Il Suo modo d ‘essere buon pastore
Il ricordo della vita di un vescovo che ha saputo cogliere il senso della propria missione e la sintesi del tessuto sociale, della storia della comunità che gli è stata affidata non può prediligere la curiosità della cronaca spicciola, ma richiama gli accenti di un insegnamento che va al di là dei fatti.
L’impronta che il Vescovo Carlo Ferrari ha lasciato nella diocesi di Mantova la si misura non tanto in proporzione all’attività che ha svolto, quanto in rapporto all’indirizzo spirituale ed ecclesiale che tenacemente ha proposto, con la parola e con la preghiera.
Ha esercitato con passione e gioia il ministero della Parola, a viva voce, in ogni occasione liturgica, sacramentale, ecclesiale. Per diversi anni ha voluto tenere personalmente le meditazioni nei ritiri dei sacerdoti. Il suo ministero della Parola era alimentato nello studio, nella meditazione, ma soprattutto nella preghiera. Mi chiedevo molte volte: ma cosa fa il Vescovo tutto il giorno? E quando mi delegava a provvedere a certe pratiche, a interessarmi di certi problemi, interiormente provavo disappunto, convinto che toccasse al Vescovo di farlo, in prima persona, e qualche volta glielo facevo notare.
La sua risposta: come gli Apostoli anche il Vescovo, principalmente deve pregare e predicare. Il suo comportamento non significava affatto disinteresse, e devo riconoscere che lo sentivo sempre solidale, pronto a far proprie le decisioni maturate.
La sua predicazione era efficace, sobria, essenziale, concreta, capace di offrire a ciascuno un motivo di riflessione per stimolare una revisione di vita, anche se non aveva le doti classiche dell’oratore.
Sentiva fortemente l’esigenza dell’aggiornamento proposto dal Concilio e cercò di favorirlo in diversi modi e circostanze, organizzando per i sacerdoti un grande numero di incontri, corsi residenziali di carattere teologico, culturale e pastorale.
Il dopo Concilio ha anche creato problemi, momenti di tensione, crisi vocazionali; ricordiamo gli anni della contestazione. Il Vescovo Carlo è stato sempre longanime, paziente nell’aspettare che le persone maturassero, e chi si allontanava, Lui lo seguiva con tanto amore senza mai perdere la fiducia. Sapeva mettere una pietra sul passato e su questa aiutava a costruire un nuovo modo di vita, più coerente alla fede, che per altro non era stata perduta. Parco nel riconoscere i meriti ma ancor più nel far notare i difetti.
Indifferenza? Disinteresse?
Non direi, piuttosto pazienza nell’aspettare che la grazia di Dio invocata con la preghiera lavorasse interiormente le persone.
Il metodo era giusto?
Ciascuno ha il suo.
E ogni metodo presenta inevitabilmente aspetti negativi e positivi.
Per il Vescovo Carlo questo è stato il modo di imitare l’unico “Buon pastore”, volendo il bene di chi gli era stato affidato.
Mons. Ettore Scarduelli
Vicario Generale della diocesi di Mantova
“La Cittadella” 13 Dicembre, 1992