La famiglia
nel sacramento della Chiesa
Natura sacramentale di ogni realtà cristiana
Il rapporto famiglia-Chiesa va ricercato nella luce della natura sacramentale di tutta la realtà cristiana, la quale ubbidisce, si configura e si attua secondo l’economia del mistero della Incarnazione: le divine Persone manifestano la loro identità e il proposito della loro volontà nel « segno » della umanità assunta dal Verbo. La scena del Battesimo al Giordano ha il suo punto focale in colui che da Giovanni è indicato come Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo; dal Padre riceve la testimonianza della filiazione divina e lo Spirito si posa su di lui come una colomba (cf Mt 3, 13ss; Gv 1, 29ss). Chi vede Gesù vede il Padre (ci Gv 12, 45), chi crede in Gesù crede nel Padre (cf Gv 12, 44), da Gesù come dal Padre è dato lo Spirito (cf Gv 16,15).
Gesù di Nazareth nasconde e nel medesimo tempo rende possibile la esperienza inconcepibile di toccare con le mani il mistero della esistenza di Dio, la comunione di vita delle divine Persone e annuncia lo stupendo a evangelo » che la nostra esistenza è una comunione nell’amore che attinge e si compirà in quella di Dio (cf 1 Gv 1, 1-4; Gv 17).
In parole più schematiche: la realtà di Dio invisibile e il proposito nascosto della sua volontà sono diventati visibili, manifesti e operanti nella umanità del Cristo. Questa economia dell’invisibile reso visibile e operante costituisce la natura stessa della Chiesa e di ogni elemento della sua vita e della sua missione, per una non debole analogia col mistero dell’Incarnazione (cf LG, 8); anzi si può affermare che proprio questa condiscendenza dell’amore di
Dio a esprimersi secondo le esigenze della natura umana comporta che quanto più gli elementi visibili manifestano con chiarezza e fedeltà le realtà divine, tanto più queste sono operanti.
Quando poi dalla natura sacramentale in genere della Chiesa si riflette sul sacramento da cui deriva la vita (cf LG, 26), l’unità (cf LG, 11) e la forza dell’azione apostolica (cf PO, 5) della Chiesa, cioè il mistero eucaristico, siamo posti davanti a un’altra conseguenza che riguarda la natura della Chiesa: come nel mistero eucaristico l’unico Cristo è interamente presente in ciascuna parte del segno sacramentale, così le realtà visibili della Chiesa sono totalmente presenti ogni qual volta si verificano gli elementi visibili secondo la volontà istitutiva del Signore (cf LG, 25; 28; SC, 7; 41). Questi elementi sono i membri del popolo di Dio riuniti nel nome di Cristo, la Parola di Dio, i santi Sacramenti e specialmente l’Eucaristia e il sacro ministero esercitato dal vescovo circondato dal suo presbiterio.
Ognuno di questi elementi, quando non esclude gli altri, con una intenzione colpevole, garantisce la presenza di Cristo nell’atto di operare la glorificazione del Padre e la santificazione degli uomini (cf SC, ó e 7), e nella misura in cui sono intenzionalmente unificati o, di fatto convergono contemporaneamente, assicurano una proporzionata intensità nella presenza di Cristo.
Così che, a parità di disposizioni personali, esiste un cammino verso la pienezza del segno e del suo contenuto dal punto di partenza di due o tre uniti nel nome di Cristo alla tappa dell’ascolto della Parola,a quella della partecipazione ai santi Sacramenti, a cui è legato l’esercizio del sacro ministero che raggiunge il suo culmine nella persona del vescovo, il quale deve esprimere e attuare la comunione coi membri del corpo episcopale e con il suo Capo; al vescovo i fedeli devono aderire come la Chiesa a Cristo e come Cristo al Padre (cf LG, 27).
Il “segno” del mistero della Chiesa è costituito da vari elementi, i quali se vengono isolati dissolvono il segno, quando invece si suppongono o si ricercano o si compongono attualmente assicurano la presenza del loro contenuto; cotesto contenuto, che corrisponde a Cristo che salva, è certamente presente in proporzione della completezza del segno, dell’impegno della fede e della sovrana volontà dello Spirito; ma dove il “segno” è autentico è sicura la presenza del Signore e quindi della Chiesa.
La dinamica della persona nel disegno di Dio
Il disegno di Dio che si compie nella storia della salvezza si propone di introdurre gli uomini nella comunione di vita con se (cf DV, 2). Il supremo modello e il principio di questa comunione è l’unità stessa delle Persone divine (cf UR, 5).
Al centro del suo disegno, Dio pone Gesù Cristo nel quale ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale, dopo averci scelti in lui prima della creazione del mondo, perché fossimo santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci, sempre in Cristo, alla adozione di figli suoi, secondo il beneplacito del suo volere, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha donato nel Figlio suo diletto; in lui abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dai peccati per la ricchezza della grazia del Padre, il quale ci mise a parte del mistero della sua volontà, secondo il disegno di benevolenza che egli aveva già prima formato in se stesso, da realizzare nella pienezza dei tempi: unificare in Cristo tutte le cose del cielo e della terra. In lui siamo stati fatti eredi, predestinati nel disegno di colui che tutto realizza conforme al piano deliberato, perché fossimo lode della sua gloria. In lui, dopo aver creduto al vangelo della nostra salvezza, abbiamo ricevuto il suggello dello Spirito santo che era stato promesso, pegno della nostra eredità (cf Ef 1, 4-14).
Questo testo paolino, allo stesso tempo trinitario e cristocentrico, pone i credenti nel cuore del disegno di Dio e li definisce nel loro personale rapporto con Cristo e in Cristo con il Padre e lo Spirito santo e di conseguenza con i propri fratelli.
Il Cristo della rivelazione cristiana non è isolato e non è mai solo (cf Gv 8, 16): è in rapporto ininterrotto con il Padre da cui tutto riceve (cf Mt 11, 27; Gv 7, 16), col quale ha tutto in comune (cf Gv 16, 15; 7, 21) e al quale tutto riferisce e riconduce (cf Lc 2, 49; Gv 20, 17); inoltre egli è « condotto » dallo Spirito e, col Padre lo « dona »: il Cristo si rivela in una comunione di vita col Padre nello Spirito, ma rivela anche il senso del movimento di questa sua comunione, il quale è costitutivo, secondo un nostro modo analogico di esprimerci, della sua persona di Figlio: egli è essenzialmente « accoglimento » del Padre e « donazione » al Padre; nel mistero di questo rapporto noi cogliamo l’atteggiamento del Figlio, che espresso in termini di disposizioni morali è di una povertà radicale: ricevere tutto, e di una generosità totale: dare tutto.
Questo ha una importanza decisiva per definire il cristiano in quanto persona e nell’atteggiamento di fondo della sua vita morale.
Il credente è colui che nasce da Dio (cf Gv 1, 13), scelto prima della creazione del mondo e predestinato ad essere figlio di Dio, mediante Cristo Gesù, di nome e di fatto (cf Ef 1, 5; 1 Gv 3, 1) e conforme all’immagine del Figlio (cf Rm 8, 29); « così che quando uno è in Cristo è una nuova creatura » (2 Cor 5, 17) e Cristo morì affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi ma per colui che è morto e risuscitato per loro (cf id 5, 15). Appartiene alla missione dello Spirito santo di operare tutto questo in colui che crede. I sacramenti della iniziazione cristiana hanno questo di proprio: di farci partecipare alla morte e risurrezione di Cristo, perché morti al peccato viviamo in Cristo per Dio (cf Rm 5, 11).
Il mistero di Cristo che muore in croce e risorge a una vita nuova è la manifestazione dell’essere personale del Figlio di Dio in un mondo di peccato. Il Figlio in Dio è colui che accoglie infinitamente, fa posto infinitamente al Padre: Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, accoglie totalmente il Padre, gli cede tutto il posto con l’annientamento della morte (cf Fil 2, 7-8); ma la morte è umiliante e dolorosa perché deve distruggere la più decisa opposizione a Dio che è il peccato. Il Figlio in Dio è tutto del Padre e per il Padre: Gesù, figlio di Dio fatto uomo, risorgendo da morte vive per il Padre (cf Rm 10).
Il cristiano inserito nel mistero della morte e risurrezione di Cristo entra nell’essenziale del suo essere nuovo, dal quale si definisce la sua personalità: morire a se stesso per accogliere totalmente Dio nel mistero di Cristo crocifisso, acquistare la coscienza del bisogno assoluto della salvezza di Dio, aprirsi a questa salvezza nell’atteggiamento del povero che attende tutto da Dio; questo è il fondamento dell’umiltà, della povertà che liberano l’io egoistico per fare uno spazio sempre più ampio per accogliere Dio e i fratelli che egli vuole salvare con noi e in noi; questo è il primo elemento della personalità cristiana analogo a quello del Figlio in Dio. Risorgere con Cristo comporta vivere in Cristo per il Padre, cercare il Padre, cercare il suo volto, cercare il suo regno, fare la sua volontà; il Padre che ama il mondo e dà il suo Figlio per il mondo (cf Gv 3, 16); e di conseguenza vuole che ci amiamo gli uni gli altri come egli ama noi (cf 1 Gv 4, 9-11); e questo è il fondamento di quell’atteggiamento di dedizione per gli altri che costituisce il secondo aspetto della personalità cristiana.
Alla luce di questi principi della rivelazione appare la dinamica che costituisce la persona umana: accogliere-offrire; ricevere-dare; assimilare-comunicare; capire-esprimere, ecc. Analogicamente a quanto avviene nel mistero della comunione delle Persone divine, dove ognuna è infinitamente se stessa, infinitamente distinta e unita alle altre, la persona umana deve maturare se stessa sviluppando tutti i doni di natura e di grazia, in modo da attuare nella misura più piena e inconfondibile la sua personalità. E’ anche naturale che la dinamica della persona umana, attraverso una azione pedagogica e morale, deve chiarirsi nella coscienza, diventare l’impegno fondamentale della vita morale per penetrare e sostenere tutte le espressioni della esistenza e costituire un costume.
La famiglia segno della comunione d’amore delle divine Persone
Un rapido sguardo allo svolgimento del disegno di Dio come è riferito dalla S. Scrittura è chiaramente indicativo: l’uomo non è fatto per vivere isolato; l’uomo, creato maschio e femmina, nello stato di unione reciproca e feconda, esprime l’immagine della esistenza divina e vive secondo un modello divino; la storia della salvezza inizia con la promessa di una fecondità « impossibile » che trascende i limiti della carne e del sangue e si proietta sulla moltitudine sterminata che si collega ad un’unica paternità di fede (Abramo); questo progetto di esistenze umane legate tra di loro, come frutto dell’Alleanza di Dio con gli uomini, ha il suo fondamento nella legge (Decalogo) che regola e sancisce un costume basato sul valore e sulla promozione dei rapporti personali con Dio e con i fratelli: il popolo di Dio, espressione di unità basata su motivazioni religiose e razziali, è la figura dell’unità futura basata sulla fede.
Sono significativi tre momenti registrati nel Nuovo Testamento: le nozze di Cana, la preghiera sacerdotale ed Efesini 5, 32; Gesù che si rivela ai discepoli durante un banchetto di nozze, l’unità vitale soprannaturale descritta nei termini di una ineffabile intercomunione nell’amore tra le divine Persone e la persona dei credenti, e l’unione matrimoniale assunta a a segno » dell’unione di Cristo Sposo con la Sposa che è la sua Chiesa, per la quale ha dato se stesso purificandola, rendendola bella e attraente col lavacro del suo sangue. Non è certamente trascurabile che Paolo nella sua riflessione colleghi la nostra condizione di membra del corpo di Cristo e il passo del Genesi 2, 32.
Dio crea l’uomo per una vita di comunione con gli altri, la espressione più piena è quella che realizzano gli sposi, i quali sono posti all’origine di una comunione che si arricchisce e si espande nei figli. La salvezza si attua nel senso della comunione a una vita nuova nella unità della fede, della speranza e della carità, comunione elevata alla partecipazione ineffabile di quella di Dio per la nuova alleanza consumata nel sangue di Cristo.
Ciò che è caratteristico del disegno di Dio è il fatto che crea l’uomo e, dopo la caduta, lo salva non perché sia la più alta manifestazione della sua sapienza o della sua potenza: Dio si manifesta specificamente nei termini del suo amore « Deus charitas est » (cf Gv 4, 16), e l’uomo creato e salvato da Dio non dovrà essere semplicemente il vertice della perfezione dell’opera di Dio, ma la espressione dell’unità di Dio e dell’universo. Il punto unificante e di unificazione di tutti e di tutto è Cristo, Verbo fatto carne, Capo e Sposo della Chiesa suo Corpo (cf Ef 1, 10; 6, 30).
Cristo è il sacramento del disegno di Dio di unire gli uomini a se e tra di loro nella espressione di un amore nuziale già preannunciato nell’Antico Testamento (cf Os 1 e 3; Ez 16). La Chiesa è lo strumento fondamentale dell’unione concepita da Dio (cf LG, 2) diffusamente descritta con l’immagine delle nozze dell’Agnello e della Sposa: la prima tappa inizia con la venuta di Cristo e si compie sul Calvario quando il nuovo Adamo unisce a se la nuova Eva; a queste nozze sono invitati tutti gli uomini (Mt 22, 1-14; 25, 1-13); alla fine tutto avrà compimento con le nozze eterne (cf Ap 19, 7-9; 22, 17-20). Il sacramento del matrimonio riassume nella concretezza della vita umana questa stupenda ricchezza del disegno di Dio e la rende operante con la forza della grazia di Dio nel segno più naturale e più espressivo che Dio stesso ha così largamente assunto per manifestare la sua volontà salvifica.
Nel Cristo c’è il segno, la testimonianza, il dispiegamento di un disegno che si propone di fare dell’uomo, della sua persona, della sua esistenza una comunione di vita che attinge e si modella sulla unità delle Persone di un solo Dio.
La famiglia cristiana manifestazione della Chiesa
Nella Chiesa c’è il segno, la grazia che l’opera di Cristo è presente sente e attiva nel mondo negli elementi interiori ed esteriori della sua divina costituzione.
Il matrimonio è un segno della Chiesa: manifesta il suo mistero con la forza espressiva dei suoi elementi costitutivi, le persone, l’amore, l’unità, la fecondità e contiene la forza salvifica perché la persona realizzi se stessa nel duplice movimento di accoglienza e di donazione, al fine di costituire una unità feconda nell’amore analogamente alla natura e alla missione stessa della Chiesa, nella quale è inserita istituzionalmente e alla dilatazione della quale dà un apporto insostituibile (cf LG, 11).
Il Concilio Vaticano II afferma esplicitamente « la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione del patto di amore di Cristo e della Chiesa, renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l’amore, la fecondità generosa, la unità e fedeltà degli sposi, sia con la amorevole cooperazione di tutti i suoi membri » (GS, 48).
Quando il Concilio parla della a genuina natura della Chiesa » si riferisce a un concetto ben preciso e cioè alla Chiesa « che ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo che tutto ciò che in lei è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla futura città verso la quale siamo incamminati » (SC, 2).
Il Concilio rafforza la sua affermazione facendola precedere dall’altra che dice: « la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio… renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore » (GS, 48). Il Salvatore è presente e vive nel « segno » della famiglia: l’amore, la fecondità generosa, l’unità e la fedeltà degli sposi, I’amorevole cooperazione di tutti i suoi membri sono assunti a elementi visibili della invisibile presenza di Gesù Cristo che salva. La realtà della famiglia, che nasce dal matrimonio, trascende indicibilmente il semplice consenso richiesto per la validità dell’atto sacramentale; il matrimonio instaura una serie di fatti nuovi e permanenti che manifestano e attuano il mistero della salvezza. Nella più ricca delle realtà umane è presente una realtà divina, la quale non è nell’ordine delle realtà astratte o delle cose, ma in quello delle persone e degli avvenimenti che costituiscono il segno e la misura dei rapporti delle persone; le persone sono quelle divine e i membri della famiglia umana, e le vicende di ogni famiglia sono iscritte nella storia della salvezza che ha il Dio vivente come protagonista.
Qui diventano evidenti i legami della famiglia e della Chiesa nella sua espressione di comunità locale; non è esagerato dire che sono costitutivi. Per un senso la Chiesa nasce dalla famiglia, come, dall’altro, la famiglia nasce dalla Chiesa.
Se in ogni legittima Chiesa locale è presente tutta la Chiesa (cf LG, 26) e se la principale manifestazione della Chiesa si ha quando il popolo di Dio si aduna intorno al vescovo specialmente nel momento della celebrazione liturgica (cf SC, 41), essa è ancora rappresentata dalle comunità locali, tra cui hanno un posto preminente la parrocchia, nelle quali il sacerdote fa le veci del vescovo (cf SC, 42). A questa ultima espressione del mistero di tutta la Chiesa, la famiglia, che nasce dal matrimonio, dà la insostituibile possibilità di essere e di crescere numericamente, ma le offre anche la migliore possibilità di costituirsi come comunità: la famiglia non offre semplicemente alla comunità locale (v. parrocchia) un dato numero di membri, ma dei membri costituiti in unità di amore, di impegni, di crescita.
E’ un andamento pastorale errato quello di pretendere di costituire delle comunità locali che esprimano ed attuino il mistero dell’unità della Chiesa specialmente al momento della celebrazione liturgica, facendo appello genericamente ai singoli membri della comunità anagrafica; tutti ormai si convincono che bisogna partire da « comunità base »; nessuna di queste può essere sostituita dalla comunità naturale e sacramentale della famiglia, nella quale il mistero della Chiesa è presente in un modo privilegiato.
L’impegno pastorale e catechetico
Tocca all’azione pastorale dare la precedenza alla cura della famiglia per suscitare in tutti i suoi membri la coscienza delle realtà meravigliose di grazia di cui sono portatori ed educarli a un impegno morale che si muova nel senso di queste realtà: il dinamismo dell’amore a dimensione ecclesiale.
Diventa ogni giorno più evidente come sia indispensabile un « catecumenato » del matrimonio inteso non al modo dei tradizionali « corsi per fidanzati », ma concepito come una vera catechesi dell’età adulta, per la maturazione di una fede adulta, per persone che si trovano nella condizione più felice, oserei dire, per fare esperienza della sintonia con le loro disposizioni (amore senso di responsabilità, trepidazione per l’avvenire) del mistero cristiano, presentato secondo le ricche suggestioni della Bibbia.
Dalle prime alle ultime pagine del Libro sacro si compie il lungo percorso dalle nozze dei primi parenti a quelle dell’Agnello e della Sposa e intanto sono svelate le meravigliose vicende del Dio vivente che salva il mondo stabilendo dei rapporti personali di amore con gli uomini. Questi rapporti introducono gli uomini nella sempre più profonda conoscenza del mistero di Dio che è « il solo » ma non solo. I nostri « catecumeni » che sono condotti a scoprire, come abbiamo detto sopra, la dinamica della loro persona che riflette il senso della persona in Dio, prendono coscienza del loro essere personale alla luce del mistero di Dio.
Scoprono se stessi non come individui che si costruiscono intorno al loro « io », ma come capacità di accoglimento e di donazione verso il « tu », tanto concreto e amabile nella felice condizione di fidanzati. Ognuno che si fa spazio accogliente per l’altro e diventa sempre più se stesso con la maturazione di tutte le proprie doti caratteristiche al fine di essere un dono ricco per l’altro. Ognuno non rinnega la sua « fisionomia » (tipo di intelligenza, intuizione, sensibilità, cuore, sentimenti, espressività, ecc.), ma la sviluppa per l’arricchimento e la gioia dell’altro.
L’essere totalmente « riferito » all’altro, come sono le divine Persone nel mistero trinitario, viene scoperto come radice dello amore, il quale diventa la via per uscire dalla propria solitudine (cf Gn 2, 18) e trovare chi assicura una completezza, uscendo da se stessi per essere dell’altro, protesi verso il traguardo di una esistenza di comunione (cf Gv 17, 21; 1 Gv 1, 3; UR; 2). Questo traguardo di una esistenza di comunione ha i suoi ostacoli, le sue prove, le forti tentazioni: è il peccato annidato nell’egoismo che attenta continuamente l’unità che vuole conseguire l’amore.
Cristo, sorgente e modello della dinamica della persona umana e dell’amore, vince il peccato con la misura estrema dell’amore (cf Gv 15, 12-13), la sua Croce. L’annientamento di se stesso (cf Flp 2, 7) e il dono di se per la sua Sposa introduce nel mistero del Cristo e della Chiesa, dal quale prende senso e forza il sacramento del matrimonio (cf Ef 5, 32).
Il sacramento del matrimonio è agevolmente riducibile a tutta l’economia sacramentale: dal Battesimo da cui nascono le « nuove creature » (cf Gal 6, 15) alla Eucaristia anima di tutta la unità nella Chiesa. La pratica sacramentale nasce come esigenza di un nuovo stato di esistenza inserito nella morte di Cristo che libera dal peccato, forza disgregatrice dell’unità, e immette nella corrente di vita in Dio per la risurrezione di Cristo.
Una catechesi che segna queste linee affrettatamente abbozzate non si può pensare che non raccolga l’interesse di chi è avviato alle responsabilità della famiglia. Oggi esiste già una larga esperienza in favore della validità e della partecipazione fruttuosa di questi corsi. Questa azione deve diventare particolarmente premurosa e amorosa verso le giovani famiglie: sono delle « creature nuove », sul piano della esistenza umana e cristiana, è il momento della fragilità, della inesperienza e di una certa solitudine; la comunità ecclesiale nei modi più discreti, delicati e tempestivi ha la responsabilità di farli trovare a loro agio, di sostenerli a tutti i livelli, di favorire incontri che diano loro modo di costatare che i loro problemi sono i problemi comuni.
Lo sfocio naturale sembra quello dell’associazione, nata da una esigenza interna, fra gruppi di famiglie ai quali si deve sempre inculcare l’apertura verso gli altri gruppi.
Quando poi la comunità locale esprime il suo impegno missionario e fa azione pastorale, oltre che evitare le ambiguità dello « associazionismo » e del « comunitarismo », deve sempre tenere presente che la famiglia è una espressione di Chiesa strettamente sacramentale, e quindi segno e strumento di salvezza, come non possono essere gli altri raggruppamenti che si propongono delle finalità apostoliche. E’ pacifico che si deve evitare ugualmente un « familiarismo » pastorale, però proprio i fenomeni dei giorni nostri che esplodono, per es., a livello di scuola, stanno a indicare come i membri della famiglia non debbano operare a livelli separati ma nell’ambiente del dialogo amoroso, franco e umile, che ha la sua sede naturale a livello familiare; quindi ogni gruppo o associazione di apostolato devono rifarsi alla natura e modello della famiglia per una maggiore fedeltà alla realtà e un più facile orientamento comunitario e quindi ecclesiale.
CARLO FERRARI Vescovo di Mantova
ST 195 Genitori – Figli 70
Stampa: rivista catechistica Via Verità e Vita del Febbraio 1970