La crisi di identità del sacerdote
Mons. Carlo Ferrari
Non conosco il livello della vostra pazienza. Per alcuni sì, mentre per altri è la prima volta che ci incontriamo. So che volete soffermarvi per ricercare la credibilità del nostro Sacerdozio. Spero di esservi utile per una riflessione personale, con le riflessioni che cercheremo di comunicarci a vicenda, per arrivare a dare una risposta agli interrogativi che vi siete posti.
Per arrivare al traguardo, io generalmente parto molto da lontano perché mi pare che il traguardo sia un punto di arrivo; allora ci vuole tutta la strada che lo precede. Senza fare altri preamboli e senza dire altre cose, che sento che dovrei dire trovandomi in mezzo a Sacerdoti di diverse diocesi, entro subito nel tema: Proviene dalla crisi di identità della chiesa la crisi di identità del sacerdote? Una crisi del ministero sacerdotale nel senso che oggi sperimentiamo, deriva da un’altra crisi più vasta: la crisi della identità della Chiesa. Nonostante che abbiamo il magistero di un Concilio, che è tutto imperniato sulla Chiesa, non è detto che noi lo abbiamo assimilato fino a farlo diventare nostra mentalità: nostro modo di pensare, di vedere, di giudicare, di scegliere.
C’è una crisi della identità della Chiesa nel senso che si può avere diversi concetti della Chiesa. Si può pensare alla Chiesa come a una istituzione o a una realtà a cui si attribuiscono degli scopi che non sono intrinseci alla sua natura. E perciò, in proporzione di quanto ci si allontana dal concetto esatto della identità della Chiesa, si sfigura anche la realtà del mistero della Chiesa. E, poiché noi siamo radicati nella realtà della Chiesa, nel mistero della Chiesa, se non abbiamo presente bene l’identità della Chiesa, difficilmente potremo avere chiara l’identità del nostro posto nella Chiesa e quindi del nostro ministero.
L’identità della chiesa é quella di Cristo salvatore
L’identità della Chiesa, cioè, ciò che é specifico della Chiesa, il suo scopo, la sua essenza. Dopo di avere compito l’opera che gli ha affidato il Padre, nostro Signore Gesù Cristo la lascia ai Dodici con tutti i mezzi perché la sua opera sia continuata su questa terra. Questo fatto è fondamentale per noi. E, soprattutto, è fondamentale aver presente un fattore essenziale della costituzione della Chiesa: lo Spirito Santo. Il nostro ministero in tanto vale in quanto nella Chiesa è presente nostro Signore Gesù Cristo e in quanto gli atti che compiamo, come atti del nostro ministero, sono strumenti dello Spirito Santo. Ora, – e qui mi pare sia il punto -, la missione di nostro Signore Gesù Cristo è una missione eminentemente escatologica, che riguarda il fine ultimo, la destinazione ultima del mondo.
Ci sono problemi talmente gravi e urgenti che premono su tutte le coscienze e che sono da risolvere qui, adesso, per cui il parlare agli uomini di oggi di fine escatologico può sembrare un anacronismo. Qualche volta noi veniamo presi da questo complesso. Sentiamo parlare di terzo mondo, di giustizia, di pace, eccetera, e allora, parlare del Regno dei Cieli e impegnarci a costruire il Regno dei Cieli ci sembra non abbia alcun senso.
Gesù Cristo è venuto per essere la nostra riconciliazione con il Padre e per essere la fonte della riconciliazione degli uomini tra di loro.
Gesù Cristo – questo è molto importante – è venuto a salvare ciò che era perduto, cioè a fare degli uomini i figli di Dio, “perché questa é la volontà del Padre” ().
Gesù Cristo è venuto a portare definitivamente il suo Spirito – che é lo Spirito del Padre – agli uomini, perché diventino figli di Dio e, nella coscienza di essere figli di Dio, proclamassero le sue meraviglie in mezzo al mondo, e, testimoniando l’azione dell’amore di Dio in mezzo agli uomini e in mezzo anche a tutta la creazione, e camminassero come debbono camminare i figli di Dio verso la casa del Padre.
La sua missione è decisamente escatologica Quindi la missione di nostro Signore Gesù Cristo è una missione che riguarda il Regno di Dio: “il mio Regno non è di questo mondo” ( ). La missione che a sua volta Cristo affida alla sua Chiesa, è la sua stessa identica missione, quindi la nostra è una missione decisamente escatologica. Noi dobbiamo entrare nel pensiero, nella volontà, nel disegno di Dio e convincerci che questa è l’identità della Chiesa, che questo è il perché della Chiesa, che questo è il “quid” della Chiesa, e conseguentemente questa è la nostra identità.
Nella Chiesa c’e nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, autore della nuova alleanza, la quale avrà il suo compimento alla fine dei tempi, nella parusìa. Nella Chiesa nostro Signore Gesù Cristo è vivo, vivente, testimone fedele, Salvatore, e nella Chiesa continua l’annuncio del mistero della salvezza, perché gli uomini hanno bisogno di essere salvati. Ma qui bisogna intenderci sul significato di salvezza.
Gli uomini hanno bisogno di essere salvati in un senso molto più profondo e radicale di quella salvezza che è comunemente concepita in tutte le ideologie, presenti e operanti nel mondo attuale. Tutti parlano di liberazione dell’uomo. Non é che il Vangelo sia estraneo a tutte queste liberazioni di cui si é preoccupati nel mondo. Ma Gesù Cristo nella sua Chiesa, per mezzo della sua Chiesa, insieme alla sua Chiesa, compie la liberazione che il mondo non concepisce, che il mondo non ammette: la liberazione dal peccato.
E’ una realtà quella del peccato, che il mondo non contempla, anzi, a cui é piuttosto chiuso, perché non vede tanto la necessita di liberare dal peccato, quanto la necessità di liberarlo nel senso di realizzarlo, di dargli la possibilità di realizzarsi. Ma, se non viene tolto il peccato, come può l’uomo realizzarsi in quanto tale? Gesù Cristo ci libera dall’abisso del peccato e ci introduce nella comunione di vita con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo. Questa è la meta della liberazione che compie nostro Signore Gesù Cristo: la comunione di vita con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo, la partecipazione alla vita, alla esistenza della stessa Trinità. Ecco l’arco della liberazione di Cristo, ecco l’arco della missione di Cristo, ecco l’arco dell’azione del nostro ministero.
La chiesa raggiunge la pienezza di questa sua azione, il suo vertice più alto, con la celebrazione eucaristica,
con la celebrazione della Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo, “l’ultima parola”, la parola più piena, più carica, più completa, più efficace, più significativa. Con questa affermazione noi sottendiamo che c’è tutta la Parola di nostro Signore Gesù Cristo, ma che ha pienezza, compimento, efficacia definitiva nella celebrazione sacramentale, in particolare nella celebrazione eucaristica, nella quale l’uomo trova le sue possibilità di liberarsi dal peccato e di partecipare alla comunione di vita con Dio.
Affermando con insistenza questa identità della missione della chiesa, non bisogna sottovalutare ciò che la chiesa compie per la liberazione dell’uomo nell’ordine temporale. Ma questo è solo una conseguenza.
C’é da tenere presente che le due liberazioni: quella dal peccato per introdurre nel Regno di Dio e quella, per esempio, della schiavitù sociale, non camminano di pari passo. Non coincidono perché il regno di Dio – che si costruisce in forza dell’azione di nostro Signore Gesù Cristo, della missione dello Spirito Santo, del compito della chiesa, cioè del nostro ministero, avviene nel mistero e non ha una risultanza evidente nei fatti esterni. Già non ha una risultanza evidente nelle persone, nella vita, nella condotta degli uomini, tanto meno è evidente una risultanza nei fatti -diciamo così – sociologici .
Se la Chiesa fa quello che deve fare “come Chiesa” -questo è molto importante – , quindi se noi facciamo quello che dobbiamo fare come preti, gli uomini ne avranno un grande vantaggio anche nel campo temporale. Di questo dobbiamo essere convinti.
E allora, quando noi pensiamo al significato del nostro ministero, dobbiamo tenere presente questo fatto: io lavorando per l ‘ edificazione del Regno dei cieli, in qualche modo, non so come, lavoro anche per l’edificazione del regno degli uomini su questa terra. Ma con questo particolare: ciò che faccio io, non lo fa nessun altro. I politici, gli economisti, gli psicologi, i sociologi lavoreranno in questo ambito con i loro mezzi fino a un determinato livello. Io invece lavoro in un altro ambito, sempre nella stessa persona, ma ad un livello molto più profondo.
Questo lo dico sempre perché ci togliamo quel complesso di inferiorità quando sembra che gli altri fanno delle cose più importanti di quanto facciamo noi. Non è vero. La nostra azione è più radicale, è più fondamentale rispetto a qualsiasi altra azione, ed è “qualche cosa” che possiamo fare soltanto noi, perché è “qualche cosa” che può fare soltanto Gesù Cristo. Gli uomini in questo non hanno nessuna competenza, nessuna possibilità. Quindi la liberazione non sarà mai pienamente umana se non nella misura in cui gli uomini arriveranno ad entrare in tutto il mistero di salvezza operata da nostro Signore Gesù Cristo.
Ora noi attraversiamo un momento storico gravissimo, grandioso e decisivo per le sorti del mondo. Ma, se diamo uno sguardo a quelli che tengono in mano le leve del potere di ciò che si compie nel mondo e per il mondo, abbiamo da temere molto. Che cosa vogliono in definitiva? Che cosa fanno? E come lo fanno? Sarebbero tante le riflessioni da fare a questo proposito. Salvano o distruggono? Questo lo dico senza voler esagerare, senza fare un quadro pessimista. Chi salva è soltanto nostro Signore Gesù Cristo. C’è un’unica salvezza. C’è un unico salvatore. E nel mondo o è presente la salvezza di Cristo o altrimenti non c’è salvezza.
Facendo una ipotesi utopistica, non e detto che quando esistesse una giustizia sociale, una pace sociale , quindi un benessere sociale o un progresso culturale, la Chiesa abbia esaurito il suo compito di proclamare la giustizia, la pace, eccetera. Quand’anche ci fosse una pace tra le nazioni, quella pace che è di Cristo non ha ancora raggiunto, per niente, il suo compimento. Cristo è la nostra pace.
Si dice che si può raggiungere Cristo anche in modo anonimo. Ma, se non c’è quel segno, quel vessillo elevato, quello strumento, quel sacramento che è la Chiesa viva nel mondo, l’anonimato diventa davvero “il nulla”. Come la Chiesa non avrebbe la sua ragione di essere se non ci fosse nostro Signore Gesù Cristo, così, nel mondo non ci sarebbe nulla di positivo, anche se anonimo, se non ci fosse una Chiesa viva che identifica la sua missione con quella di nostro Signore Gesù Cristo. E’ molto “di più”, è infinitamente “di più” ciò di cui la Chiesa è responsabile di fronte a Dio e di fronte agli uomini per la loro salvezza, per la loro liberazione. Quindi, guai a ridurre le esigenze, le necessità rispetto al compito che ha la Chiesa. Guai accontentarsi che ci siano un pò di cose che “vanno bene”, che ci sia un pò di ordine o un pò di tranquillità, e cose del genere. Guai a ridurla nel senso di impegnarla in qualche cosa d’altro in cui pure deve essere impegnata, ma che è solo una conseguenza del suo impegno primario, del suo impegno specifico, che è molto più profondo.
La identità del ministero sacerdotale é nella persona di Cristo Da una certa visione della identità della Chiesa passiamo a dedurre un concetto più chiaro della identità del ministero sacerdotale. Faccio rilevare che uso, – come ormai si introduce anche nell’uso corrente -, l’espressione: “ministero sacerdotale” e non “sacerdozio ministeriale” per mettere l’accento su ciò che è proprio, su ciò che è specifico, perché il sacerdozio è di tutti. Il ministero sacerdotale è nostro.
Qui c’è una storia da tenere presente riguardo al ministero sacerdotale. Gli evangelisti ci presentano nostro Signore Gsù Cristo e ci descrivono quasi esclusivamente l’identità della sua persona di uomo, di figlio di Dio fatto uomo. Ma è una descrizione fatta in modo storico. Non c’è ancora la riflessione teologica sulle affermazioni degli evangelisti, che sono fondamentali.
E’ nella sua persona, è con tutto il suo essere che Gesù Cristo esercita un ministero di salvezza. Il suo ministero non è un “mestiere”, non è qualche cosa di estrinseco al suo essere stesso, alla sua esistenza di ogni istante. Il suo ministero è una conseguenza del suo essere, è una conseguenza della sua vita in comunione con il Padre, della sua vita in comunione con gli uomini, del dono che egli fa di se stesso agli uomini. Guardate che questo ci riguarda.
Gesù Cristo è Sacerdote in questo senso:
in quanto è in comunione con il Padre,
in quanto é in comunione con i fratelli,
in quanto porta agli uomini i doni di Dio.
Superamento del sacerdozio del Vecchio Testamento
Quindi Gesù Cristo dà compimento alle figure sacerdotali dell’Antico Testamento, ma le supera infinitamente. In un certo qual senso le sconvolge, perché dà loro un senso che prima non avevano. In questo senso costituisce la rottura con l’Antico Testamento. Non é che lo rinneghi. Noi diciamo che c’é una continuità tra l’antico e il nuovo Testamento. E’ vero, ma bisogna vedere su quale linea di pensiero noi ci mettiamo per cogliere la continuità. E’ più o meno il tema della lettera agli Ebrei.
Si dice che la Chiesa primitiva abbia usato un linguaggio nient’affatto sacerdotale per due motivi. Il primo fu per segnare il distacco dall’Antico Testamento, che è stato difficilissimo. Nei primi due secoli della vita della Chiesa ci potevano essere troppi compromessi con il giudaismo, per cui la Chiesa, appunto per distinguersi, doveva usare un certo linguaggio che non creasse equivoci. Il secondo motivo fu per non cadere nelle categorie del sacerdozio pagano. Grave deviazione il ritorno alle categorie veterotestamentarie: sacerdozio solo cultuale
Ma quasi subito, per ragioni contingenti, per definire il ministero sacro, per trovarvi una giustificazione di fronte alle istituzioni civili o ai fedeli per un determinato rispetto, si é incominciato ad applicare ai diversi gradi di ministero sacerdotale le categorie veterotestamentarie, e si é perduto qualche cosa della originalità del ministero sacerdotale di nostro Signore Gesù Cristo. Si è affievolita questa originalità specialmente nella Chiesa latina.
Dunque, se fin dai primi tempi della chiesa, noi riscontriamo la tendenza a ritornare alle categorie del Vecchio Testamento nel descrivere il sacerdozio ministeriale, non dobbiamo meravigliarci che ai nostri giorni si faccia fatica a identificarlo, e che anche il Concilio faccia fatica a identificarlo. Non dico a definirlo, ma a identificarlo.
Varie vicende storiche hanno contribuito a concepire il ministero sacerdotale più nel senso di un potere, sia pure sacro, che nel senso di una grazia che deriva dalla azione sacramentale: dalla consacrazione dell’ordine sacro, il sacramento che opera “ex opere operato” e dà il triplice potere. E’ il sacramento che, soprattutto, dà una grazia quindi ci trasferisce nell’ordine della salvezza.
Che me ne faccio io dei poteri se non ho la grazia? Invece abbiamo fatto tante questioni sulla validità del sacramento, ci siamo preoccupati ‘di più’ di quella validità, e ci siamo preoccupati ‘di meno’ della sua efficacia. Scusate questo termine. Non voglio usare “efficienza” perché potrebbe essere equivoco. Quindi: ricevuto il Sacramento validamente, è stato conferito il triplice potere. Dal momento che, uno, è investito del triplice potere, comanda!
Si è cominciato a dissociare il ministero sacerdotale dall’impegno pastorale fino al punto che, uno riceveva il potere e altri ne esercitavano ministero. Questa mentalità si è portata avanti fino ai nostri giorni. I nostri vecchi preti cosa facevano? Dicevano la Messa, cantavano l’Ufficio, portavano delle insegne e cose del genere.
Nella mia diocesi di Monopoli (Bari) :mi sono incontrato con tanti giovani Sacerdoti fermi alla sbarra per entrare a far parte del Capitolo. Nei loro pochi anni di Messa non avevano fatto altro che servire i canonici per poter entrare nel Capitolo come mansionari. Noi ridiamo, ma cent’anni fa era così anche da noi. Oggi quei Sacerdoti sono tutti parroci e sono i migliori della diocesi. Una volta immessi nel ministero ci hanno preso gusto. Ma, se non ci fosse stata quella testa dura che é il sottoscritto, quei Sacerdoti sarebbero diventati dei canonici, dei beccamorti, perché là i funerali si fanno quasi tutti da parte del Capitolo della Cattedrale. E avrebbero sbarcato il lunario così.
Deviazione accentuata nel medioevo
Ho detto che si é cominciato a dissociare il ministero sacerdotale dall’impegno pastorale. Arriviamo al medioevo quando i chierici diventano depositari della cultura, formano una casta nella società, hanno grandi privilegi specialmente di ordine materiale, godono di benefici che si moltiplicano anche senza cura d’anime, hanno unicamente l’obbligo della Messa per soddisfare i legati, e cose del genere. Si moltiplicano le collegiate a le cappellanìe gentilizie e si moltiplicano i preti per dire Messa nelle collegiate e nella cappelle gentilizie. Non c’era nessun impegno di predicare. Questo stato di cose si è protratto fino ai nostri tempi.
Eccovi un altro esempio che vi sembrerà paradossale. Ho incontrato un anziano Sacerdote – laggiù nel meridione – che si lagnava con me perché aveva patito una grossa ingiustizia: era ritornato dal servizio militare della guerra del 1918, aveva tutti i titoli per diventare titolare dell’Ufficio postale e io glielo avevo rifiutato. Era “apostissimo” lui! Diceva la Messa da buon prete, poi, come la cosa più naturale, avrebbe fatto l’ufficiale postale. Ha sofferto per tutta la vita per non aver potuto timbrare i francobolli!
Guardate che queste cose sono ancora nell’aria, ce le portiamo nel sangue perché le abbiamo succhiate col latte. Pensate ai benefici dei quali si diventava titolari, dei quali si ricevevano i frutti anche indipendentemente dalla residenza. Uno dei pochi che si era deciso a mantenere la sua residenza è stato San Carlo, ma non subito dopo il Concilio di Trento… Era abbastanza sistemato: aveva solo 350 servitori. Vi basti pensare al nostro C.J.C. Stando alla lettera del nostro Codice, che figura di prete ne viene fuori? Il magistero, qui, precede la teologia
Il Concilio di Trento ha affermato l’Ordine sacro, in contrapposizione ai riformatori che lo negavano. Ma una teologia dell’ordine sacerdotale non viene fuori. Il Concilio Vaticano Secondo, in una condizione molto migliore di quella del Concilio di Trento e di quella del Vaticano Primo, con maggiore chiarezza insiste per ricuperare i valori biblici, liturgici, e teologici per la descrizione o l’identificazione del ministero sacerdotale. Anche qui non si fa niente altro che dare delle indicazioni. Indicazioni che sono positive, secondo le quali si arriverà. Ma, guardate che, mentre si accusa il magistero di essere sempre in ritardo, qui il magistero é avanti. E’ la teologia che é in ritardo. Quando si tratta di identificare il ministero sacerdotale, i teologi si arrampicano più o meno sui vetri. Le loro discordanze, le loro accentuazioni dicono che non c’è ancora chiarezza.
Ma per noi si tratta di chiarezza per la nostra esistenza,per il senso della nostra esistenza e quindi per il senso del nostro ministero. Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo aprirci più al Magistero che alla teologia. Non lo dico per una posizione che deve prendere un Vescovo. E’ per una constatazione che io devo onestamente fare. Prendete in mano i documenti del Concilio, leggeteli, meditateli e vedrete che ne viene fuori qualcosa di veramente nuovo.
Identità sacerdotale é identità con Cristo buon pastore, servo di Jahve. Ne risulta che la nostra identità consiste nel configurarci a nostro Signore Gesù Cristo, sommo ed eterno Sacerdote.
Con questa espressione c’è il pericolo di scivolare verso un sacerdozio eminentemente o esclusivamente cultuale. Invece io devo avvicinarmi proprio alla persona di nostro Signore Gesù Cristo come la colgo nel Vangelo; io devo avvicinarmi a nostro Signore Gesù Cristo che è Sacerdote in quanto dà Dio agli uomini e mette gli uomini in condizione di andare verso Dio, ma, con quello che è Lui, con quello che Lui vive, con quello che Lui fa con tutto il Suo essere, con tutto il Suo esistere!
Il nostro ministero ci impegna ad essere quello che facciamo, non a farlo bene nel senso che ci siano tutte le condizioni per la validità, quindi ad essere conformi a nostro Signore Gesù Cristo.
La commissione internazionale dei teologi presenta nostro Signore Gesù Cristo – al quale dobbiamo conformarci – sotto due aspetti: quello del ” servo di Jhavé” e quello del “buon pastore”. Queste due figure bibliche ci prospettano Cristo “che dà la propria vita per la redenzione di molti… e un giorno vedrà il frutto, il trionfo, Cristo buon Pastore che non è il mercenario, ma colui che dà la vita per le pecorelle”. Ecco il potere, ecco il dominio: è il potere di dare la vita per gli altri, è il potere di dominare stando sotto, calpestati “come verme che non ha neppure più le sembianze dell’uomo” ( ).
A questo punto devo proprio finire. Lascio a voi di continuare con la vostra riflessione personale e, caso mai, di chiarire nella conversazione che segue.
ST 371 Ministero sacerdotale 71