Alcune riflessioni mi vengono suggerite soprattutto dalla lunga esperienza personale vissuta in azione cattolica e possono trovare una certa conferma nelle dichiarazioni che, negli ultimi tempi, hanno puntualizzato e sottolineato il prezioso contributo che questa forma comunitaria di apostolato ha continuato ad offrire alla Chiesa, specie dopo la rinnovata specificità del suo servizio ecclesiale.
Fondamentalmente sono due le note caratteristiche che evidenziano i servizi di cui si fanno carico i laici impegnati nel fare l’azione cattolica e che creano le condizioni di operare, accettando un particolarissimo rapporto con il Vescovo.
La prima è la scelta religiosa. Significa inserirsi nel vivo della vita della Chiesa. Vuol dire aderire alla sua “missione” che è essenzialmente “religiosa” e aperta all’umanità intera. E la messe è molta e gli operai sono pochi.
Qual è, oggi, il campo che ha più bisogno di operai? Si dice che sono molti gli operai che lavorano con spirito cristiano nella fascia del civile, del sociale, della politica, del sindacato, nei vari movimenti, nelle associazioni professionali, e che, invece, sono pochi quelli che scelgono la fascia del “religioso”. Qualcuno dice che è un campo non di diretta competenza dei laici, cioè non tale da qualificare giustamente la figura del laico se vuol essere e sentirsi impegnato storicamente. Potrebbe essere più vero dire che il campo del “religioso” esige una particolare disposizione, sostenuta da una forte “volontà religiosa” che si viene maturando attraverso una formazione in cui è lasciato ampio spazio all’opera di evangelizzazione: lasciarsi evangelizzare per evangelizzare.
La seconda è la scelta pastorale. E’ una conseguenza della prima . E’ la partecipazione al lavoro di costruzione della Chiesa. Sono le cose da fare per realizzare l’edificazione della comunità ecclesiale. Se le due scelte dicono molto chiaramente a quale chiamata deve corrispondere il laico che accetta l’azione cattolica, con altrettanta chiarezza esse pongono i presupposti che regolano i rapporti di questi laici con il loro Vescovo.
La fedeltà, nel senso di essere attenti nell’interpretare ed eseguire le direttive che il Vescovo indica in ordine alla pastorale diocesana. La collaborazione, necessaria per far giungere al Vescovo le esigenze della comunità e le proposte che possono aiutare a dare un’adeguata risposta. L’unità, come segno di reale, concreta e corresponsabile partecipazione a tutta la vita della chiesa locale, che viene privilegiata fra le altre strutture .
La perseveranza. Quanta ne occorre nel costruire la Chiesa! E’ la resistenza alla stanchezza, ai cedimenti, agli scoraggiamenti o alla tentazione di abbandonare il “campo”. Il riconoscimento dell’alta missione che il Vescovo ha come Pastore della diocesi.
L’amicizia. Ecco sentirsi veramente legati al Vescovo da un vicendevole, profondo e cristiano vincolo di amicizia, su cui fondare la possibilità di un dialogo fraterno, leale, aperto. “Voi siete miei amici, se fate quello che vi comando. Vi ho chiamati miei amici, perché vi ho fatto sapere tutto quello che ho udito dal Padre mio”. Queste parole Gesù le ha dette agli Apostoli e certamente gli Apostoli le avranno, poi, ripetute a chi era loro più vicino. Ecco, personalmente, io credo che questo legame può avverarsi. Anzi ciò è già accaduto e continua ad accadere.
di Sergio Cecconi
Stampa: La Cittadella 12 Giugno 77