i sorprese….
Ci sorprese di nuovo…in seminario,
lo stesso di 25 anni fa,
veniva accolta l’ultima testimonianza del vescovo Carlo
con pari sorpresa e ammirazione.
Vino nuovo in otri nuovi, potrebbe esser definita l’esperienza spirituale alla quale il Vescovo Carlo ha invitato la chiesa mantovana nei suoi 25 anni di ministero pastorale ( 19 come titolare e 6 come emerito).
Si presentò furtivamente in seminario due giorni dopo a sua nomina: “sono io, il vostro vescovo!” – ci disse nell’omelia della messa- dobbiamo conoscerci e volerci bene. Vengo dal concilio, su questa strada cammineremo insieme”
Avvertimmo subito d ‘essere di fronte ad una personalità nuova, inedita e vera. Avremmo voluto trattenerlo: quanto allora eravamo assetati di novità e di verità! ma egli partì subito e ci lasciò alle nostre preghiere e congetture varie.
Ci sorprese di nuovo tutti quando apparì in veste ufficiale in S. Andrea: schivo nell’abito prelatizio avanzava nella sua chiesa assorto e in silenzio. Allora gli applausi in chiesa non erano di moda. “Non sono io lo sposo! Sono l’amico dello Sposo” proclamò all’omelia che gli doveva essere costata molto di fronte a quella assemblea così numerosa e piena di attese in quel grigio pomeriggio del 10 dicembre 1967.
Da lì incominciava il suo lungo cammino in mezzo a noi secondo il suo stile che man mano veniva delineandosi sempre più sobrio e originale.
Mons Ferrari non amava molto presenziare, preferiva “apparire” e spesso a sorpresa godendo e dell’imbarazzo e della festa che scaturivano insieme.
In alcune occasioni significative ci teneva però a presenziare da vescovo, come pastore e guida nelle tante settimane pastorali, sue creature; come maestro nei ritiri e riunioni del clero; come celebrante nelle solenni liturgie pasquali cui invitava tutta la città.
Sempre comunque comunicava qualche cosa di quanto costituiva la sua continua conversazione interiore con uno stile immediato ed efficace fatto di gesti e di parole.
Lo si avrebbe voluto tante volte attivo ed impegnato nelle nostre iniziative ma egli preferiva impegnarci in quella iniziativa che non era sua ma che, diceva, partiva da Dio e a Dio portava.
Il primo colloquio con la sua chiesa lo titolava “Trinità -Eucaristia- Chiesa” ed é durata qualche anno, meritandogli quel soprannome di cui si compiaceva : Padre Carlo della Trinità, vescovo del disimpegno. Non credeva proprio ai nostri impegni che ci sottraevano alla preghiera e allo studio!
Sostenevano la sua conversazione interiore il silenzio, la preghiera e l’ascolto.
Quando ascoltava ti guardava con occhio penetrante: ti costringeva ad essere chiaro e vero. Egli sapeva ascoltare perché sapeva tacere. Avvertivi che capiva: se il problema esisteva ti offriva qualche sobria indicazione per risolverlo; se non esisteva, ti guardava e sorrideva o ti prendeva sottobraccio e con un “ma va là” ti liquidava amorevolmente.
Questa capacità di relativizzare lo portava a capire i nostri e suoi errori: di assoluto c’é Uno solo; il resto può essere fatto, rifatto e fatto meglio.
“Quello che é stato, é stato – diceva accomiatandosi dalla sua chiesa – io mi incammino verso il Signore”.
Niente consuntivi pastorali, nè ricordi nostalgici o rimpianti. Si sa: il vino nuovo o spacca l’otre o lentamente invecchia.
La sua partenza, monsignore, non ha disperso il suo gregge: ci si é sforzati di capire, accogliere, camminare. Confidiamo ancora nella sua vigile presenza nella comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: presenza che ha voluto garantirci col segno della sua sepoltura in Duomo. Grazie.
Un ultimo particolare: un mese fa proprio in seminario, lo stesso di 25 anni fa veniva accolta l’ultima testimonianza del vescovo Carlo con pari sorpresa e ammirazione. Il vino si é conservato buono fino alla fine.
Parroco don Bruno
Dal foglio parrocchiale di Ostiglia – Dicembre 1992- “Il Cherubino”