La Parola genera la fede, la fede assicura la salvezza
La parola del Vescovo
Cari Sacerdoti, vi sembrerà naturale che nel rivolgermi a voi per la prima volta da queste colonne dopo gli Esercizi Spirituali dell’estate scorsa io ritorni su quell’ avvenimento e su quell’argomento per rilevarne l’importanza e per metterlo alla base del lavoro del nuovo anno pastorale che è all’inizio.
Lasciate che ancora una volta io ringrazi il Signore per avere così largamente benedetto quei giorni, che mi compiaccia e rallegri con voi per avervi scoperti così sensibili ai problemi della grazia di Dio e che vi esorti a vivere ogni giorno questa grazia.
L’avvenimento degli Esercizi, che era legato alla celebrazione di una data eccezionale, ha prima di tutto sensibilizzato la coscienza della responsabilità del nostro Sacerdozio. Oggi ognuno di noi deve possedere chiara la convinzione che, il fatto di essere sacerdoti ci pone a piena disposizione degli interessi di Dio e della salvezza dei nostri fratelli. È anacronistico concepire il Sacerdozio come uno stato in cui uno entra per altre intenzioni che, non siano la volontà salvifica di Dio che ci fa vivere per i nostri fratelli, la quale si manifesta autenticamente nella destinazione che di noi fa la Chiesa.
Rifiutare in qualsiasi modo questa nostra disponibilità alla volontà di Dio come ce la richiede la Chiesa, significherebbe rinnegare l’essenza più intima del nostro Sacerdozio.
Proprio durante gli Esercizi Spirituali ho avuto modo di constatare più da vicino come ognuno di voi sia aperto a questa retta concezione del sentire sacerdotale. Anche l’esemplare serietà e il profondo impegno con cui avete atteso ai doveri di quei giorni, dal silenzio alla puntualità, dall’attenzione al gusto con cui avete ascoltato la proposizione veramente impegnativa dei vari temi, stanno a dimostrare la rettitudine del vostro modo di sentire.
La Grandezza infinita, la Potenza, la Maestà, la Saggezza di Dio, che ha una espansione di Amore da giungere a stabilire dei rapporti paterni con le sue creature è una realtà talmente sbalorditiva che dovrebbe innamorare questa creatura al suo Dio. Che poi Egli spinga ancora il suo Amore a dare il proprio Figlio per salvarci dalle conseguenze della nostra insipienza, che ci ha fatto preferire le creature a Lui, è un fatto che dovrebbe strappare tutta la nostra fede.
Ora noi ci troviamo tra questi due poli: il Creatore e la creatura, Dio e il mondo, uno splendido Tutto e un effimero nulla.
Da parte nostra una scelta c’è stata: abbiamo optato per Dio; la nostra opzione la rendiamo quotidiana, operante, tenendo presente Dio e appoggiandoci alla sua forza (studio, lettura, meditazione, preghiera, sacramenti) e difendendoci dal fascino delle creature (mortificazione e penitenza).
Ci sono i nostri fratelli, vittime del peccato, lontani da Dio, soggiogati dalle creature, deboli, incerti: anch’essi chiamati a dar valore e significato alla loro vita con una libera scelta tra Dio e il mondo.
È Dio che prende l’iniziativa di salvarli, il Salvatore è suo Figlio Gesù Cristo, la salvezza la porta in tutto il mondo la Chiesa con i suoi Ministri, che siamo noi nella Chiesa, a disposizione di Dio, per la salvezza del mondo.
Dio salva il mondo con la sua Parola rivolta agli uomini. La Parola di Dio è espressione del suo piano, del suo Amore e lo strumento della sua Potenza. Si articola in avvenimenti, in figure, in persone, si identifica ed è il suo Figliolo, la sua Parola, Gesù in persona, con tutto quello che è e fa per gli uomini: i misteri della sua vita, i suoi atteggiamenti, i suoi sentimenti, le sue parole, la potenza della sua morte e risurrezione.
Questa è la salvezza.
Dio continua a dire la sua Parola agli uomini in Gesù Cristo, nella sua Chiesa, per mezzo nostro, di ciò che siamo, di ciò che facciamo, di ciò che diciamo.
Qualche volta si è pensato che nella Chiesa valessero di più i Sacramenti che la Parola, le funzioni più che le prediche, ma si è dimostrato che un tal modo di concepire le cose è pericoloso.
La Parola genera la fede, la fede assicura la salvezza. La Parola sollecita l’intelligenza e la libertà, e per la grazia che porta con se rende possibile la risposta della fede che impegna tutto I’uomo su quella Parola.
Come già detto, questa Parola non è semplicemente “flatus vocis”, ma “messaggio di riconciliazione” (2 Cor. 5, 19) “Parola della sua grazia” (Atti, 14, 3) “Parola di salvezza” (Fl. 2, 16), cioé espressione (sacramento) dell’azione di Gesù Cristo che nella sua Chiesa salva il mondo.
Ora chi ripete agli uomini questa parola sarà tanto più facilmente inteso quanto più lascerà posto in se alla potenza di salvezza, di grazia, di vita che è contenuta in questa Parola stessa.
Il comando di Gesù agli Apostoli e le numerose espressioni che si leggono negli Atti degli Apostoli richiamano la cosiddetta testimonianza. Essa ha una significazione molto complessa che va dalla fedeltà all’insegnamento di Gesù, al riferire con esattezza i particolari della sua vita, fino all’evidenza della vita di Gesù in se stessi e alla morte come estrema dimostrazione della propria fede in Gesù Cristo.
Il Sacerdote, come il Vescovo e gli Apostoli è investito di uno specifico mandato di testimonianza.
La sua persona è responsabile di una dimostrazione tangibile i di fede.
La storia del cristianesimo è assai convincente a tale proposito: la vita cristiana è stata più influenzata dalla presenza dei Santi che, per esempio, dal numero materiale delle SS. Comunioni. Sembra di dover concludere che Gesù Cristo salva più facilmente quando ha a disposizione delle persone (Santi) che delle cose (sacramenti).
Ecco dove si colloca il significato, il valore e la funzione della nostra testimonianza.
Noi crediamo talmente a Gesù Cristo, al suo amore e alle sue promesse, che lo abbiamo scelto come parte della nostra eredità, non solo, ma gli mettiamo a disposizione la nostra vita perché attraverso la nostra persona e tutta la nostra attività Egli possa salvare il mondo.
Un impegno ascetico, imperniato sulla pratica della virtù (e, perché non su il voto.?) della povertà, della castità, dell’ubbidienza garantisce il nostro distacco dal mondo e nello stesso tempo costituisce una evidente testimonianza di fede nella Parola del Vangelo.
Ciò che più conta – e l’impegno ascetico non è che una indispensabile condizione – è la nostra unione a Gesù Cristo, cosicché la nostra persona diventi uno strumento congiunto alla sua Umanità e per esso al Verbo che così rende operante nel tempo e nello spazio la sua azione di Salvatore.
Questo impegno di approfondimento della vita interiore è quello che giustifica da una parte la nostra vocazione e dall’altra dà la fecondità vera alla nostra vita.
La scelta che abbiamo deciso al tempo della nostra giovinezza è stata determina dall’Amore per Gesù Cristo; quando questo amore cessasse o si affievolisse mancherebbe il motivo determinante di ogni nostra azione: la nostra vita e la nostra persona diverrebbero inspiegabili.
Una paternità poi che fiorisca intorno a noi è possibile solo come conseguenza dell’amore per i nostri fratelli, determinato a sua volta dalla misura del nostro amore a Dio.
Una castità evangelica che sottragga tutto il nostro essere al fascino delle creature e lo consacri intieramente a Dio, al servizio dei fratelli, è quella che si richiede da noi ai nostri giorni.
Come pure è indispensabile che la castità sia garantita da un reale spirito di povertà, il quale operi continuamente la nostra “aversio a creaturis”; in caso contrario le creature, anche se inanimate, si insinuano tanto facilmente nello spirito da fargli sembrare indispensabile un “conforto” che in realtà lo infiacchisce.
E siamo all’ubbidienza che nel Sacerdote diventa fede nella trascendenza di Dio e nella propria contingenza, nella volontà salvifica di Dio e nella nostra libera strumentalità.
Una persona svincolata dai legami terrestri, che orienta i suoi interessi affettivi totalmente in Dio e sta nelle Sue mani come uno strumento per la salvezza del mondo: ecco il Sacerdote, oggi.
Naturalmente la fede, la testimonianza, I’ impegno ascetico non sono che i momenti della nostra disponibilità e cooperazione all’azione immancabile di Gesù Salvatore, che opera nel mistero dei Sacramenti.
E perciò la nostra Confessione, la S. Messa e la S. Comunione con l’adorazione eucaristica devono essere il naturale epilogo di ogni impegno personale per alimentare la nostra fede, rendere autentica la nostra testimonianza ed efficace il nostro sforzo ascetico.
La stessa cosa deve dirsi come epilogo della nostra attività pastorale: i peccati e le loro conseguenze si tolgono per la forza redentrice del Sangue dell’Agnello, operante nel Battesimo e nella Penitenza; la fede si alimenta della Parola che si è fatta Carne e rimane presso di noi nella S. Eucaristia; i nostri fedeli in tanto sapranno testimoniare la loro fede in quanto ne attingeranno la forza alle pure sorgenti della liturgia.
Con questa chiara visione, intraprendiamo il nostro solito lavoro:
I) “testimoniamo” una fede personalistica, essenziale, centrata sul motivo di Dio che ci ama, destinata a crescere come cresce l’età di ogni fedele (cfr. Boll. Dioc. dell’Agosto – Dicembre 1958).
2) “gerarchizziamo” la nostra attività e pensiamo sempre più seriamente a circondarci di collaboratori intelligenti e generosi, ai quali devono andare molte delle nostre cure perché siano formati spiritualrnente e tecnicamente; diventiamo sempre più organici e metodici nel nostro lavoro (id. Gennaio – Febbr. 1959 pag. 6 7; Giugno – Dic. 1959 p. 11);
3) miriamo alla Parrocchia come comunità di fede:
I’istruzione religiosa in tutti i settori (preparazione alla Confessione, alla Comunione, alla Cresima, al Matrimonio, preparazione alla Pasqua,
20 lezioni di religione nelle scuole,
catechismi di Avvento e di Quaresima,
cultura religiosa per gli adulti, nelle Associazioni, eccetera, che deve tendere a preparare dei credenti, non semplicemente degli istruiti;
– alla Parrocchia come comunità di culto: la liturgia è il momento più prezioso dell’incontro dei fedeli col loro Dio, affinché ne avvertano la Grandezza e la Potenza, la Saggezza e la Bontà infinita, e perciò esprimano uniti a Gesù Cristo, Mediatore tra loro e Dio, la propria soggezione e dipendenza, il pentimento, la gratitudine, l’impegno a fare la sua Volontà adorabile.
Non divaghiamo su altro: Dio infinitamente grande, potente, sapiente, buono – la nostra adorazione, la gratitudine, il pentimento, la ricerca della sua Volontà; Gesù Cristo al centro come Salvatore.
– alla Parrocchia come comunità di carità: deve essere l’epilogo di una fede e di un culto intesi cristianamente.
La carità nasce dalla coscienza della paternità universale e personale di Dio;
I’amore per Lui si concretizza nell’amore per i fratelli.
-Sentimento di solidarietà con tutti gli uomini quando stiamo davanti a Lui nella preghiera privata e pubblica;
-sentimento della preziosità della redenzione: il sangue preziosissimo di Gesù, morto in Croce, sparso per ciascuno dei nostri fratelli;
-sensibilità ai bisogni spirituali e materiali degli altri, che sta come la misura della verità dei sentimenti prima ricordati, quindi autentica apertura sociale (Boll.Dioc. Gennaio – Febbraio 1960)
Concludo ricordandoVi che prima del termine dell’anno intendo portare a termine quella tal visita pastorale “burocratica”: preparate i registri e compilate il questionario che vi fu consegnato da mesi (v. Boll. Dioc. Gennaio Febbraio 1960.
Poi, come si è convenuto di presenza, intendo rendere obbligatorio in tutte le Messe festive l’uso degli schemi di predicazione che l’Ufficio catechistico sta apprestando; gli stessi foglietti siano distribuiti ai fedeli alle porte delle Chiese in modo che essi abbiano un testo sul quale voi fate la spiegazione e la possibilità di aiutare la propria memoria a ricordare le verità che il Sacerdote ha annunciato.
Quando leggerete queste parole, sarete al termine del vostro lavoro per portare tutti i fedeli a compiere il loro dovere civico. Al qual proposito, mi preme richiamarvi ad una riflessione: I’esito delle elezioni ci dirà quale pericolo incomba ancora sulla nostra Religione per la presenza del marxismo nel nostro Paese; però dobbiamo star attenti a non concepire il nostro ministero come una fatica dalla quale potremmo essere sgravati qualora il pericolo comunista fosse scongiurato.
Il nostro apostolato ha la sua giustificazione nel dovere di edificare il Regno dei Cieli, predicare la fede, battezzare, far diventare adulti i credenti perché all’ora della venuta dello Sposo siamo pronti per seguirLo nella vita eterna. Esiste cioè un impegno di edificazione del Corpo di Cristo, che sta prima e va al di là di una semplice lotta contro il marxismo.
Perché concepiate così il vostro lavoro, perché così vi impegniate e perché portiate molto frutto e siate in esso consolati, io molto paternamente vi benedico.
Carlo Ferrari -Vescovo-
Stampa: Bollettino Diocesano, Luglio- Ottobre 1960, pag. 11-16
ST 150 Ottobre 1960