“Pastorale” è un termine che da noi ha acquistato pieno diritto di cittadinanza il settembre 1963, in occasione della settimana di aggiornamento pastorale celebrata ad Orvieto. Precedentemente si vedeva applicato con una certa diffidenza, specialmente alla teologia, che della Pastorale è la sorgente sia sotto l’aspetto del contenuto, come del metodo e anche dello spirito.
Sono significative al riguardo le riserve che si sono registrate in Concilio, che quasi sempre erano originate proprio dalla difficoltà di fare il passaggio da una teologia speculativa a una teologia pastorale.
Si può dire che da noi fino a ieri si concepiva la cura d’anime o il ministero pastorale come una traduzione nella vita di concetti; di norme, di riti definiti speculativamente o addirittura razionalmente, senza un riferimento, cioè alla Rivelazione.
La salvezza non appartiene all’ordine speculativo, ma a quello storico, dell’esistenza. Essa si compie nel vivo degli avvenimenti e della vita; così è concepita positivamente da Dio e così Egli la vuole attuare.
La scienza e l’arte che studiano e insegnano ad attuare la salvezza dell’uomo nella concretezza del tempo e dello spazio costituiscono la Pastorale.
Essa, com’è ovvio, appartiene all’ordine soprannaturale, perciò ha una finalità dei mezzi, un metodo, un contenuto e uno spirito che sono del mondo della Grazia, cioè di quei rapporti che la sovrana condiscendenza dell’infinito Amore di Dio ha voluto intrecciare con gli uomini per chiamarli e introdurli nell’intimità della propria vita.
Il fine della pastorale
Quando uno si propone di fare della Pastorale deve sapere dove vuole arrivare, a che scopo vuole approdare.
Oggi la Chiesa ci rimanda alle sorgenti; per stabilire ciò che occorre fare non è sufficiente sapere ciò che si è fatto fin qui; ci possono essere delle tradizioni che conservano tutta la loro validità; la condizione è che si allaccino alle sorgenti.
La sorgente è la Storia della Salvezza, come è contenuta negli scritti divinamente ispirati e nella Tradizione.
Ora in questa storia noi troviamo che Dio, primo attore, interpella l’uomo, secondo attore, se ha fede in Lui. Se ha fede in Lui fino a lasciare il proprio paese, la propria gente, a immolargli il proprio figlio, a seguirlo per vie sconosciute per giungere a un paese sconosciuto. Questo impegno che in origine fu di un solo individuo o di pochi individui, al tempo del Sinai, diventò l’impegno e la caratteristica di tutto un popolo: a principio con un contenuto a prevalenza temporale, poi con un contenuto più profondo e più spirituale.
Il Popolo di Israele è il popolo dell’Esodo, il quale attraverso la sua storia tradisce o realizza la sua fedeltà all’Alleanza: corrisponde o non corrisponde all’Amore di un Dio fedele che lo libererà dalla servitù, gli fa attraversare il Mare Rosso, lo conduce per il Deserto, fino alla Terra Promessa.
I temi della schiavitù, del Mare Rosso, del Deserto, della Terra Promessa, si arricchiscono di continuo di un significato più spirituale e corrisponderanno a nuove situazioni storiche; ma ciò che li definisce in ordine alla salvezza è da una parte la fedeltà dell’Amore onnipotente di Dio e dall’altra la fedeltà e l’infedeltà del suo Popolo.
E’ superfluo rilevare che qui il termine fede è preso nel senso che ha nel contesto della Storia della Salvezza
Quando viene Gesù Cristo a dare compimento al piano di Dio, lungamente preparato dall’Antico Testamento, Egli non fa che rinnovare la stessa proposta che il Padre suo aveva fatto agli antichi Giusti e al suo Popolo: di abbandonare il padre, la madre…. di rinnegare se stessi e di seguirlo.
Pare che ci si possa esprimere così: chi vuole salvarsi deve disancorarsi dal mondo e da se stesso e deve dare tanto credito alla Parola di Gesù Cristo da farla diventare il suo punto di consistenza, il perno della sua vita, il suo criterio di scelta, il suo motivo di speranza. Questi è uno che erede in Gesù Cristo.
Non c’è tempo purtroppo per accennare almeno al contenuto e al valore della Fede nel Nuovo Testamento. Ciò che preme in questa esposizione è mettere in rilievo che quando si pensa a svolgere un’azione per realizzare la salvezza in mezzo agli uomini, non conta affatto ottenere che essi siano dei praticanti o degli istruiti nelle cose di religione o anche degli onesti; non conta neppure che coloro che sono nati in ambiente cristiano e battezzati non abbiano rotto formalmente con la loro fede, alla quale ritornano occasionalmente (matrimonio ecc.).
La Pastorale si propone di ottenere che uno, a ragion veduta, accetti di seguire Gesù Cristo al punto di essere Lui la ragione determinante di tutte le sue scelte.
Il metodo della pastorale
La nota caratteristica o addirittura l’essenza del Cristianesimo è la presenza storica di Dio in mezzo alle vicende degli uomini.
Dio è il Protagonista della Storia della Salvezza non solo perché è all’origine degli avvenimenti di questa storia, ma perché con la sua presenza concreta caratterizza in modo unico questi avvenimenti.
Ricordate nell’A.T. i temi della Tenda e del Tempio. Gesù poi abitò fra di noi e sarà con i suoi fino alla fine del tempo.
Dio salva gli uomini in mezzo ai quali Egli abita.
Chi vuole lavorare alla salvezza degli uomini deve abitare in mezzo a loro; questo è il primo elemento della metodologia pastorale.
Già nell’A.T. si avverte la preoccupazione di Dio di dare alla sua presenza una nota che oggi chiameremmo sociologica: prima la Tenda, poi il Tempio.Decisamente l’Incarnazione non attua soltanto una presenza ontologica di Dio fra gli uomini, ma la più perfetta e commovente delle presenze sociologiche: patria, condizioni di vita, costumi, mentalità, lingua, tutto « absque peccato ». La stessa regola guida gli Apostoli: Giudei coi Giudei, Greci coi Greci, per portare tutti a Cristo.
La ragione è la natura sacramentale della Religione cristiana, fatta per gli uomini che prima di capire hanno bisogno di vedere.
Il Segno è la porta del Mistero.
Quali problemi sollevi oggi questa prima esigenza di una metodologia pastorale è facile intuire; le conseguenze sono ovvie; non sono altrettanto facili le decisioni; eppure ci vuole coraggio questa è la strada!
Questa presenza mentre deve essere sincera, senza riserve intenzionali, deve nello stesso tempo manifestare l’altro carattere della presenza di Dio in mezzo agli uomini, la sua trascendenza.
Dio è ” tutt’altro “, Gesù è in tutto simile ai fratelli, ma è santo, senza macchia, segregato dai peccatori. L’apostolo deve realizzare il massimo di conformità ed escludere ogni conformismo.Inoltre la presenza deve essere in definitiva missionaria: farsi tutto a tutti per tutti guadagnare a Cristo. Non si può passare sotto silenzio come anche la presenza missionaria esiga le sue separazioni: Gesù lascia sua madre, il suo paese e il suo mestiere, rifiuta ogni impegno temporale; le stesse cose esige dai suoi alla vigilia di mandarli per il mondo a salvare gli uomini.
La presenza sociologica per essere autentica deve corrispondere ad una presenza psicologica, cioè di amore: qualsiasi ambiente, ma in particolare quello dei poveri, degli operai, va amato, amato umilmente, così come è con una disinteressata disposizione di servizio. Solo con l’amore si arriva a capire e a valutare le aspirazioni di un ambiente, si diventa sufficientemente disponibili per ascoltare e ci si mette in grado di esprimerci nel loro stesso linguaggio.
In fine non si possono ignorare le voci, oggi sempre più numerose e insistenti, nell’affermare che quando si tratta di problemi missionari – la pastorale vuole appunto risolvere tali problemi – la presenza va spinta fino al ” tipo di vita ” di coloro che si vogliono evangelizzare.
Pazienza della preparazione
La pedagogia che Dio usa nella realizzazione del suo Piano ha un’altra nota che potremmo chiamare della ” pazienza ” o della ” preparazione “.
La pienezza dei tempi arriva dopo non sappiamo quanti millenni; la breve durata della presenza fisica di Gesù nel mondo è spesa-trenta contro tre – negli anni dell’attesa e della preparazione.
All’evangelizzazione deve precedere una preparazione; non ha uguale importanza la durata della preparazione cronologica quanto l’intensità di quella psicologica.
Non si possono proporre le scelte del Vangelo fino a quando non ci sono sufficienti « segni » per chi parla e per chi ascolta che probabilmente è scoccata l’ora di un incontro di Dio nell’intimo delle coscienze a sollecitare la libera adesione della volontà. Questa nota d’attesa va applicata anche nel senso di una certa gradualità nel proporre il Vangelo, tanto più quanto un ambiente o un individuo sono lontani.
In ambienti di fede pacifica, come potevano essercene in tempi passati, ogni proposizione di Dottrina poteva ritenersi positiva; oggi potrebbe costituire una tentazione di Dio la predicazione diretta del Vangelo in ambienti penetrati dal positivismo, dallo scientismo e dal neomaterialismo, senza una adeguata preparazione.
I « segni » che coloro ai quali vogliamo rivolgere la Parola di Dio possono legittimamente richiederci sono quelli che abitualmente definiamo col termine ” testimonianza “; i quali, è bene notarlo, nel Piano di Dio non hanno soltanto un valore morale di esemplarità, ma anche quello sacramentale di presenza e di azione salvifica.
La nota di una testimonianza valida per i nostri contemporanei che credono alla scienza, alla tecnica, al progresso per una promozione economico-sociale nella giustizia, nella libertà e nella pace è la nostra gioia nella povertà, nell’umiltà e nella castità.
La povertà è un «segno » quando sia una privazione rispetto alle condizioni di un ambiente, ma assunta nella gioia.
L’umiltà! è testimonianza quando ci dispone con naturalezza al servizio dei fratelli più di quanto non facciano loro.
La castità perfetta può sembrare difficile da testimoniare; eppure quando consiste in uno sforzo sincero per vivere pienamente la nostra consacrazione a Dio per amore di tutti i nostri fratelli, si manifesta al di sopra di ogni contestazione ed è la più sconvolgente.
Un fratello del Prado che lavora con gli operai, si sente un giorno apostrofare in questi termini: « Senti un po’, non ti capisco: non bevi, non fumi, non vai a donne. Ma chi sei allora ? »
E quali sono i ” segni ” che ci possono legittimamente fare pensare che un determinato ambiente o un determinato indirizzo non sono più ” strade, terreno roccioso o spini” (Mt. 13, 3-9)?
Non è facile individuarli.
Si tratta infatti di preparare degli uomini più o meno impregnati di materialismo, di preconcetti, di diffidenza a ricevere il Messaggio spirituale del Vangelo.
Se il loro spirito è stato colpito dalla testimonianza di una vita conforme al Vangelo; se il loro cuore è stato commosso da una amicizia vera che racchiudeva in sé la presenza dell’Amore Infinito; se inoltre si è ottenuto che essi compissero qualche azione conforme alla linea del Vangelo e soprattutto se qualcuno si è impegnato a trascinare gli altri ad agire come lui sulla linea del Vangelo, si può legittimamente pensare che lo Spirito Santo è già in azione.
Anche gli avvenimenti brutti o belli, tristi o gioiosi, opportunamente lumeggiati possono diventare dei ” segni ” del passaggio di Dio.
Ciò che importa è il coraggio di andare adagio, di avere pazienza, di avere fiducia in Dio e negli uomini.
Evangelizzazione nella fede
Il terzo elemento della metodologia pastorale è la evangelizzazione, cioè il modo con cui viene trasmessa la Parola di Dio nella fede perché sia accolta nella fede.
Bisogna prima di tutto definire gli ambienti.
Mentre in una situazione di cristianità dove noi ci rivolgiamo a persone che hanno la fede, la predicazione ha lo scopo di svegliarla se sopita, di renderla esplicita quando fosse incosciente o di renderla attiva proponendo una trasformazione di vita; quando invece ci rivolgiamo a persone la cui fede è del tutto spenta o che addirittura è senza fede, le cose stanno assai diversamente.
Siamo alla presenza del Mistero più delicato: l’incontro tra la sovrana gratuita iniziativa dell’Amore infinito di Dio e la libertà della persona umana: è Dio che si presenta la prima volta o è la sua voce dimenticata e sconosciuta che si fa sentire.
Noi non siamo i padroni né dell’iniziativa di Dio, né della libera decisione di una coscienza. Noi siamo a servizio, siamo strumenti: lo strumento deve rivelare un Altro.Noi siamo testimoni: dobbiamo aver vissuto abbastanza con Cristo specialmente con la nostra orazione per poterne parlare come di uno che si è visto; inoltre la nostra condotta deve manifestare che noi crediamo in Lui e abbiamo accettato le conseguenze del Vangelo.
Un altro criterio della predicazione del Vangelo è che sia in rapporto alla vita concreta. E’ un criterio per sé valido e dovremmo dire doveroso per tutti gli ambienti, ma insostituibile quando si tratta di ambienti di una certa maturità.
L’uomo psicologicamente adulto quando vive in un ambiente maturo anche sociologicamente sente più acuti il senso di responsabilità, il contrasto di fronte alle difficoltà della vita, la propria solitudine e il senso dei valori ultimi. Non sarà disposto a prendere la fede come una cosa seria, se il Vangelo non gli rivelerà che l’impegno con cui costruisce la sua casa é sulla stessa linea della edificazione del Regno dei Cieli; che il mistero del peccato é all’origine del mistero del male; che il sacrificio é il prezzo di ogni redenzione; che l’intimità dei rapporti con Dio é la risposta al vuoto incolmabile della sua solitudine ; che il ritorno finale di Cristo vincitore di ogni morte é la risposta a tutti gli interrogativi e a tutte le attese.
Non si possono conchiudere queste rapide indicazioni di metodologia pastorale senza accennare almeno a una regola che è nella natura stessa delle cose.La salvezza cristiana si compie nella Chiesa; la Chiesa è l’ambito, l’organismo, lo strumento insostituibile della salvezza.
Chi lavora in qualsiasi settore, in qualunque condizione, da qualsiasi punto deve partire dalla Chiesa e arrivare alla Chiesa.
Più concretamente: perché un ministero sia efficace è assolutamente necessario che sia fondato nell’ubbidienza e collegato agli altri ministeri.
L’unità della pastorale si impone in nome della stessa unità della Chiesa e scaturisce prima che dal Diritto canonico, dalla costituzione stessa della Chiesa.
Il Contenuto della pastorale
E’ chiaro che il contenuto di una Pastorale autentica è il Vangelo.
Però ai giorni nostri si rende necessario dire che il Vangelo da predicare è quello della Bibbia e della Liturgia e non quello della speculazione.
Perciò il contenuto della Pastorale deve essere:
a) concreto, cioè storico;
b ) personalistico, cioè centrato nei rapporti delle divine Persone con la persona umana;
c ) essenziale e quindi non deve essere un labirinto di nozioni, ma partire e ricondurre a un unico motivo: l’Amore – infinito di Dio;
d) ecclesiale, centrato nel Mistero della Chiesa: gente convocata dal Padre per il ministero dei suoi intermediari e l’azione de!lo Spirito Santo, a stare insieme intorno al Figlio, nel vincolo della legge e dell’Amore. a celebrare le lodi del Padre.
Questa storia di persone chiamate a una alleanza di amore eterno per la lode e il godimento di una beatitudine infinita è contenuta in tutto il suo significato, con il colore e il calore che la rendono attualissima in tutti i tempi e per tutti gli ambienti nella sacra Bibbia.
La medesima storia diventa la storia di ognuno di noi nel Mistero della Chiesa, specialmente durante la celebrazione liturgica.
La celebrazione liturgica infatti realizza in modo reale ed efficace:
a) la presenza di Dio in mezzo ai suoi;
b ) la funzione ministeriale di convocazione;
c ) l’unione dei membri nell’assemblea;
d) l’esercizio dell’amore di coloro che stanno insieme ad ascoltare un’unica Parola, ad esprimere una sola preghiera, a compiere la stessa offerta, a fare una cosa sola nella comunione.
Da codesto momento privilegiato della celebrazione liturgica – momento di diastole, di carica – quelli che hanno goduto di stare insieme nella carità e nell’amore, nutriti di una sola Parola e di un solo Pane, partiranno a sviluppare la loro offerta nel compimento delle loro mansioni alla luce della Parola, confortati dal vigore del Pane.
I mezzi della pastorale
I mezzi della Pastorale coincidono con le funzioni stesse della Chiesa.
Osservo soltanto:
a) codeste funzioni sono di tutta la Chiesa, del Popolo e della Gerarchia, dei laici e dei chierici; si capisce che lo sono a titolo diverso, con diverse mansioni e anche con finalità distinte;
b) le funzioni della Chiesa sono distinte ma non separate: sono le facoltà operative di un organismo vivente e non possono non avere dei rapporti e delle influenze organiche;
c) la funzione sacerdotale che si esplica pienamente nell’azione liturgica, è la sorgente e il culmine di quella profetica e regale; che è quanto dire che il ministero della fede è ordinato ai Sacramenti, che i Sacramenti sono i Sacramenti della fede, che la morale cristiana ha la sua radice nella fede e diventa possibile con la grazia e tende a fare del cristiano un perfetto adoratore del Padre.
La spiritualità della pastorale
La Pastorale non è una tecnica: lo scopo che vuole raggiungere, il metodo, il contenuto, i mezzi non sono delle strategie dei semplici valori o strumenti umani; essa è: ” la scienza e l’arte propria della Chiesa, arricchita di particolari poteri e carismi, di salvare le anime” (Paolo VI, Discorso XIII sett. di aggiornamento pastorale ), è la scienza e l’arte di sprigionare nel mondo lo Spirito di Dio che salva gli uomini.
Quindi è una scienza e un’arte che deve essere appresa ed esercitata nella sintonia più perfetta con questo Spirito. Non basta la conoscenza, non basta una qualsiasi fedeltà alle esigenze di metodo e di contenuto non basta esercitare legittimamente.te delle funzioni, è necessario uno spirito.
Come il fine della Pastorale è la fede, così essa ne è lo spirito: avere della realtà una visione di fede, collocare ogni attività nella luce della fede, compiere ogni azione guidati e sostenuti dalla fede costituisce lo spirito della Pastorale.
Ecco alcune sommarie indicazioni:
a) in questo mondo senza Dio, Dio è presente, col suo Amore infinito, per salvarlo; noi siamo i cooperatori dell’Amore onnipotente di Dio; senso di fiducia, ottimismo;
b) il mondo è salvo per la Morte e la Resurrezione di Gesù Cristo; questa e solo questa è la legge della redenzione:” si compatimur et conglorificabimur”; non dobbiamo soltanto compiere in noi la Passione di Cristo, ma dobbiamo esprimere con Lui la più perfetta conformità e raggiungere la più perfetta intimità;
c) il Piano di Dio si attua nella Chiesa; Dio salva ognuno personalmente, cioè nella realtà dei legami e dei rapporti che ci dispongono ad essere « insieme »; la Chiesa è appunto questa convocazione ad entrare in un popolo, in un gregge, in una famiglia. Perciò chi lavora alla salvezza dei fratelli non può farlo che a nome della Chiesa, in piena sintonia con lei e con lo scopo di edificare la Chiesa, cioè di introdurli nella Chiesa.
d) Gli ambienti poi a cui ci rivolgiamo presentano a loro volta una certa analogia con i Misteri della vita di Cristo.
Un ambiente di lavoro richiama necessariamente il Mistero di Nazareth; lo richiama per imporre uno spirito a colui che lo vuole evangelizzare. Nazareth per un’attività apostolica significa la pazienza della preparazione e dell’attesa, la presenza amorosa e discreta, la solitudine e l’anticonformismo; significa tutte queste disposizioni unite alla preghiera; impone specificamente il tema della famiglia e del lavoro.
Il tema della famiglia è una sorgente tra le più inesplorate di spiritualità; poiché forse meglio di ogni altra introduce nell’unico piano di Dio, che a base della sua Chiesa ha disposto questa ” piccola Chiesa”, dove è a più facile e quindi doveroso cogliere i riflessi del Mistero Trinitario; dove amore, unione, fecondità, bontà sgorgano da un impulso naturale e sono sostenuti dalla grazia, che ha le sue scaturigini e le sue esigenze nel « grande Sacramento di Cristo e della Chiesa ».
Nessun ambiente può apportare rimedio, conforto, possibilità di ritorni, come uomo e come cristiano, a chi è costretto agli influssi dell’ambiente del lavoro, come la famiglia e lo spirito di famiglia. Il tema del lavoro è da considerarsi a questo punto in chiave di valore cristiano, religioso.
Gesù ha lavorato sul serio: il suo è stato un lavoro vero, lungo, duro.
Se Gesù ha voluto lavorare con le sue mani, se ha voluto mettere le sue mani a servizio della sua intelligenza per completare l’opera di Dio, significa che nel lavoro manuale vi è una dignità immensa; scoprirla questa dignità, rispettarla e valorizzarla è adeguarsi a una spiritualità e costruirla.
Difatti i lavoratori rivendicano soprattutto il loro onore di uomini e la loro dignità totale; essi non aspirano solo alla prosperità economica, ma al riconoscimento dei loro diritti di uomini.
Una spiritualità così legata al Mistero di Nazareth darà ai lavoratori la sicurezza che le nostre parole e le nostre iniziative apostoliche non sono un « imbroglio », ma la partecipazione sincera alla loro condizione e alle loro aspirazioni, per aiutarli a inserirsi da « adulti » nella società e soprattutto nella Chiesa.
MONS. CARLO FERRARI
Vescovo di Monopoli
Stampa: Via Verità e Vita n – Ottobre 1964 EP.
ST 211 Pastorale 1964