato a Dio da una alleanza di amore e sta nei suoi riguardi come il gregge al pastore (Sl. 22), come la vigna al vignaiolo (Is. 5), come un figlio al padre (Es. 4,22) e come una sposa allo sposo (Os. 2); sarà per Dio un regno di Sacerdoti, una nazione santa, destinato a essere suo testimone, a lodarlo e a farlo lodare (Is. 44,8), sarà il popolo mediatore tra Dio e le altre nazioni; infine Israele è il popolo delle promesse.
Israele del sangue prepara e prefigura Israele dello Spirito.
Gesù è venuto per salvare ” il suo popolo dai suoi peccati ” (Mt. 1,2) si troverà in mezzo a un popolo già definito ” di dura cervice “, il quale porta al colmo il suo peccato mettendolo a morte. A questo punto il piano di Dio si apre sul suo obiettivo completo, già da tanto tempo annunciato, e Gesù morrà ” non per la sua nazione soltanto, ma per raccogliere insieme i dispersi figli di Dio ” (Gv. 11,52). S. Paolo attesterà (Rom. 9,24,26): ” ci ha chiamati non solo di fra i Giudei, ma anche di fra i Gentili”, come dice anche in Osea: “chiamerò popolo mio quello che non è popolo mio, e amata la non amata; ed avverrà che sul luogo dove fu detto a costoro: voi non siete mio popolo, li saranno chiamati i figli del Dio vivente “.
Il nuovo Israele realizza in pieno la parola della Scrittura: ” voi siate mio Popolo e io sarò vostro Dio “. E’ il popolo per il quale Gesù sacrificò se stesso, per redimerlo da ogni iniquità e prepararsi un popolo eletto, zelante di opere buone (Tit. 2,14); costituisce il gregge, la vigna, la sposa del Signore; i figli del nuovo Israele non soltanto di nome, ma di fatto sono figli di Dio e come figli di adozione hanno ricevuto lo Spirito di Dio e costituiscono la nuova creatura.
Per questo la trascendenza del nuovo Popolo di Dio è assoluta: regno sacerdotale, non appartiene a questo mondo; la sua patria è nei cieli, dove i suoi membri hanno diritto di cittadinanza perché sono figli della Gerusalemme celeste, la stessa che alla fine dei tempi discenderà dal cielo sulla terra.
A questo Popolo appartengono tutte le promesse, non solo per la sua vita in questo mondo, e per la salvezza delle anime nell’altro, ma perché il mondo raggiungerà in Gesù Cristo il suo compimento totale.
Dunque è un popolo storico e quindi concreto, ha un carattere trascendente nella sua origine, nella sua natura e nella sua destinazione e perciò è un popolo in cammino, dinamico, caratterizzato dalla speranza dell’attesa.
Primato della Iniziativa divina
Queste note che si raccolgono percorrendo la storia del Popolo di Dio hanno una importanza incalcolabile per una presentazione catechistica della Chiesa. La Chiesa non è più soltanto un articolo del Credo cattolico, ma il punto di convergenza e come la sintesi storico-vitale di tutti gli articoli della Fede, la motivazione soprannaturale dei precetti e il culmine della attività cristiana.
La Chiesa concepita, espressa e vissuta come Popolo di Dio ci riporta al primato dell’iniziativa divina che convoca lungo il tempo i figli dell’Israele del sangue e i figli dell’Israele della promessa; nella esistenza concreta di questo Popolo si colgono tutte le manifestazioni dell’Amore gratuito di Dio che si lega al suo Popolo con una alleanza suggellata dalla prova estrema, il Sangue del Figlio, a questo Popolo appartengono i doni di Dio; la sua Presenza, la sua Parola, la sua Assistenza, il suo Figlio, il suo Spirito, il suo Regno. D’altro lato il Popolo di Dio è nella realtà della Chiesa il soggetto centrale al cui servizio è destinata ogni altra realtà creata è impegnato in una esistenza concreta, vitale e storica dove i singoli membri sono personalmente chiamati a rispondere a Dio, a mantenere le promesse liberamente accettate, a far fruttificare i Doni gratuitamente ricevuti: aspetti essenziali per educare a una fede adulta e allo spirito missionario; in questo Popolo ognuno sa di dover trovare la salvezza, non con delle evasioni da una realtà comunitaria, né con l’isolamento di una solitudine tagliata fuori del mondo: sarà figlio di Dio nella misura in cui condividerà la vita e le soste della comunità scelta da Dio perché diventi il suo Popolo e questa è la sorgente dello spirito comunitario ed ecumenico essenziale ad una autentica vita cristiana.
E ora ritorniamo ai ” tempi della Salvezza ” e al significato dei “segni “.
La Chiesa si attua come Popolo di Dio
Il tempo della ” figura ” è compiuto, come pure è compiuto tutto ciò che il Padre ha affidato al Figlio suo. La Salvezza però continua: la ” Realtà ” preparata dalle ” figure ” continua nel tempo e nello spazio.
Gesù Cristo, Figlio di Dio, fattosi uomo nel tempo, stando alla destra del Padre, rimane con gli uomini, e inviando loro i suoi mediatori e il suo divino Spirito, li raccoglie intorno a sé, e nutrendoli della sua Parola e della sua Carne, ne fa dei perfetti adoratori del Padre e dei testimoni della sua Redenzione.
Tutto questo avviene nella Chiesa e per mezzo della Chiesa in quanto esiste e si attua come Popolo di Dio.
Il nostro è il tempo della Chiesa.
Questo tempo è più ricco e più completo di quello della ” figura ” e di quello della vita mortale del Salvatore, perché la ” figura ” ha avuto il suo compimento nella ” Realtà” e il Cristo riceve il ” compimento ” del suo Corpo, che è appunto la Chiesa.
Come il tempo presente porta con sé tutte le ricchezze del Cristo, così compie tutto il senso della ” figura “. Cosicché per intendere tutto il valore del nostro tempo non è sufficiente rifarci al nostro Salvatore, ma è indispensabile capire lo stesso Gesù nelle ” figure ” che lo hanno preparato, e quindi anche la Chiesa intenderla, sentirla e presentarla secondo la ” rivelazione ” che Dio ne ha fatto durante tutti i tempi della Salvezza; anzi proprio la Chiesa va intesa anche secondo la prospettiva finale, dal momento che Dio ha voluto che ne anticipassimo una certa visione e ne avessimo già in qualche modo possesso.
In altre parole: la Chiesa assume in sé tutti i tempi e si immerge nell’eternità. Ha in sé tutti i tempi perché ciò che del suo Mistero era stato abbozzato nell’Antico Testamento continua a costituire l’ossatura delle sue realtà, portate a compimento – di significato, di espressione, di efficienza – da Gesù Cristo suo Capo. Inoltre, la Chiesa già entra nel secolo futuro con la cognizione che le è data di se stessa con la visione profetica (Apocalisse), soprattutto con l’ingresso effettivo del suo Capo che siede alla destra del Padre (Mr. 16, 19) e di quelli che già siedono con Lui nei cieli (Ef. 2, ó), e nella realtà del possesso e nella speranza e nel pegno della grazia destinata a maturare in gloria. Difatti, ” la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, la comunità visibile e quella spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse, ma formano una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino ” (Cost. De Eccl., art. 8).
E’ indubitato che la Chiesa proprio come ” Popolo di Dio ” trova la migliore espressione per un collegamento di significato e di concreta continuazione esistenziale lungo tutti i tempi della Salvezza: ha la sua origine remota in Abramo, è costituita ai piedi del Sinai è presente nel Tempio, è caricata di significato dai Profeti, è descritta nei suoi rapporti con Dio dalle più belle immagini del Libro Sacro, è fondata come ” sua ” da Gesù su Pietro, roccia incrollabile, e sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti.
Gesù Cristo è la Pietra angolare della Chiesa, ne è il Capo, il Pastore, lo Sposo. La Chiesa è ancora sulla terra e raccoglie tutti i generi di pesci, capri, pecore e agnelli, grano e zizzania; è già in Cielo raccolta intorno all’Agnello, sua Sposa e Madre dei viventi.
Sempre come ” Popolo di Dio ” non corre il rischio di diventare una astrazione o una istituzione fredda e statica, è fatta di uomini che attuano nella loro breve vita le vicende di una lunghissima storia, che portano nella loro fragile povertà tutta la ricchezza dei Doni di Dio, che sono legati nella responsabilità di un unico destino e si sentono eredi di un passato meraviglioso e destinati a una eredità colma di ancor più stupende meraviglie.
Da un punto di vista pastorale, la nozione di ” Popolo di Dio ” si adatta mirabilmente per una catechesi reale e a trasfondere un senso concreto e dinamico della Chiesa. Si può far rilevare come tra tutti i popoli della terra Dio raccoglie il suo Popolo; e non soltanto tra i popoli in senso etnico o politico, – la Fede e la Carità trascendono tutte le differenze da questo punto di vista, e senza distruggere nessun legame naturale positivo, assumono, purificandoli ed esaltandoli, tutti i valori autentici – ma dall’ambito di una stessa popolazione: di un paese, di una città, di un quartiere, dei compagni di viaggio, dell’albergo, ecc. In mezzo a ciascun gruppo umano le varie divinità tendono a reclutare un proprio popolo al loro servizio: Mercurio, dio degli affari, Marte, dio della guerra e della forza, Venere dea dell’amore, ecc. Il vero Dio e Gesù Cristo, il suo Figlio diletto che Egli ha inviato nel mondo, cercano di raccogliere anch’essi un popolo al loro servizio: un popolo santo, la cui legge è l’amore umile e servizievole. Questo popolo lo si raccoglie tra i datori di lavoro e i dipendenti, tra gli uomini e le donne, tra i Greci e i Barbari; ma in mezzo a tutti e al di là di ogni condizione e in tutte le situazioni c’è il Cristo (Gal. 3,28). Questo popolo ha la sua legge: l’amore di Dio e del prossimo; le sue assemblee: quelle liturgiche; la sua gerarchia: di ordine e giurisdizione; le sue insegne, i suoi costumi. E’ un popolo chiamato a dare testimonianza a Cristo e alla carità. E’ costituito da peccatori, ma che fanno anche penitenza e cercano di camminare nella via del ritorno al loro Dio ” (Congar, L’Eglise comme peuple de Dieu, in Concilium, 1, 1965, p. 26).
Dio in mezzo al suo Popolo compie la Salvezza
E’ precisamente nella concretezza di questo popolo che continua a compiersi l’avvenimento della Salvezza.
Il Padre, in Gesù Cristo, per mezzo del suo divino Spirito continua:
a eleggere i suoi figli tra i figli degli uomini
a chiamarli perché diventino conformi all’immagine del Figlio
a convocarli a stare insieme davanti a Lui, come suo Popolo.
A questo scopo ” Cristo Signore, per pascere e sempre più per accrescere il Popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri che tendono al bene di tutto il Corpo ” (Cost. De Eccl. art. 18).
Coloro che nella Chiesa sono rivestiti dei ministeri sacri annunziano e ripetono al Popolo di Dio la sua Parola: Parola di riconciliazione, di grazia, di carità e di pace; Parola che genera la Fede, la nutre e la fa diventare fruttuosa. Gli stessi con le azioni sacramentali inseriscono i nuovi eletti nel Popolo di Dio, ne alimentano la vita nuova che non viene dalla carne e dal sangue ma da Dio stesso e guidandoli a una partecipazione intelligente e attiva dei sacri riti, li dispongono all’esercizio di quel sacerdozio regale di cui sono stati insigniti nel Battesimo e nella Cresima, a offrire la lode perfetta che deve salire da tutti i punti della terra (cfr. Mal. 1,11). Sono ancora i sacri ministri che ” in persona Christi ” buon Pastore, Capo del suo Corpo e Sposo della sua Chiesa, guidano il Popolo di Dio lungo la via della Salvezza. Una via lunga, stretta, cosparsa di ostacoli ed esposta ai pericoli; lungo la quale c’è il ristoro dell’Acqua e del Pane, il conforto dell’Ombra, la medicina dell’Olio e soprattutto la grande speranza di una Terra promessa da un Dio fedele.
Ma l’avvenimento della Salvezza continua perché Dio è in mezzo al suo Popolo.
Questo aspetto della Salvezza che è stato definito ” l’essenza del Cristianesimo ” è legato alla storia del Popolo di Dio in modo imponente.
” Mio Dio ” e ” Mio Popolo ” non sono dei termini di una nozione e neppure delle semplici espressioni di un dialogo, ma la misura di una vicinanza, di una presenza, di uno scambio, di una comunione. Il Dio vivente è il Dio presente.
” Mio Popolo ” entra nella vita di questo Dio, come un figlio, come un amico, come un fratello, come una sposa.
Vi entra con le espressioni più sorprendenti dell’amore, le quali di fatto sono legate ad una presenza.
Forse è quasi pericoloso indicarle nei loro ” segni ” sacramentali, perché abbiamo fatto troppo l’abitudine a fermarci alla ” res ” del sacramento, come ad elemento essenziale e abbiamo trascurato ” il significato ” che è quello che nel dialogo dà colore e calore e perciò vita alla realtà significata.
Quando diciamo che Dio è presente nel suo Ministro, nella sua Parola, nei segni sacramentali, dove due o più sono adunati nel suo nome, dimentichiamo come si è espressa concretamente questa presenza nel Vecchio e nel nuovo Testamento, strappiamo una meravigliosa e commovente realtà dal piano vitale della esistenza per trasferirla a quello astratto e freddo della nozione.
Il Popolo di Dio che è il fortunato beneficiario di questa ” presenza ” è defraudato della sua più stupenda ricchezza.
La Celebrazione Liturgica é il ” momento forte ” della Salvezza
Tutte le ricchezze e le meraviglie del Mistero della Chiesa sono presenti di continuo nella concretezza dell’esistenza del Popolo di Dio, pellegrino verso l’eternità; ma diventano operanti nella misura in cui questo Popolo si caratterizza esteriormente nel senso della sua misteriosa realtà interiore.
Sono i momenti in cui il Popolo di Dio assume esteriormente l’atteggiamento di ” segno ” perché risponde alle sollecitazioni dello Spirito che lo anima, si dispone all’ubbidienza verso il suo Capo e risponde all’Amore del suo Sposo.
Questo soprattutto accade nella celebrazione liturgica. ” La Liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino Sacrificio dell’Eucarestia, si attua l’opera della nostra Redenzione, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della Chiesa ” (Cost. Lit. art. 2).
Quello della celebrazione liturgica è il momento in cui tutti gli elementi che costituiscono il Popolo di Dio si caricano dell’espressione del ” signum ” e sono nella condizione di maggiore efficienza.
Giova ripetere che dove e quando appaiono i ” segni ” stabiliti dalla economia della Salvezza, la Salvezza diventa operante.
Il Popolo di Dio nella storia ha come sua finalità di lodare Dio e di testimoniarlo dilatando il suo Regno sulla terra.
Quando risponde a questa sua finalità?
Nel momento in cui ” appare ” più chiaramente come Popolo di Dio e attuando più intensamente la sua esistenza, svolge il compito a cui è destinato.
Quindi il momento liturgico è quello in cui la Chiesa, come Popolo di Dio, edifica se stessa e cresce ” ad intra ” e acquista tutta la sua capacità di espansione ” ad extra “.
E’ il ” momento forte ” in cui hic et nunc si compie la Salvezza.
La nostra catechesi per corrispondere alle disposizioni della Costituzione sulla S. Liturgia e relativa Istruzione si trova impegnata a mettere in evidenza e a illustrare gli elementi che compongono, per così dire, il Popolo di Dio, con il loro significato e la loro funzione.
Per la celebrazione liturgica il Popolo deve essere convocato. Non debbono essere i singoli individui che o per soddisfare un dovere religioso o per pietà e devozione si portano ciascuno per proprio conto nell’edificio sacro. L’autorità legittima (il Sacerdote autorizzato) con i mezzi idonei (campane, tabella degli orari, annunzi scritti o orali) chiama i fedeli a trovarsi in Chiesa per stare insieme. Proprio in questo particolare di una attuale volontà dei convenuti di stare insieme davanti a Dio avviene la risposta alla convocazione che parte da Dio e si riannoda l’alleanza che culminerà al momento della comunione sacramentale.
L’ascolto della Parola
Questo Popolo cosciente di essere convocato da Dio si dispone ad ascoltare la Parola.
Per capire l’importanza della Parola di Dio per la vita del suo Popolo e in ordine alla Salvezza è indispensabile una nutrita catechesi sulla storia della Parola di Dio, sulla sua natura e sulla sua efficacia: è tutta una teologia da riscoprire e che è di una importanza estrema per la pastorale.
L’ascolto della Parola di Dio, sempre nella celebrazione liturgica, suscita la risposta della Fede.
E anche qui un rilievo per la catechesi: la Fede è la radice della vita cristiana; dalla Fede nascono le altre virtù teologali, che la rendono fruttuosa; sul fondamento delle virtù teologali e perciò dell’esistenza soprannaturale si edificano le virtù morali cristiane. Il Popolo di Dio è il popolo dei credenti. Ora tutta la nostra predicazione a cominciare da quella strettamente liturgica, l’omelia, deve tendere a generare e a far crescere la Fede. La storia della Salvezza è un avvenimento che accade tra persone: le Persone divine e il loro Amore da una parte, la persona umana bisognosa di entrare nel mondo della salvezza, cioè il Popolo di Dio, dall’altra. Le divine Persone entrano in questa storia ed eleggono, chiamano, propongono una alleanza, uno scambio di fiducia, di amore e il dono della Salvezza. La persona umana, proprio in quanto dice relazione a Dio, agli altri uomini, è posta nella condizione di dare il proprio assenso, la propria risposta, di impegnarsi, di avere fiducia e di offrirsi al suo Dio insieme a tutti i propri fratelli. E’ nel senso della coscienza della complessità e della ricchezza di questa risposta che si costruisce la vita cristiana, cioè la Fede.
La professione di Fede fatta dalla comunità nell’azione liturgica come conseguenza di una Fede vissuta e che è stata alimentata dalla Parola di Dio appartiene essa pure al ” segno ” di Popolo di Dio: ha una sua efficacia in ordine alla crescita interna e alla dilatazione esterna della Chiesa.
L’offerta del Sacrificio
Nella storia del Popolo di Dio ha un posto preminente l’offerta del sacrificio. Intanto è un’azione del popolo compiuta tramite i ministri legittimamente deputati; è l’azione specifica di questo popolo, in quanto Dio lo ha messo da parte per sé, perché fosse un regno di sacerdoti che Lo lodasse in mezzo a tutte le nazioni. Il sacrificio inoltre ha lo scopo di sancire l’Alleanza con un popolo di peccatori e quindi ha un aspetto cruento; di attuare l’Alleanza, e per questo è legato alla consumazione di un pasto preso in comune.
Il Popolo di Dio raggiunge in sommo grado le finalità dell’offerta del sacrificio con la celebrazione della Liturgia Eucaristica.
Il Ministro sacro, ” in persona Christi ” e come capo visibile dell’Assemblea liturgica, guida il Popolo di Dio verso il compimento dell’azione specifica per cui è stato da Dio costituito: l’esercizio di un regale sacerdozio.
Il Sangue della nuova Alleanza con cui questo Popolo è stato asperso lo rende un’offerta santa e a Dio gradita. I figli di questo Popolo offrono se stessi all’Altare di Dio come membra del Corpo di Cristo, Sacerdote e Vittima, e Capo. Le membra che non debbono più servire al peccato, perché furono partecipi della Sua morte nel Battesimo, ora debbono essere offerte quale sacrificio vivo, santo, gradito a Dio (Cfr. Rom. ó; 12,1).
E’ chiaro che nella nostra catechesi se da una parte dobbiamo mettere in luce la dignità del carattere del Battesimo e della Cresima, in quanto ci conforma al Sacerdozio di Cristo e ci rende capaci di essere membri attivi del sacerdozio del Corpo Mistico, dall’altra parte dobbiamo far conoscere con altrettanta chiarezza le esigenze di questo sacerdozio che consistono nel dovere di partecipare alla Morte del nostro Capo per avere diritto alla sua Risurrezione.
Non bisogna mai cessare di mettere in rilievo che la celebrazione liturgica mentre rappresenta la Storia della Salvezza è dominata dalla iniziativa sovrana del gratuito Amore di Dio.
Il Sacrificio che il Popolo di Dio offre all’altare è anzitutto opera di Dio. Noi siamo rivestiti di un sacerdozio regale, possiamo offrire noi stessi come ostie gradite e in particolare possiamo offrire il Cristo, nostra Pasqua, in quanto Dio Padre ci dona il suo Unigenito, ci purifica dai nostri peccati e ci riveste di grazia e ci introduce in quella corrente di compiacenze del Sacerdozio di Cristo.
La comunione col Corpo dl Cristo
Questa partecipazione ontologica e vitale alla realtà del Verbo Incarnato che avviene soprattutto per opera dei Sacramenti della ” iniziazione cristiana “, introduce la Chiesa in una condizione soprannaturale che trova la sua espressione in una immagine che descrive più pienamente il suo Mistero, quella del ” Corpo di Cristo “.
Il Banchetto, in cui la Liturgia Eucaristica ha il suo compimento, fa entrare il Popolo di Dio nella comunione di tali ricchezze e stabilisce i membri di questo Popolo in un rapporto di tale unità di vita quindi di tali esigenze di unità di sentimenti e di azioni da farne veramente quel Corpo unico di cui Cristo è Capo.
La Comunione eucaristica è veramente il germe, l’alimento, oltre il ” segno “, di quella Carità che deve fare di molti ” uno solo “.
In questa unità nella carità Gesù Cristo indica il ” segno ” (Gv. 17, 21) valido per portare il mondo alla Fede.
Il motivo comunitario e missionario già evidente nella Chiesa concepita ed espressa come Popolo di Dio, diventa tanto più evidente nella Chiesa, Corpo di Cristo.
La Comunione sacramentale ci inserisce nel Corpo glorioso di Cristo risuscitato, ” il quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione, rendendolo simile al corpo della sua gloria ” (Fil. 3, 21). ” La nostra cittadinanza infatti è nei cieli, da dove aspettiamo, come Salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo ” (Fil. 3, 20).
Proprio al punto in cui i membri del Popolo di Dio e del Corpo di Cristo celebrano la morte del Signore, mangiando la sua Carne e bevendo al suo Calice, la Chiesa celebra l’attesa della sua speranza ” finché Egli venga ” (1 Cor. 11, 26). Quindi la celebrazione liturgica si conclude richiamando il Popolo di Dio alla sua destinazione escatologica, mentre ha posto nel cuore degli attori della stessa celebrazione i motivi più validi per l’orientamento della loro vita e li ha caricati delle grazie più efficaci perché su questa terra diventino gli edificatori del Regno di Dio, mentre continuano ad assoggettarla e a riempirla col sudore della loro fronte.
CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
Stampa: Via Verità e Vita: Catechesi e Liturgia, Giugno 1966
ST 226 Liturgia 1965