XVII° settimana di pastorale 26-30 agosto 1985
venerdì 30 agosto relazione conclusiva del vescovo
Vi manifesto anzitutto il mio stato d’animo, che é di attesa e di apprensione, a lungo andare estenuante. Ancora non conosco il nome del mio successore e le voci che si propagano a getto continuo sono tutte senza fondamento. In questa situazione il mio disagio si prolunga; se vi comunico il mio disagio non é per chiedere consolatori, ma corresponsabili sui quali poter contare.
Il mio compito quest’anno non é di darvi nuovi orientamenti per il prossimo anno pastorale: a questo provvederà il mio successore, come e quando lo riterrà opportuno. Mio compito é piuttosto di fare, in qualche modo, il punto sui lavori di questa settimana per cogliervi quegli aspetti che confermano e portano avanti il cammino della nostra chiesa diocesana in questi ultimi anni.
Siamo partiti da una analisi della società complessa e secolarizzata del nostro tempo, che rappresenta una situazione del tutto nuova rispetto al passato e si ripercuote direttamente sulla formazione – o sulla deformazione – delle coscienze. La situazione, si é giustamente notato, non é più caratterizzata dalle due aree dei credenti e dei non credenti. La secolarizzazione é presente dovunque, anche in coloro che esprimono domande religiose, ma si tratta di una religiosità o di una fede degradate in senso secolaristico.
Rimane, in molti casi, il riferimento ultimo a delle realtà ultime, ma queste non vengono mai giocate, innescate con la vita quotidiana. Paradossalmente, la religione viene ad essere un fatto così di fondo, così ultimo, che io posso tradirla ogni giorno! La situazione media é questa.
D’altra parte, l’esercizio di un sano discernimento, che per i credenti é sempre guidato dal criterio della Parola di Dio e dall’azione dello Spirito Santo, richiede che sappiamo riconoscere l’ambivalenza della situazione attuale, che accanto ad aspetti sicuramente negativi, ne presenta altri positivi o quanto meno capaci di stimolare verso esiti positivi.
C’é, per esempio, un emergere della responsabilità individuale che si manifesta in molti casi più forte della stessa complessità sociale; molta gente non si rifugia più nelle norme, nelle osservanze « farisaiche » rifiutate come inautentiche; gli stimoli a ricostruire un modello religioso più rispondente ai bisogni del nostro tempo sembrano farsi più forti e incisivi; si fa strada in ambienti diversi la propria identità religiosa, che non é riducibile alla soddisfazione dei bisogni.
Lo stimolo più importante – come ha mostrato la relazione di don Lorenzetti – é costituito dal crescere e dall’espandersi della domanda di senso. Domanda in cui si esprime una nuova etica dell’essere in opposizione all’ancora dominante etica dell’avere. L’uomo d’oggi non é più capace di amare la vita, se non ne scopre un senso convincente; più nulla é scontato, né l’amore, né la famiglia, né il lavoro, né tanto meno l’impegno e il sacrificio; tutto, la vita stessa é chiamata a motivarsi, a « giustificarsi » con un significato che sia chiaro, vivibile e condivisibile.
A questo fenomeno di portata storica, che dev’essere considerato come un grande « segno dei tempi », non si può rispondere con la semplice trasmissione di una dottrina o con la sua interpretazione. Si tratta per i credenti di rendere intelligibile il messaggio cristiano nella sua capacità di far crescere l’umanità dell’uomo, e con ciò dare senso a tutta l’esperienza umana. L’opera di promozione umana oggi é soprattutto una produzione di senso. D’altra parte dev’essere chiaro almeno per i credenti che non si può operare per una vera promozione umana e per dare senso alla vita, senza un esplicito riferimento a Cristo.
Né Cristo senza l’uomo, né l’uomo senza Cristo. Non é solo una bella formula. È una traduzione dei Credo di Calcedonia, che deve essere fatta anche sul piano morale e in ordine alla formazione della coscienza. Gesù di Nazareth – ci é stato detto – é essenziale, normativo, determinante per tutto il comportamento cristiano. A sua volta, l’uomo si comprende, ritrova il suo senso in riferimento a Gesù di Nazareth.
Il senso che Gesù ha dato alla sua vita é l’amore nel dono di sé fino al sacrificio supremo. Di conseguenza, il senso definitivo di ogni esistenza umana é l’amore, é il dono di sé. Ciascuno é posto nell’alternativa se vivere per sé o vivere per gli altri. Al cristiano é chiesto di vivere per gli altri e per l’Altro che é il Padre; gli é chiesto di essere uomo filiale e quindi fraterno, nei riguardi di tutti. E la chiesa si definisce come comunità di fratelli.
Si comprende a questo punto che la coscienza intesa come capacità di dare senso a ciò che apparentemente, per la ragione umana, é privo di senso, non é problema di vita. Vivendo come Cristo una situazione insensata (per esempio di violenza, di ingiustizia) il senso appare, e può essere riconosciuto anche dal non credente. Tralascio di commentare altre importanti conclusioni che sono state tratte da questo principio.
E vi richiamo brevemente alle vie per la formazione della coscienza.
Le conoscete bene: sono la Parola di Dio, la catechesi, la liturgia, la carità. È importante saper riconoscere in queste grandi dimensioni della vita cristiana le vie e i mezzi per la formazione della coscienza, ma più ancora é importante aver presente che non sono vie a senso unico: prima di essere le strade della nostra realizzazione o del nostro cammino verso Dio, sono sempre le vie di Dio, le vie per le quali la carità del Padre, del Figlio e dello Spirito ci raggiunge nella nostra situazione concreta. Ci chiama a realizzare il disegno nascosto da tutti i secoli in Dio, ma reso manifesto in Gesù di Nazareth.
L’etica cristiana – ci ha detto il teologo moralista – deve essere contemplativa. Occorre immergersi nel gesto di Dio per farne emergere il suo significato di salvezza per noi. Questo vale per la catechesi, la liturgia, la carità. La dimensione contemplativa o esperienziale della catechesi e di tutta la pastorale presuppone che noi operatori « abbiamo visto l’invisibile », che ne siamo stati toccati nel profondo, interpellati, sconvolti, convertiti, tanto che non possiamo più tacere sulle cose grandi che il Signore ha compiuto nella pochezza dei suoi « servi inutili ».
Se i gesti e i compiti della pastorale hanno questo senso per noi, essi risponderanno con la parola della fede l’unica possibile – alle domande di senso che salgono dalla nostra esperienza o da altre parti ci giungono, tante volte con « disperata speranza ».
ST 321 Settimana 85
Stampa: Numero unico rivista diocesana pag. 83-85 Conclusioni del Vescovo
in biblioteca disco degli atti – settimana 1985-