Al Parroco don Vito Lorusso che per primo, in tempi non certo leggiadri, osò dar vita ad un circolo giovanile nella sua chiesa dell’Amalfitana, spetta il merito di averci insegnato anche l’amore per l’arte.
I vecchi muri dell’antico tempio, riapparsi per sua coraggiosa iniziativa dagli stucchi che interamente li deturpavano, servirono per me e per altri, sotto la sua guida sagace, ad iniziarci alla conoscenza di un mondo ricco di fascino.
Egli dette per primo l’avvio ad un risveglio inteso a dar decoro alle chiese, a mettere in evidenza le cose di pregio ivi custodite ed a togliere di mezzo il ciarpame accumulatosi in epoche di abbandono e di smarrimento.
Fu lui a promuovere l’istituzione della Commissione Diocesana di Arte Sacra, di cui io stesso feci parte in qualità di Ispettore On. dei monumenti.
Serbo grato ricordo del lavoro compiuto sotto la guida di Mons. Bianchi e del suo degno Vicario Monsignor Annese.
Mi piace ricordare che, allorché fu decisa la requisizione delle campane, si operò in modo che i concerti preziosi di S. Leonardo e della Cattedrale ed i bronzi più antichi della città fossero con ogni cura sottratti al pericolo della deportazione.
Ma se volgiamo lo sguardo al presente, non può essere lasciato sotto silenzio il volume di opere che coincide con la permanenza tra noi di Mons. C. Ferrari, nel settore dell’arte sacra.
Egli è dotato di animo sensibile all’arte ed al bello; ama la buona musica, studia l’arte antica ed apprezza la moderna, poiché la sua cultura gli consente di valutare quanto è frutto di sana ispirazione e riveste autentico valore poetico. Pregevoli dipinti, nobilmente restaurati, gli fanno compagnia e confortano il suo lavoro nella casa vescovile.
E’ sempre largo d’incoraggiamenti e di comprensione nei riguardi dei giovani artisti. Ma il suo amore per le cose belle, il gusto per i concerti e per i bei canti, non sono solo un segno della sua personalità, che anzi l’arte, omaggio nobilissimo dell’uomo al Creatore, in tutte le sue geniali manifestazioni, s’inserisce nel suo animoso piano di azione pastorale.
La musica, la pittura, l’architettura, le così dette arti minori, così preziose per la suppellettile liturgica, devono essere strumenti di elevazione per assurgere all’altezza della preghiera che, come incenso, si perde nelle note, resta condensata nel marmo o nel bronzo, o si perpetua nelle linee architettoniche.
Se il diuturno ritornello del Pastore è richiamo pressante a dedicare ogni cura nell’insegnamento catechistico e nell’istruzione religiosa per gli adulti per cui, senza risparmiarsi fatiche, profonde la sua predicazione originale, sostanziosa, aggiornata, aderente, del pari come i suoi predecessori, primo fra tutti Mons. Monterisi, esige la più stretta osservanza liturgica che dona decoro e consapevolezza a tutta la pratica religiosa.
E’ logico che egli desideri liberare dai segni del disordine e dell’abbandono, i templi che i nostri antenati costruirono con magnificenza e splendore e che arricchirono di opere egregie.
Se nelle chiese si rispecchia la purezza dello spirito religioso, è necessario pertanto che s’intonino all’auspicata rinascita, frutto di approfondimento e di cultura ed aiutino i fedeli ad elevarsi verso le idee centrali della Fede.
Logicamente egli reclama immagini sacre non solo in linea con la nostra tradizione artistica, tra le più elevate dell’umana civiltà, ma degne delle cose sublimi che rappresentano e raffigurano e che s’addicano del pari alla dignità di coloro che si chiamano e sono figli di Dio per cui le cose visibili devono essere scala alle cose invisibili ed ineffabili per attingere le vette superiori della religiosità.
Si sa che un lavoro di bonifica e di trasformazione è sempre difficile ed ingrato, non privo di rischi e d’insospettate incomprensioni; avviene sempre così quando, dopo facili involuzioni, si vuole ritrovare la via giusta della regolarità e dell’ordine.
L’energia necessaria in simili contingenze viene dalla certezza di servire una causa giusta e santa.
Conobbi il coraggio e la fermezza di Mons. C. Ferrari, allorché, agli inizi del suo episcopato, ci trovammo impegnati in grossi restauri riguardanti la Matrice di Cisternino.
Riparati i danni più grossi, esaurita la parte tecnica, l’occasione parve propizia per un radicale rinnovamento del tempio.
Lo stimolo veniva dalla bellezza della costruzione, resa quasi irriconoscibile dalle alterazioni apportate nei secoli; il Vescovo non esitò a sacrificare ogni superfetazione, altari ed altarini insignificanti, tutto ciò che, privo di pregio ed incompatibile con le esigenze vere di culto, non s’intonava con il decoro del sacro ambiente.
Le sue direttive superavano non solo le mie modeste aspirazioni, ma anche quelle del Soprintendente Schettini, il quale accolse di buon grado l’idea del Vescovo di creare un altare basilicale che fosse nel contempo nella parte anteriore, idoneo alla conservazione delle Sacre Specie.
Il buon popolo di Cisternino ebbe fiducia nell’opera del Vescovo e fu ambito premio per tutti ritrovarsi, a lavoro compiuto, nella chiesa dei padri, assurta a nuova dignità e bellezza.
Un grosso impegno fu per Mons. Ferrari l’erigenda chiesa di Pezze, per cui il compianto predecessore aveva potuto solo benedire la prima pietra.
La legge per le nuove chiese giunse propizia per sopperire alla mancanza di fondi occorrenti.
Resasi necessaria una nuova progettazione, l’incarico venne affidato all’Ing. M. Berucci di Roma che ideò e costruì una chiesa in forme moderne e con tecnica ardita e sapiente per cui nell’opera sua, ancora nel rustico, trionfa lo slancio delle linee, l’ariosità degli spazi e l’armonia dell’insieme.
Del pari il Vescovo intervenne con persuasione ed autorità durante i restauri della bella chiesa matrice di Polignano a Mare.
Compiuti finalmente i lavori di struttura, rinnovate tettoie e pavimento, impartì direttive intese ad eliminare inveterati inconvenienti.
Volle che l’altar maggiore fosse liberato dal polittico vivarinesco che ha trovato nel fianco sinistro del transetto conveniente collocazione. Dette ordine che lo stupendo rilievo della Madonna in trono, opera mirabile di Stefano da Putignano, tornasse agli onori dell’altare da cui era stata tolta, allorché si smarrì la comprensione per la nobiltà di si espressiva opera d’arte.
Così la statua di S. Vito, che prima era addossata ad una colonna del centro, trovò posto nella navata destra nella cornice dell’ultima arcata. Come era avvenuto per Cisternino, Polignano non stentò a comprendere la saggezza e la convenienza di quei mutamenti, dando una smentita alle preoccupazioni di certi pessimisti, sempre tremebondi per presunte reazioni popolari.
La sera della riapertura della chiesa, l’immensa calca di gente manifestava, sia pure in modo caotico e rumoroso, la propria gioia per quanto era stato operato.
Nei restauri della chiesa dei Cappuccini, voluta dall’amministrazione IPRAB, l’assistenza morale del Vescovo, ed in certi casi il consiglio, ebbero valore decisivo. Cosi si dica per la Chiesa di S. Francesco da Paola, rimessa in ordine dai Padri Minori.
Anche per la Chiesa di S. Francesco, dove ha sede la Parrocchia dell’Amalfitana, sta per suonare l’ora in cui sarà liberata dallo stato di precarietà in cui versa. I sopralluoghi predisposti e le direttive impartite, in armonia con le esigenze tecniche, sono valsi a gettare le prime linee d’orientamento per il futuro.
Sorta con ampiezza di vedute la nuova sede dell’Istituto S. Giuseppe, il Vescovo volle che cure particolari fossero dedicate alla cappella che ne costituisce l’ornamento migliore. Egli stesso scelse l’artista per una decorazione di vasto respiro e di buona fattura. Per tale fermezza, Monopoli può vantare una bella opera del Bergagna, che è uno dei più noti pittori della Beato Angelico di Milano, che ha inciso nel rinnovamento estetico e liturgico dell’arte religiosa in Italia.
Esigenze di carattere parrocchiale hanno consigliato Mons. Ferrari a trasferire la Parrocchia di San Pietro nella vicina e disponibile chiesa di S. Teresa, che è tra le più imponenti della città. Li ha voluto destinare il bell’altare marmoreo neo classico della chiesa delle Monacelle che pare destinata, dopo gli opportuni risanamenti, a sala di conferenze.
Si discusse a lungo sulla opportunità di creare in Cattedrale una gradinata ai piedi della balaustra dell’altare maggiore.
L’esperienza quotidiana dimostra che ciò risponde ad una necessità e che l’idea, una volta attuata, oltre al fatto funzionale, s’adegua alle esigenze estetiche della basilica.
Gli stessi motivi di funzionalità liturgica hanno spinto il Vescovo a promuovere analoga sistemazione presso la Matrice di Fasano, dove il lavoro di maggiore ampiezza è riuscito di generale gradimento.
Più che tali trascurabili particolari merita menzione la vera e propria chiesa che, sul soccorpo provvisoriamente adibito al servizio liturgico, va sorgendo sulla ridente Selva di Fasano, destinata ad assicurare l’assistenza spirituale della zona. Per le esigenze presenti e future dei rurali e dei villeggianti il Vescovo l’ha voluta vasta e capace e si è dato carico che per caratteristiche di stile, s’intonasse all’incanto di quella plaga, in modo che al suo compimento s’inserisca come nota di conclusiva significazione in un paesaggio suggestivo.
A tali esigenze risponde appieno il progetto elaborato dal Prof. Beppe Albano di Putignano.
E’ nei propositi del nostro Pastore affrettare i tempi per la costruzione di nuove chiese che siano idonee ai bisogni delle frazioni di S. Lucia ai Monti e di Casalini nell’agro di Cisternino.
La bella chiesa di Antonelli, voluta dall’amore e dalla costanza di Mons. Tartarelli e quella di Sicarico, che don Caprera abbellisce assiduamente all’esterno ed all’interno con tenerezza di madre che non si stanca di adornare una cara figliuola, sono per le altre contrade il modello di ciò che si proietta con urgenza nel futuro.
In contrada S. Lucia è imminente la costruzione di una ben architettata canonica. Questa volta il sistema consueto è capovolto; prima ancora di una nuova chiesa si provvede agli ambienti che corrispondano con larghezza e modernità ai bisogni di una parrocchia in pieno sviluppo.
Una parola merita la sistemazione del sagrato della Cattedrale, lavoro notevole che eliminò inconvenienti di rilievo e ridonò con l’abbassamento del livello di tutta la platea, le giuste proporzioni alla monumentale facciata.
Fu finalmente murata una obbrobriosa breccia, praticata abusivamente nella così detta muraglia e finalmente fu creato un comodo accesso alla via Manzoni.
Ciò fu possibile, è bene ricordarlo, per la buona volontà di Mons. Ferrari, il quale non esitò a sacrificare una bella striscia dell’angusto giardino, che è un polmone del suo palazzo.
I lavori in atto, promossi dal Comune, dopo incertezze e perplessità, credo risolvano definitivamente il non semplice quanto necessario raccordo stilistico del sottopassaggio col complesso monumentale, cui si assicura una equilibrata e definitiva armonizzazione .
Ma l’onda dei ricordi mi risospinge verso la chiesa della mia infanzia, donde presi le mosse. Se il Parroco Lorusso non riuscì ad ottenere un soldo per il monumento da lui messo in luce, restauri di un certo peso furono eseguiti nel 1935, essendo Parroco don P. Abbruzzese,allorché si ottenne tra l’altro l’isolamento completo dell’abside, che rappresenta certo una pagina veramente significativa del nostro Romanico.
E’ toccato a noi, auspice il nostro Vescovo, la ventura di provocare un restauro massiccio di quella veneranda e cara costruzione. I fondi ministeriali hanno consentito d’aggredire problemi gravi accantonati, quali una migliore esplorazione e sistemazione della cripta e l’isolamento del fianco sinistro dalle cappelle laterali.
Demolite le superfetazioni, è riapparsa la fiancata che, ad onta delle ingiurie subite, brilla di grazia particolare.
Quello dell’Amalfitana è monumento che ha molto sofferto e non sarebbe rimasto in piedi se non fosse stato costruito in ottima pietra e con magistero tecnico di maestranze di eccezionale bravura.
Della facciata antica s’intravedono elementi strapiombanti tamponati dalla posticcia soprastruttura settecentesca, mentre il fianco sinistro è tutto rifatto in tufo.
Nella navata centrale, ora coperta da una tettoia regolare e salda, le finestre hanno ritrovato le primitive dimensioni che assicurano una ben calibrata illuminazione dell’ambiente; sulla destra si è potuto ricostruire lo spiovente ligneo, conforme all’antico, dopo la rimozione della volta in muratura.
Anziché abbattere la facciata che apparteneva al demolito sacello di S. Giuseppe, che avrebbe consentito una bella visibilità della parte interessante del monumento, cioè fiancata ed abside, si è creduto di conservare il rudere, collegandolo con un arco al complesso monumentale. L’edicola cinquecentesca sarà murata all’esterno nel sito più idoneo.
Il mio augurio è che questo imponente restauro venga portato in fondo, fino al suo totale compimento.
Sono convinto che i danni sofferti dalle colonne e dai capitelli, reclamino amorevoli e pazienti cure.
Bisogna che scompaiano i rifacimenti in cemento ed in gesso, apprestati al primo scoprimento della chiesa.
Cosi penso che occorre liberare le cornici dei capitelli dall’arbitraria sagoma di stucco che le riveste.
Quel goffo modulo, alterando dimensioni e rapporti, equivale ad una stonatura che stride nell’insieme migliorato con tante felici sistemazioni.
Compiuta l’opera bella e grande, sotto l’auspicio del nostro Vescovo, sarà realtà dopo quasi mezzo secolo l’aspirazione del Parroco Lorusso che progettava con l’architetto Mampieri il ripristino della sua chiesa verso la purezza delle sue linee originarie.
Le sue ossa, io penso, reclamano l’ombra raccolta della cripta che, adibita per secoli a tomba comune, egli con i suoi poveri mezzi, liberò dalle macerie e dai miseri avanzi che l’ingombravano, per restituirla a luogo di preghiera.
Il restauro dell’Amalfitana, ormai prossimo a conclusione per la somma di aspetti tecnici che lo caratterizzano, per i risultati ottenuti, è un fatto che nel capitolo delle nostre cose, va al di là di un episodio di normale amministrazione, anzi rappresenta una pietra saliente di un lungo cammino.
Senatore Luigi Russo
Numero unico, in biblioteca privata, 1960