Il Concilio
Conversazione ai vescovi lombardi 1-6- luglio 1988
Abbiamo ripetuto: “Canterò per sempre la fedeltà del Signore”.
Siamo letteralmente immersi in questa fedeltà dell’amore di Dio. La nostra è veramente un’ avventura di grazia; l’amore di Dio non è un suo attributo, ma un evento che continua: è presente in questo istante e particolarmente in questi giorni noi abbiamo la grazia di essere coinvolti in questa avventura. Io con voi, ognuno con tutti, perché il nostro primo impegno è quello di volerci bene.
Mi è stato riferito da piú parti che, nell’ultimo incontro dei vescovi italiani, ad un certo punto è sceso come un velo di tristezza sulla assemblea. Tutti l’hanno avvertito: alcuni se ne sono andati, qualcuno è stato visto piangere. Alle volte le cose umane e anche quelle della Chiesa sembrano non avere soluzioni.
Ricordo l’evento piú significativo del nostro tempo. Poche decine di anni fa, chi mai avrebbe immaginato un Concilio? Papa Giovanni XXIII, che per alcuni doveva essere un pontefice di transizione, ma che aveva il senso della storia, ha ritenuto che quelli fossero i tempi piú felici della Chiesa; i piú tranquilli, i piú propizi per radunare tutti i vescovi del mondo: non per discutere questioni dottrinali, ma per indicare piú chiaramente le vie della salvezza. Al di là del parere e della resistenza di non pochi, ne è venuto fuori un documento meraviglioso, che nessuno avrebbe mai pensato.
Lo Spirito, che è sempre presente nella Chiesa e nel mondo, è lo stesso che guidava i Padri ad affermare cose stupende che qui, in parte, richiamo.
“La Chiesa è in Cristo come un sacramento o un segno e uno strumento dell’intima comunione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1). Chi se lo sarebbe aspettato? Chi lo crede fino in fondo ai nostri giorni?
Io sono qui tra i pochi testimoni del Concilio: le sue affermazioni, grazie a Dio, le ho recepite da dentro e mi dicono che, per tutti i Padri, la voce dello Spirito è stata una sorpresa, una meraviglia, una grande gioia.
Quando poi è stata fatta l’affermazione che la Chiesa prima di tutto è un mistero, cioè il luogo preferito, il momento privilegiato della presenza e dell’azione dell’amore di Dio, abbiamo concluso con le parole di san Cipriano: “De unitate Patris et Spiritus Sancti plebs adunata”.
Dobbiamo guardare nella profondità di questa affermazione: nel mistero certamente ci sono delle realtà visibili, ma contano soprattutto quelle invisibili. Possiamo dire perciò con chiarezza e tranquillità che il Padre, nella Chiesa, è piú grande del Papa, che il Figlio è piú importante dei Vescovi, che lo Spirito è dato a tutti i membri del popolo di Dio.
Il Concilio, poi, non senza difficoltà, ha messo il Popolo di Dio prima della Gerarchia. La Gerarchia è al servizio di questo popolo. “Non siamo i padroni della vostra fede ma i collaboratori della vostra gioia” (2 Cor 1, 24).
“Questo popolo ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio” (LG 9).
Quello della dignità è un lungo discorso nella Chiesa, ma tanto il Papa come i Vescovi, se vogliono salvarsi, debbono possedere la stessa dignità dell’ultimo battezzato. La libertà poi è guardata con un certo sospetto: spesso se ne ha paura. È vero che è un mistero, ma lo è anche quello di Dio, ed è Lui che ha voluto correre il rischio che l’uomo gli potesse dire di no. La libertà di Dio è sovrana ed infinita, ma Egli stesso per primo rispetta la libertà dell’uomo.
Quante volte è registrato nella Scrittura l’invito: “Se vuoi”! Sono ancora molti coloro che non accettano la libertà come un valore assoluto. La libertà, come diceva il teologo, è la “cifra” di ognuno di noi e non si può cancellare senza distruggere la nostra persona. Quanti attentati si compiono ancora oggi nella Chiesa contro la libertà dei figli di Dio!
Della verità invece si è fatto un assoluto: ci siamo talmente allontanati dalla lettera e dallo spirito della divina Rivelazione per cui la verità è diventata quasi la quarta persona in Dio e… l’ottavo sacramento!
Vero è solo Dio, vere sono le divine Persone, veri sono i loro rapporti, vere sono le opere che compiono come le parole che dicono; dunque la verità esiste ma non in astratto. Pensiamo alle difficoltà che si incontrano per la promozione dei laici e della donna in particolare, secondo le esigenze del loro battesimo. È ancora lontano dallo scomparire un certo clericalismo che va totalmente contro il senso del Vangelo. Il clericalismo è una forma di potere che ha le sue radici ultime nella sistematizzazione astratta delle realtà della Salvezza.
Il Concilio ha compiuto un vero capovolgimento rispetto al modo di sentire piú diffuso in quegli anni: e questo in piena sintonia con il Nuovo Testamento. Gesú dice con chiarezza: “Chiamati a sé [i Dodici], disse: I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non cosí dovrà essere tra voi, ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo e colui che vorrà essere primo tra voi si farà vostro schiavo, appunto come il Figlio dell’Uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20, 25-28).
La storia e il costume hanno come imprigionato la libertà di comportamento indicata dal Signore. Pensiamo alle divise, ai paludamenti, al cerimoniale a cui siamo costretti.
Nella celebrazione eucaristica e soprattutto nei pontificali, mentre sono sfarzosi i paramenti e pieni di riverenza i gesti al centro dei quali è la persona del vescovo, per la eucaristia, che è il culmine della celebrazione, i segni sono i piú umili e poveri che si possono pensare. Quanto cammino si dovrà ancora percorrere perché ogni ” segno ” metta in evidenza il valore della realtà indicata!
Continuo con il Vangelo: Gesú “chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demoni e di curare le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né danaro, né due tuniche per ciascuno… Allora essi partirono e girarono di villaggio in villaggio, annunciando dovunque la buona novella e operando guarigioni” (Lc 9,1-ó).
Gesú manda i Dodici e proibisce di portare con sé il danaro: un corrente modo di pensare vede il Vescovo come un buon amministratore che custodisce il patrimonio economico della diocesi e possibilmente lo accresce. Gesú insiste: “Nessun servo può servire a due padroni… non potete servire a Dio e a Mammona” (Lc 16,13).
Anche quando si mantiene il cuore distaccato dalle ricchezze, un certo impegno accaparrante di ordine amministrativo è già un servizio a Mammona. È un pericolo dal quale il Vescovo deve difendersi. La prosperità e il danaro attenuano notevolmente la sensibilità per le cose del regno di Dio. Il Salmista ha espressioni molto dure: “L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono” (Sl 49, 21).
Noi Vescovi siamo stati eletti e costituiti non per salvare il danaro, ma per salvare le anime.
La sensibilità dei Dodici che li spinse a liberarsi del compito del servizio delle mense, che pure aveva la sua importanza, per dedicarsi alla preghiera e all’annuncio della Parola, si è molto attenuata.
Il distacco dai beni terreni è una nota caratteristica della prima comunità cristiana: “Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case, li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli Apostoli” (At 3, 34). È impressionante ciò che accadde ad Anania e a Zaira (cf At 5,1-11).
L’idolo del mondo odierno è il danaro. Questo anzitutto va denunziato in quanto si sostituisce all’unico Dio. Il danaro, che oggi ha la sua espressione piú potente e aberrante nelle “multinazionali”, è alla sorgente dei mali piú gravi che affliggono l’umanità; questi centri di potere hanno le responsabilità piú gravi in ordine allo sfruttamento del suolo, alla droga, alla violenza e alla pornografia, poiché determinano le situazioni di ingiustizia e di povertà piú disumane presenti in molte parti del mondo, e condizionano l’opinione pubblica con la proprietà delle “testate” piú importanti. Mi pare che la Chiesa non abbia ancora denunciato con sufficiente decisione questa idolatria
Aggiungo un mio pensiero personale: l’Istituto per il sostentamento del Clero non mi sembra una trovata evangelica: i sacerdoti garantiti da una sicurezza economica, scadranno nella stima della nostra gente, la quale non lascia mai mancare il necessario e alle volte anche il superfluo ai suoi preti, e questi pagheranno la loro sicurezza con una diminuzione di stima che sarà di danno alla testimonianza evangelica.
Il Concilio Vaticano II ha accolto, fatte sue e portate avanti le affermazioni del Vaticano I circa il Primato del successore di Pietro con tutte le sue prerogative ma ha molto sviluppato il discorso sui Vescovi, successori degli Apostoli nei quali è presente, in forza della consacrazione sacramentale e della comunione collegiale, la persona e la missione di Cristo, nella forza dello Spirito (cf. LG 18 e n.).
Come gli Apostoli formavano un corpo solo, cosí i Vescovi col Presidente della carità sono un corpo solo. Coloro che si appellano alla esenzione canonica si tagliano fuori dalla ricchezza della grazia insita nei Vescovi. Tutti i membri del popolo di Dio, per godere del compito salvifico della Chiesa, hanno bisogno tanto del Papa come dei Vescovi.
Il Concilio è un punto di arrivo che ha impresso una svolta nella coscienza e nella vita della Chiesa, ma tutto risente della forza di inerzia e ci vuole tempo perché si compia questa svolta. Per altro verso è un punto di partenza per arrivare alle ” sorgenti”, le quali sono fresche, nuove e profonde: per questo il cammino è naturalmente lungo.