settantesimo compleanno del vescovo
con i sacerdoti nel santuario alle Grazie
L‘incontro sacerdotale mariano si é caratterizzato quest’anno per il ricordo del 70.mo compleanno del Vescovo. Più di 160 sacerdoti sono convenuti il 21 Maggio scorso al Santuario delle Grazie per rinnovare, nel vincolo di una grande e commossa concelebrazione, i sentimenti di affetto, gratitudine, devozione e ubbidienza filiale che legano il presbiterio mantovano a Mons. Carlo Ferrari da 13 anni Vescovo della Diocesi.
Ad essi il Vescovo, prendendo spunto dalle letture bibliche del giorno (Atti 20, 28 – 38 e Gv. 17, 11 – 19), si è rivolto con la seguente omelia:
“Miei cari, la Parola di Dio che è stata annunziata dal lettore e dal diacono è chiaramente molto carica di significato per me vescovo, per voi presbiteri. Rischierebbe anzi di essere una parola troppo carica di emozione poiché ha un senso globale di commiato. Il commiato avverrà quando a Dio piacerà e quando me lo chiederà la chiesa. Per intanto, stiamo insieme e preghiamo.
Questi due doveri, stare insieme e pregare, formino il richiamo del nostro incontro. E’ il richiamo che il Vescovo, al compiersi del suo settantesimo anno, sente di rivolgere a voi, in forza della lunga esperienza che lo ha maturato con sovrabbondanza di grazia e di misericordia.
Quante volte, in questi ultimi anni della mia vita, vi ho richiamato all’importanza decisiva, costitutiva del nostro essere di presbiteri, che nasce da una realtà di chiesa fondamentale: quella di stare insieme, perché abbiamo un’unica fede, perché siamo segnati da un unico battesimo, perchécomunichiamo all’unico sacerdozio di Cristo, perché solo insieme abbiamo il diritto e il dovere di fare memoria della Cena del Signore.
Quanto cammino abbiamo fatto in questo tempo verso il traguardo ecclesiale di stare insieme, per fare un cuor solo e un’anima sola, per essere consacrati nella verità e nell’unità? Lo chiedo a me stesso, anzitutto, e davanti al Signore in atteggiamento di umiltà e d’invocazione della sua misericordia. Ricordo a me stesso, quanto debba fare, oltre quello che ho fatto, per essere in mezzo a voi convinto operatore dell’unità nella carità.
E poi mi permetto di rinnovarvi un invito a riflettere: quale impegno c’è in voi rispetto a tutti gli altri membri del nostro presbiterio mantovano: quale impegno di stima, di solidarietà, di accoglienza, di benevolenza, di carità, al fine di avvicinarsi a quell’unità per la quale Gesù ha pregato il Padre prima di salire sulla croce?
La preghiera di Cristo è molto viva oggi nella chiesa, ma deve trovare una eco profonda nel nostro cuore. Esaminando la nostra persona, riferendoci alla nostra identità, imitando ciò che trattiamo ogni giorno, quale sforzo c’è in noi per accogliere gli altri? L’altro, che mi sta vicino, col qual condivido le mie fatiche apostoliche?
Quale sforzo per accogliere l’altro, come egli è: realtà preziosa, sublime, mistero sconvolgente?
L’altro è figlio di Dio, come me; L’altro vale il prezzo del sangue di Cristo, come me; L’altro ha in carico la missione di Cristo come me, e allora gli devo fare posto nel mio cuore accogliendolo, non come lo vorrei io, ma come lo accoglie Dio, come tutti sappiamo di essere accolti da Dio: nella ampiezza infinitamente spaziosa della sua misericordia.
Ecco un primo punto sul quale richiamo la vostra attenzione nel vincolo della concelebrazione eucaristica.
Ricorderete che fin dal primo incontro vi ho detto: non m’importa tanto della vostra ubbidienza al vescovo quanto m’importa della vostra carità vicendevole; se vi vorrete bene gli uni gli altri, un posto lo riserverete anche per me, perché io possa esercitare il mio ministero che è nel senso dell’unità nella carità di Cristo.
E poi, a settant’anni, mi rivolgo a voi scongiurandovi, con tutta la mia esperienza, ma soprattutto con l’esperienza e la voce della chiesa: cerchiamo di essere uomini di preghiera. Siete soliti dire che il vescovo incontrandosi con voi non ha argomenti particolari da trattare e quasi pensa di aver assolto al suo dovere chiedendovi se, nell’esercizio del vostro ministero, avete la possibilità di pregare.
M’importa che comprendiate questo atteggiamento in tutta la sua verità.
Come possiamo annunciare il Vangelo di Cristo, essere ministri della sua Grazia, centri polarizzatori della unità nel nome di Cristo, se non c’è in noi autenticità profonda di unione con il Padre, il Figlio, lo Spirito?
Come può stare la Parola di Dio sulla nostra bocca, se non c’è nel nostro cuore un ascolto umilissimo, confidente, disponibile a tutto il significato di questa parola per la nostra persona, per la nostra esistenza e per il nostro ministero?
Di qui, l’impegno di ciascuno di noi a pregare veramente.
Sono colpito favorevolmente dai molti gruppi di preghiera che sorgono tra noi, spesso guidati da sacerdoti, ma devo esprimervi un mio dubbio, che non mi lascia tranquillo: è vera preghiera questa, quando si legge in abbondanza la Parola di Dio, si recitano salmi, si canta insieme, ma per esempio troppo scarsi sono gli spazi di silenzio?
Non potrebbe essere soltanto una celebrazione ben organizzata?
Fino a che punto ciascuno dei partecipanti si mette alla presenza di Dia e incontra il divino Interlocutore?
So di averlo già richiamato, ma lo ribadisco ancora: non vale tanta preghiera, vale la profondità dell’incontro col Padre, per mezzo di Cristo, nello Spirito Santo. Vi ho ricordato altre volte l’insegnamento di un vecchio autore di vita spirituale, Chautard: la preghiera non vale tanto per la sua durata, per il valore dei testi di cui è composta; la preghiera incomincia veramente nel momento in cui noi siamo con tutto noi stessi alla presenza di Dio, a contatto con Dio. Se no, è tutta esteriorità, espressione superficiale non adeguata, non significativa di una chiesa che è costituita nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
Notate che questo della preghiera non è un aspetto istituzionale, è un aspetto carismatico, che tocca la libertà del nostro spirito e impegna la libertà dello Spirito di cui siamo stati dotati da Cristo.
Permettete allora che vi richiami allo spazio da dare alla preghiera nel tempo della vostra giornata.
Avete tanto da fare, lo so; e vi ammiro e ringrazio per tutto ciò che fate in nome della chiesa, ma vi ricordo che soprattutto e a qualsiasi costo, anche a costo di sacrificare impegni importanti, dovete essere uomini di preghiera.
Mettete a posto, al giusto posto la preghiera, l’incontro con Dio, l’intrattenimento con Dio nell’intimità del vostro cuore, dove c’è una presenza formidabile dello Spirito e del Padre e del Figlio, dal momento che siamo credenti e vogliamo essere aperti all’azione di Dio: l’unica azione capace di salvare e santificare il mondo.
Finiremmo altrimenti per dire soltanto delle parole o fare dei gesti vuoti, se non falsi, e le nostre persone, invece di essere centro di attrazione nel senso dell’unità, nella carità di Cristo, diverrebbero segno di divisione, così che quelli che noi convochiamo con la Parola di Dio poi direbbero: “lo sono di Pietro, io di Paolo…” mentre tutti debbono dire: “lo sono di Cristo”.
Miei cari, con tutta la sincerità e l’affetto che potete immaginare nel mio cuore questa mattina, vi ripeto queste cose che formano la trama del nostro discorso sullo stare insieme.
La Madonna, che veneriamo in questo mese, in questo Santuario e con questa celebrazione, ci apra il cuore nel senso dell’unità e nel senso dell’accoglienza alle Tre Persone, che vogliono venire a dimorare in noi e a “cenare con noi”.
ST 355 Grazie 80
Celebrazione alle Grazie per il settantesimo compleanno del nostro vescovo
Stampa: “La Cittadella”, 1 Giugno 1980