Una vera festa di vita data ed accolta
Rifacciamoci all’esperienza di stupore, di gioia, di tenerezza che trasforma radicalmente, si può dire, tutto l’essere di chi ha potuto vedere e prendere tra le mani la propria creatura. Trasferiamo questo, che pur essendo umano é indicibile, nel mistero dell’evento eterno del Padre che genera il Figlio, pienezza di se stesso. Quale deve essere la sua compiacenza, la sua gioia per il suo realizzarsi come Padre!
L’amore paterno di Dio, che esaurisce la sua fecondità nella generazione del Figlio, trabocca nella creazione. Tutte le creature sono nella linea della generazione del Verbo. Difatti il Padre – questo lo sappiamo con sicurezza dalla parola rivelata – per mezzo del Figlio, col Figlio, nel Figlio, dà vita, consistenza a tutto ciò che esiste: ” Tutto fu fatto per mezzo di lui, senza di lui non fu fatto nulla di quello che é stato fatto” (Gv 1,3) ” In lui sono state create tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, le visibili e le invisibili, Troni, Dominazioni, Principati, Potestà. Tutte le cose sono state create mediante lui e per lui, egli é prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui” (Cl 1,16-17)
Il Padre perciò é all’origine d’ogni atto creativo, che avviene per mezzo del Figlio e nello Spirito. Ogni creatura e ogni istante e ogni movimento di ciascuna creatura é da una parte il termine dell’impulso dell’amore generante del Padre e dall’altra, per lo meno a livello ontologico, é una proclamazione della paternità di Dio. L’uomo che sta al vertice della creazione é il centro di questo impulso ed é chiamato ad essere la coscienza di questa partecipazione.
Come conseguenza della paternità di Dio, tra il Padre e il Figlio, tra il Padre e la creazione al cui vertice sta l’uomo si verifica, sia pure a livelli diversi e secondo la natura propria dei “generati”, una effusione ed una accoglienza che si risolve in una vera festa di vita, data ed accolta.
Tutti i “generati” sono il termine dell’effusione dell’amore generativo del Padre in ogni momento della loro esistenza e da ciascuna di loro, sempre a secondo della propria natura, attende di essere accolto come Padre con tutto il suo amore. Dal momento poi in cui il Verbo si é fatto carne, veramente si deve dire che ha fatto irruzione nel mondo la paternità di Dio e nel primogenito del Padre, nel Figlio dell’uomo, in Gesù Figlio di Maria, il movimento di effusione e di accoglienza é il traguardo di una festa di vita che va al di là di ciò che l’uomo può pensare e desiderare.
Il fatto sconvolgente che Dio, il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, abbia deciso nella sovrana libertà del suo amore di essere il nostro Padre ne viene di conseguenza che egli, mentre da tutta l’eternità dice, rivela, comunica tutto se stesso al Figlio, nel Figlio dica, riveli, comunichi, tutto ciò che vuole essere per le sue creature. E, come il Figlio da tutta la eternità, con tutto se stesso, dice la sua gioia infinita di essere Figlio del Padre, così le creature tutte, ciascuna a suo modo, nel Figlio, dicono il loro stupore, la loro gioia e la loro gratitudine di essere figli del Padre.
Questo, però, non é un semplice colloquio verbale: il Padre “dice” il Figlio comunicandogli tutto se stesso in una donazione infinitamente totale; il Figlio “accoglie” il Padre riconoscendo di essere tutto del Padre, sia pure in un modo che a noi rimane misterioso. Anche il nostro dialogo con Dio é essenzialmente l’accoglimento del Padre in persona nella nostra vita e la nostra risposta é l’impegno di essere per il Padre ciò che egli “dice” di noi e di realizzarlo grazie all’azione che egli compie in noi perché siamo in grado di essere come egli ci concepisce. Il momento normale e insostituibile di questo colloquio é costituito da una presa più chiara della coscienza di ciò che Dio é per noi, in cui il silenzio di tutto noi stessi dà al Padre la possibilità di dire se stesso a noi attirandoci nell’abisso della sua conoscenza con un abbraccio sponsale operato dal suo Spirito.
Questo é il fondamento insostituibile di una vera preghiera cristiana: una preghiera nella quale l’iniziativa, la parte decisiva e che dà la possibilità e valore a qualsiasi altra espressione di vita religiosa, viene da Dio, dal Dio che si dona, da Dio Padre. Ne consegue di sua natura un atteggiamento di ascolto e di disponibilità che costituisce la nostra risposta: dare a Dio la gioia di realizzarsi per noi come Padre, nella sicurezza che deriva dalla testimonianza dello Spirito che siamo figli suoi.
Qui non si tratta di fantasia ma di raggiungere il punto focale del messaggio cristiano e di immergervi tutta la nostra persona perché ne esca carica del contenuto della “buona novella”. Bisogna leggere in questa chiave le parabole che il Vangelo ci riporta (cf Lc 15,1-32 dove Gesù non solo rivela la premura della misericordia con cui il Padre ci ricerca, ma soprattutto la sua gioia festosa perché ci ha ritrovati. E’ sintomatico il modo abituale con cui leggiamo “la più bella avventura, che il vangelo ci ha registrato, la parabola del Figliolo prodigo. L’accento lo poniamo sul comportamento del più giovane dei due figli per concludere sul perdono accordato dal Padre.
Il protagonista della parabola é il Padre con la sua tristezza incolmabile perché ha perduto questo Figlio, con il suo desiderio incontenibile di riaverlo: …lo vide mentre era ancora lontano e ne ebbe pietà, allora correndogli incontro gli si gettò al collo e lo baciò… ordinò ai suoi servi, presto portate la veste più bella e rivestitelo… mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi… e prendete il vitello grasso, uccidetelo e mangiamo, e facciamo festa… perché questo mio Figlio era morto ed é ritornato in vita, era perduto ed é stato ritrovato” (Lc 15,20-24); …così il suo bisogno esplodente di fare festa! (id 32). Lo stesso sentimento del Padre é espresso nelle due parabole precedenti (Lc 15,1-7; 8-12): –” Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la mia pecora che era perduta… Così vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte ritorna a riconoscere che Dio é Padre, che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione”; – “Rallegratevi con me perché ho trovatola dracma che avevo perduto.
E’ estremamente necessario riportare la nostra mentalità in sintonia col Vangelo e lasciaci invadere dal fascio di luce che esso proietta sul “Dio per noi”, su “Dio nostro Padre”, sui sentimenti che vibrano nel cuore del nostro Padre e cogliere le meraviglie della salvezza alla loro sorgente: non avrebbe senso la nostra salvezza, il nostro essere in grazia, la nostra perfezione se non scaturissero dal cuore di Dio nostro Padre; non bisogna rovesciare la scala dei valori, sarebbe un assurdo tentativo di sconvolgere l’ordine metafisico e soprattutto l’economia del piano della salvezza.
Molte e di decisiva importanza sono le conseguenze che incidono nella esistenza del credente per il cambiamento di un certo modo di concepire le cose Ciò che decide anzitutto é il nostro modo di intendere la preghiera nella quale colui che conta é Dio che ci viene incontro, é Dio che si intrattiene con noi come con degli amici, che ci rivela i suoi segreti, che ci comunica la partecipazione alla sua stessa vita, che ci introduce alla comunione di vita con sé (cf DV 2)
E’ nella preghiera che tutto si chiarisce: nella preghiera inizia, cresce, matura la coscienza 1- che Dio é Padre, amore infinitamente fecondo e traboccante 2- che Dio é il Padre di Gesù 3- che Dio é il nostro Padre: Lo fa rilevare con una incontenibile gioia san Giovanni: – “Vedete quale amore ci ha donato il Padre, di essere chiamati figli di Dio e di esserlo” (Gv 3,11); – ” Lo Spirito stesso si unisce al nostro spirito – in un certo qual senso fa tutt’ uno con il nostro spirito- per attestare – per dare la certezza- che siamo figli di Dio (Rm 8,16)
Essere nel Figlio
La preghiera é il momento della comunione più viva e trasformante: il cuore, la meta del disegno del Padre e quindi della tensione, della potenza, della forza incontenibile della sua grazia, del suo amore affinché noi siamo figli nel Figlio (cf 1 Gv 1,1-4). La preghiera matura la disponibilità al piano di Dio: ” Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”: ci rende progressivamente conformi a ciò che vuole Dio, ci mette in sintonia con lui, approfondisce e stabilisce e sviluppa i nostri buoni rapporti con lui nel senso della comunione di vita con lui.
I fratelli
Il “si” di Dio in Gesù Cristo che ratifica nel sangue del Figlio la sua alleanza e il “si” dell’assenso della nostra fede non avviene privatamente: ” In ogni tempo e in ogni nazione é accetto a Dio chiunque lo teme e opera la sua giustizia. Tuttavia piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini, non individualmente e senza alcun legame tra di loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e santamente lo servisse” (LG 9). La paternità di Dio é personalizzante: crea rapporti nuovi e nuovi impegni con tutta la creazione e specialmente con gli uomini, tutti chiamati ad essere figli nel Figlio e nostri fratelli.
Il nostro Padre: “un solo Dio e Padre di tutti, che é sopra di tutti, opera in tutti ed é in tutti (Ef 4,6) Mantenere intimamente unite la parola rivolta a Dio e quella indirizzata all’uomo.
Il frutto della preghiera al di sopra di tutti gli altri frutti – ottenere la grazia, fare il nostro dovere religioso, essere buoni cristiani – é la gioia della certezza di saperci figli di Dio la quale é destinata a crescere proprio dall’intensificarsi dell’esperienza della preghiera. Questo é il punto: Dio non é Dio in qualsiasi modo; Dio é Dio per noi in quanto é Padre. La coscienza, la certezza nata, alimentata, maturata nella preghiera, che io sono Figlio di Dio, che Dio é mio Padre, che io sono con il Padre, deve superare tutte le vicende della nostra povera esistenza, liete ma soprattutto tristi, faticose e contrastanti in modo che noi emergiamo dal pericolo di essere sommersi. Perciò la gioia non ci deve mai essere tolta (cf Gv 16,22).
Se Dio é nostro Padre, se siamo il frutto del suo amore, se siamo oggetto della sua tenerezza, se siamo oggetto della sua misericordia infinita, se non c’é nulla che ci possa separare dal suo amore, la gioia di stare con lui deve essere normale. Quante volte le parole di san Paolo sono state intese nel senso che “né la morte… eccetera”, ci può separare dall’amore di Dio… ma dal nostro amore per Dio, e non dall’amore che Dio ha per noi. Niente ci può separare dal Padre, niente ci può privare dell’amore del Padre .(cf Rm 8,39)
La gioia di stare con questo Padre é la gioia di partecipare alla sua vita: ” eredi di Dio”, “coeredi di Cristo” (cf Rm 8,17). Siamo certi di avere parte a questa eredità perché ci ha dato lo Spirito Santo come caparra (cf Ef 1,14). Dite poco avere lo Spirito Santo come caparra! Vale più dell’oggetto del contratto.
La seconda conseguenza é la gioia di essere ammessi a parte dei segreti del Padre. Qui si tratta non più dell’aspetto esistenziale della nostra vita spirituale e della nostra preghiera, ma dell’aspetto teologale. Ciò che c’é in noi e ciò che capita intorno a noi é facile sperimentarlo e, in certo qual modo, capirlo, ma ciò che è dalla parte di Dio per noi, non tutti i cristiani lo sanno, neppure tutti quelli che pretendono di essere a posto, di essere fedeli e forse anche impegnati nelle pratiche della vita spirituale.
Nel pensiero di Gesù, queste piisime persone sono dei farisei che moltiplicano le parole e non sono capaci di chiudersi nella propria stanza a stare ” a tu per tu” con il proprio Padre; non vanno a dormire tranquilli fino a che non hanno detto l’ultima formula delle loro preghiere e non danno neppure un pensiero al grande evento, al lieto annuncio, alla gioiosa sicurezza di essere fra le braccia del Padre. Non sono poveri ma sono “sapienti e intelligenti”. (cf Mt 16,17 Non contano per la loro esistenza quotidiana e per l’attività più tipica della loro vita religiosa le parole di Gesù: – ” non vi chiamo servi, perché il servo ignora ciò che fa il suo padrone; invece io vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). – ” Ti glorifico Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli scaltri e le hai rivelate ai semplici. Si, Padre, perché tale é stato il tuo beneplacito” (Mt 15,25-26).
La terza conseguenza é la gioia di godere la fiducia del Padre.
Nei rapporti con i nostri genitori, se noi non abbiamo la gioia della loro presenza, del loro amore, della loro bontà, di tutto quello che hanno fatto per noi, ci sentiamo figli ingrati, non ci sentiamo a posto. Quando lo dimentichiamo ci rimproveriamo. Perché non avviene questo nei confronti di Dio che é nostro Padre? Non é pensiero mio, ma che é pensiero di Dio: ” ma io vengo a te, o Padre, – dice Gesù – e dico queste cose – – tutte le cose che Giovanni registra nel capitolo 17 – mentre sono ancora al mondo, perché abbiano in sé la pienezza della mia gioia”. Non le dice perché siano salvi, ma perché abbiano la pienezza della gioia: – ” Vi scriviamo queste cose perché la vostra gioia sia piena” (Gv 1,4); – ” questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi” (Gv 15,11).
E la vostra gioia sia piena. Parola di Dio.
Come conseguenza della paternità di Dio, tra il Padre e la sua creazione, tra il Padre e le sue creature, tra il Padre e il Figlio, tra il Padre e i figli si verifica, prima di tutto, una presenza continua, una comunione permanente. Gesù Cristo dirà: “Il Padre non mi lascia mai solo”. Gesù rivela questa presenza ininterrotta tra lui e il Padre: ” Io e il Padre siamo una cosa sola”.
Il Padre comunica a tutte le creature incessantemente, attualmente, ciò che sono. Durante i movimenti, le trasformazioni subite nei millenni dal Monte Baldo, da questo lago, da quegli strati di rocce, il Padre non é mai stato assente. Non é avvenuto nulla senza che il Padre comunicasse “essere” e “movimento” a tutta questa creazione che noi diciamo inanimata e a tutta la creazione animata che allieta il nostro sguardo e in qualche momento anche il nostro orecchio.
C’é poi una comunione più intima che consiste nell’essere più meravigliosamente ricreati (l’offertorio della messa nel precedente rito). Dio crea e più meravigliosamente ricrea per mezzo della redenzione. Noi siamo ininterrottamente ricreati da lui. Dio vuole ininterrottamente comunicarci qualche cosa di se stesso, che abbiamo più volte richiamato e che richiameremo ancora.
Come conseguenza della paternità di Dio tra il Padre e il Figlio, tra il Padre e i figli esiste un continuo colloquio famigliare, un discorrere che, secondo le nostre possibilità di esprimerci vuole dire prima di tutto parlare di se stessi, manifestarsi i propri sentimenti, dirsi i propri pensieri.
Il Figlio che é il Verbo, che é la Parola stessa del Padre, é una Parola ripetuta del padre, al Padre, é un colloquio infinito, inesauribile. Potremmo avere il sospetto che si tratti di qualche cosa di monotono, invece é qualche cosa di sempre nuovo. Non siamo capaci di concepire come sarà questa novità di Dio perché siamo dinanzi al mistero.
Il Padre vuole stabilire questo rapporto con noi e vuole che sia abituale tra lui e noi. Ecco la preghiera. Tutto é fondamento di preghiera, ma in particolare lo è questo aspetto di rapporto della paternità di Dio nei nostri confronti. Un padre che non parla con i propri figli, che non dice se stesso ai propri figli, che ha una maschera impenetrabile di fronte ai propri figli, non é un padre. I figli, a loro volta, reagiranno, risponderanno nel colloquio del padre.
La confidenza del Padre ai figli nel Figlio: “Non vi chiamo più servi perché il servo non sa quello che fa il padrone, ma vi chiamo amici perché tutto quello che ho udito dal padre ve l’ho manifestato” (Gv 15,15). Il colloquio del Figlio: di Gesù col padre, diventa colloquio con i figli. ” Ti benedico o Padre, Signore del cielo e della terra perché hai nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai semplici” (Mt 16,17);la rivelazione fa parte di questo colloquio, conseguenza della paternità di Dio nei nostri confronti.
Ascolto
Se il rapporto tra Dio e i figli é colloquio, la preghiera é il momento dell’ascolto. Non é importante ciò che noi diciamo a Dio, é importante ed é decisivo ciò che Dio dice a noi. Quello che noi abbiamo da dire a Dio, Lui lo sa già; é quello che ha da dire Lui a noi, che noi non lo sappiamo. Perciò la Sacra Scrittura, il Vangelo – parola di Dio culminante in Gesù Cristo- é il mezzo, lo strumento attraverso il quale Iddio stabilisce in Cristo il suo colloquio di amore con noi. Lo Spirito Santo che ci comunica l’intelligenza della rivelazione dell’amore, agisce nel momento della preghiera perché noi siamo in grado di ascoltare la parola di Dio e comprenderne il senso.
La gioia del padre
Nella nostra vita spirituale, nel nostro modo di concepire i rapporti con Dio e particolarmente nella preghiera noi dimentichiamo di credere, di pensare, di partecipare alla gioia incontenibile del Padre per la presenza del Figlio: “Questo é il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto” (Mt 3,17), il Figlio della sua compiacenza, il Figlio della sua gioia. Per la nostra vita spirituale non é indifferente pensare che abbiamo un padre pieno di gioia che attende il momento di esprimere la sua gioia, di celebrare la sua gioia che egli gode per la presenza del figlio attualmente – per Dio é tutto presente- che espande la sua presenza sulla presenza di tutti i figli: sulla nostra presenza.
Il gaudio di Dio e la nostra gioia
Per capire qualche cosa del sentimento della paternità di Dio, rifacciamoci alla tristezza del padre perché il figlio si é allontanato da casa, e alla gioia del padre quando il figlio ritorna: non vuole sentire scuse, gli getta le braccia al collo, lo copre di baci, si dà da fare perché si prepari la festa, la manifestazione della gioia perché si celebri la gioia del ritorno del figlio. Si fa festa. Non é che si sia soltanto contenti: ” si fa più festa in cielo per un peccatore che era perduto”.
Pensiamo che quando stiamo con Dio nella preghiera gli diamo un motivo di gioia: siamo il figlio che sta volentieri con il padre. Gioia incontenibile per la comunione infinita ed eterna con il Figlio: ” tu sei il mio figlio, io oggi ti ho generato”, la gioia della paternità. Gioia incontenibile per la traboccante comunione con le creature: noi non vediamo Dio, nessuno ha visto Dio e vede Dio, ma noi lo vediamo di riflesso. Pensiamo alla gioia che c’é nella creazione. -non dico negli uomini e nelle donne perché, purtroppo, in noi c’é la triste possibilità che sia presente il peccato o che siano presenti le conseguenze del peccato- ma nella creazione che pure é soggetta al peccato e che sta dinanzi a noi: nel luccichio del lago, nel verde dei monti, nelle fronde fresche degli alberi, nel colore dei fiori, nel canto degli uccelli. Particolarmente in alcuni momenti c’é una gioia che esplode.
Chi é stato nel meridione e ha visto la fioritura dei mandorli sa che ci si perde, non si sa più come guardare e da quale parte guardare, e quali aspetti guardare La gioia degli uccelli a primavera non l’hanno creata loro. L’ha creata Qualcuno che viene dall’autore della creazione.
Anche questi poveri uomini e povere donne che siamo noi quando siamo nella gioia lo siamo nella proporzione della nostra realizzazione di figli di Dio. Queste sono le gioie vere, le gioie profonde.
Ho detto che questo é un riflesso. Bisogna pensare che cosa c’é in lui che comunica questa gioia. Gioia, quindi, più grande, più profonda per la comunione più intima con i suoi figli, perché a tutti gli altri esseri, Iddio comunica esistenza e capacità di operare secondo la loro natura, ma a noi dà qualche cosa di più: ci rende partecipi del suo Essere stesso, ci ammette alla comunione di vita con sé.
Per questo ogni figlio ha un nome per Lui, é infinitamente distinto dinanzi a Lui, ha una fisionomia precisa per Lui, ed é un motivo unico di gioia per Lui. Qualche cosa lo possono capire i papà e le mamme.
Pensiamo alla gioia dei santi. Questo aspetto del nostro rapporto con Dio, possiamo dire molto trascurato, é colto in misura irrilevante anche dagli agiografi. Si può dire che, tolto san Francesco con tutto il romanticismo che si é creato attorno, non si parla della gioia dei santi. Se noi abbiamo avuto occasione di avvicinare qualcuno che sia veramente uomo di Dio, ci siamo accorti che é una persona che diffonde gioia. E’ una conseguenza della paternità di Dio e del nostro essere di Dio.
Non esiste, quindi, soltanto il fatto che si legge nei due testi di Giovanni e di Matteo del padre che ci rende partecipi dei suoi segreti. Esiste la gioia del padre di poterci rendere partecipi dei suoi segreti: la gioia del Padre di poter rendere partecipe il Figlio di tutto ciò che egli é; la gioia del padre di poter rendere partecipi i figli dei propri segreti
Ogni volta che il Padre, nel Figlio suo, attraverso il Vangelo del Figlio suo e sotto l’azione dello Spirito santo, ci può introdurre in una conoscenza più approfondita e più chiara di se stesso, non soltanto se ne avvantaggia la nostra vita spirituale, ma se ne avvantaggia la sua gioia.
OM 330 Montecastello 70 – 20-25 settebre 1970 giorni di ritiro spirituale