celebrazione penitenziale- ceneri 1981
Queste celebrazioni ci sollecitano perché entriamo nel significato di ciò che facciamo.
Abbiamo sentito proclamare la misericordia di Dio, il perdono, la conversione, la penitenza. Il peccato deve essere tolto. Noi ci accingiamo a celebrare il sacramento della riconciliazione perché siano tolti i nostri peccati, perché abbiamo la grazia e la forza dello Spirito per camminare lungo la via della conversione, perché la misericordia di Dio sia fruttuosa nel nostro cuore.
Questo è un momento solenne della liturgia dell’anno liturgico, che ci rimanda continuamente -in prospettiva- al mistero pasquale della morte e risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo. Noi dobbiamo prendere coscienza, in modo incisivo, in noi stessi, del compito che ci spetta nell’ambito dove opera la misericordia di Dio, dove è tolto il peccato e dove ci sono offerte le grazie per camminare nel senso della conversione.
“Tra il vestibolo e l’altare piangeranno i tuoi sacerdoti e diranno: perdona o Signore al tuo popolo”. Quasi un ministero di intercessione è affidato a noi perché nella nostra preghiera personale, nei nostri intimi sentimenti sentiamo che abbiamo un compito, perché i nostri fratelli abbiano a fruire largamente della misericordia di Dio. In tutto questo movimento di grazia, di perdono e di pace dobbiamo pensare a noi stessi, alla nostra vita, ai sentimenti profondi dove ogni giorno si decidono le nostre scelte. Mi pare di dovervi suggerire molto fraternamente il sentimento e la virtù che devono caratterizzare il sacramento della riconciliazione: il sentimento e la virtù dell’umiltà.
“Quia respexit humlitatem ancillae suae” “fecit mihi magna qui potens est” Proprio in mezzo ai fratelli noi siamo l’oggetto di cose grandi. L’affidamento della missione della chiesa, del ministero di nostro Signore Gesù Cristo è nelle nostre mani, è nella nostra persona. La nostra persona è coinvolta in un modo unico e indicibile con la missione di nostro Signore Gesù Cristo. Fecit mihi magna qui potens est quia rexpexit humiltatem ancillae suae.
Ci ha guardati il Signore un giorno della nostra esistenza e non ha fatto caso ai talenti naturali, alle prerogative personali, tanto meno al ceto sociale cui appartenevamo. Non ci ha scelto perché siamo persone che valgono, che contano, che possono. Queste tre prerogative -meglio difetti- possono essere presenti in noi. “Respexit humilitatem” Ha guardato in che misura eravamo “poveri” disposti ad annientarci perché campeggiasse nostro Signore Gesù Cristo. E’ necessario che Lui cresca in noi, è indispensabile che noi facciamo posto a Lui, dobbiamo allargare gli spazi ritirandoci silenziosamente e volentieri. Allora noi saremo grandi perché saremo scomparsi. “Mihi vivere Christus est”
Per noi “esserci”, “valere”, “potere” è il Cristo.
E’ Cristo che rende valida la parola che noi pronunciamo.
E’ Cristo che opera nei gesti sacramentali che noi compiamo.
E’ Cristo dall’alto della croce che attira a se tutti i cuori nell’unità di un solo Spirito.
Ecco il senso nel quale dobbiamo entrare silenziosamente e decisamente, perché sia reale, valida e significativa la nostra celebrazione.
OM 666 sacerdoti 81