Ricerca di lineamenti teologici
per la chiesa locale
Ammetterete che, anche per un tipo come me, ci possa essere un po’ d’emozione a trovarmi davanti a voi. Mons. Vescovo ha fatto un accenno e un richiamo. Abbiamo trepidato tutti per il pericolo che Tortona scomparisse. Io ho giocato di diplomazia per salvare qualche diocesi che era nella condizione come la nostra, quando mi trovavo nella commissione malfamata dei quaranta. E poi credo di avere fatto qualche cosa d’altro che quando i fatti non saranno più cronaca ma storia, si potranno anche sapere. Comunque io mi pongo nel cuore di questa gioia, che è di tutti, perché abbiamo ancora la nostra diocesi e a capo della nostra diocesi abbiamo il nostro vescovo.
Ha detto molto bene il nostro vescovo, mettendovi sull’avviso, che non siamo più negli anni trenta o sessanta: siamo precisamente negli anni settanta. Allora, anche se è un vescovo che parla, non parla in un modo definitivo delle linee di azione. Parla, fa un discorso che vuole essere non soltanto un dialogo, ma una ricerca fatta insieme.
Noi dobbiamo andare alla ricerca, perché dal punto da cui siamo partiti, tutti dobbiamo convincerci che il concilio ci fa compiere un balzo molto lungo e abbiamo bisogno di compierlo tutto, per essere nella chiesa di oggi, per essere nella chiesa di nostro Signore Gesù Cristo, in questa chiesa particolare che si raccoglie a Tortona.
Non è una chiesa come le altre: ha una sua storia, ha una geografia molto difficile e una sua tradizione. E quale tradizione! Indubbiamente ha un suo avvenire che non è quello delle altre chiese. E sarà tanto più la chiesa tortonese – come le altre chiese d’altronde – se sarà se stessa rispondendo al disegno di Dio, corrispondendo alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, mettendosi in sintonia con l’animazione dello Spirito che potentemente esercita in mezzo a noi in questi tempi.
Per questo ho cercato di dare un titolo che indicasse il senso del nostro incontro: “Ricerca di lineamenti teologici per la chiesa locale”. Non è detto che quello che dico io sia tutto vero. Potrà essere discusso, soprattutto dovrà essere approfondito, perché è lontano dalle nostre concezioni.
“Status quaestionis” L’aspetto giuridico della chiesa locale è sufficientemente delineato, anche se con prospettive diverse dal Codice, dai decreti del Vaticano II e dall’”Eccolesiae sanctae”. L’aspetto teologico, invece, è quasi tutto da riscoprire. Dico “quasi” perché i documenti del magistero della chiesa ci mettono sulla strada per arrivare a questa scoperta.
Il magistero del Vaticano II, e non senza qualche significativo sviluppo i documenti e i testi liturgici, ci pongono sulla giusta pista soprattutto con la presentazione della chiesa come mistero e sacramento, con il riconoscimento della natura sacramentale degli uffici del vescovo – compresa la giurisdizione – e con quello della collegialità dell’ordine episcopale.
La chiesa così concepita, sia locale che universale, ha due momenti: quello che riguarda la sua natura e la sua costituzione e quello che riguarda il suo “farsi”, il suo agire, la sua missione. Ai fini di un discorso pastorale come il nostro, ci soffermiamo prevalentemente sul secondo momento cercando di coglierlo “nel farsi” della chiesa, perché la chiesa si fa esclusivamente proprio nella chiesa locale.
Principi di fondo.
La chiesa è mistero nel senso pieno del termine in quanto realtà umana visibile che nasconde in sé e manifesta e rende operante una realtà invisibile (cf SC 2; LG 8). La realtà della chiesa, proprio perché è un mistero, è presente nel tutto come nelle parti. Questo è da tenere molto presente quando parliamo della chiesa locale, della comunità particolare: Gesù Cristo è tutto in tutta l’ostia, Gesù Cristo è tutto in qualunque parte dell’ostia. La realtà della chiesa c’è tutta in ogni legittima comunità ecclesiale. Questo è importante, e solo questo ci può fare intendere il valore della chiesa locale, e nella chiesa locale il valore della comunità parrocchiale.
La chiesa è sacramento in quanto è segno espressivo del dinamismo, dell’efficacia della salvezza. Non è che aggiungiamo un altro sacramento. La chiesa è veramente sacramento, segno e strumento di salvezza per tutti gli uomini. Mistero e sacramento per molti aspetti si equivalgono tanto nei documenti del magistero come nel linguaggio dei teologi, soprattutto nel linguaggio dei padri, i quali, parlando della chiesa, insistevano quasi esclusivamente su questi aspetti.
La sorgente e il modello della costituzione e della missione della chiesa è il mistero delle tre Persone di un Dio solo (Cf LG 2-3-4-; UR 2). Che cosa ne abbiamo fatto del mistero della SS Trinità nella vita cristiana e per la vita della chiesa? In seminario il De Deo uno et trino era una faccenda per cui, se si scopriva il significato di “relatio ad” e “relatio in”,tutto andava ed era risolto. Dopo di che, si chiudeva il libro. Anche nelle così dette istruzioni parrocchiali difficilmente si affrontava un tema del genere perché è “mistero”. Come se il mistero dei misteri, la sorgente delle sorgenti della vita cristiana dovesse essere ignorato! Come se la sorgente delle sorgenti della vita della chiesa dovesse essere ignorata! Questo noi lo abbiamo fatto e lo dobbiamo ammettere senza fare processi. Siamo vissuti in quei tempi, abbiamo studiato su quei libri, siamo arrivati fino a questo punto e ci troviamo dinanzi a delle vere, autentiche verità, che non ci debbono turbare anche se ci sconcertano, anzi devono aumentare la nostra fiducia.
Da qui due conseguenze di radicale e decisiva importanza: 1) nella chiesa il primato spetta alla persona. Alla persona in Dio originariamente. E’ contrario alla rivelazione cristiana ignorare ciò che ognuna delle Divine Persone ha distintamente compiuto e continuamente compie -per l’unica opera di salvezza, -per ogni uomo in persona, -nel tempo, nel luogo, nello strumento che è la chiesa. Si diceva: omnia sunt comuna. Allora si diceva: il Signore. E si dice il Signore, ma né il Padre né il Figlio né lo Spirito Santo sono gli attori distinti, vivi, inconfondibili dell’ azione che riguarda la nostra salvezza, soprattutto di quel rapporto che deve stabilirsi con Ognuna di Loro, e con ognuno di noi.
Di conseguenza il primato spetta alla persona di ogni singolo uomo nella chiesa. Ognuno concepito, chiamato, dotato, con una fisionomia individuale, inconfondibile e irrepetibile, analogamente alle Divine Persone. Ogni uomo è se stesso, come in Dio:il Padre è il Padre, il Figlio è il Figlio, lo Spirito Santo è lo Spirito Santo. Sono infinitamente uguali e infinitamente distinti. Questa è la direzione verticale della persona umana e sacramentale, perché è costituita così dai sacramenti del battesimo, della cresima, della eucaristia, eccetera. E’ costituita se stessa nella sua individualità, nella sua fisionomia inconfondibile e irrepetibile proprio dall’azione di ogni sacramento.
Noi dicevamo: il sacramento produce la grazia, e la grazia era una qualità per cui tutto era uguale. No. E’ tutto distinto per ogni sacramento come è tutto distinto per ogni persona. Questa dimensione dice: distinzione, vocazione, funzione propria nella chiesa, e di tutti i membri della chiesa. Voi sapete a che cosa prelude questo discorso.
Seconda conseguenza.
Il Padre il Figlio, lo Spirito Santo, sono un solo Dio perché comunicano infinitamente tra di loro in un unico amore. E’ un verità infinita che si può esprimere in tantissimi modi. Io la esprimo in questo modo ai fini del nostro discorso: Il Padre,il Figlio lo Spirito comunicano infinitamente tra di loro in un unico amore, perciò sono un solo Dio. La vita e la esistenza trinitaria è una comunione.
C’è un certo modo diverso di concepire tra la teologia latina occidentale e quella orientale. Noi facciamo un Dio Uno, poi questo Dio lo dividiamo in tre parti – sempre secondo la verità – e abbiamo tre Persone. La teologia orientale invece parte prima dalle tre divine Persone per arrivare a quel mirabile mistero che è un Solo Dio in un linguaggio improprio, ma per capirci – costituito in tre Persone, che sono una cosa sola, perché comunicano tra di loro a un amore infinito. Perciò ripeto: la vita e l’esistenza delle divine Persone è una comunione.
Il concilio dice: “piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura. Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con loro per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé” (DV 2).
Comunione trinitaria, comunione degli uomini con Dio, comunione degli uomini tra di loro che ripetono tra di loro il mistero della comunione trinitaria. Dice ancora il concilio: “in ogni tempo e in ogni nazione è accetto a Dio chiunque lo teme e operi la giustizia. Tuttavia Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra di loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse”(LG 9). La dimensione comunitaria. Questa concezione comunitaria, quindi ecclesiale, della salvezza e questa dimensione della persona, che è costitutiva della persona, non è essere in relazione con Dio per proprio conto, non è la salvezza della mia anima, non è la vita individualista…io penso ai fatti miei!
La persona e la personalità intanto matura e si sviluppa e acquista un valore, in quanto acquista la sua capacità di comunicare con gli altri. Chi non ha comunicativa è una persona monca che non ha sviluppato se stessa, e nella quale si possono verificare tutti i fenomeni perché non ha raggiunto il suo equilibrio. Questo è vero secondo la psicologia, questo è tanto più vero secondo la teologia in quanto noi siamo immersi in questo tipo di esistenza, analogo a quello delle Divine Persone che comunicano infinitamente tra loro.
Il cristianesimo è la storia meravigliosa dell’incontro, del dialogo, della comunione delle divine Persone con la persona degli uomini.
Il cristianesimo è la storia meravigliosa dell’incontro, del dialogo della comunione a livello di vita e di esistenza divina degli uomini tra di loro.
Questo è il cristianesimo: comunione di vita tra gli uomini. I cristiani si debbono definire dal loro grado di carità vicendevole.
Il livello di carità vicendevole non è mai stato prospettato come un ideale di vita cristiana. Sono sempre stati predicati i due grandi precetti dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo, ma avevano molto più risalto le virtù individualmente prese, e le virtù di ogni individuo, più di quanto non fosse messo in evidenza che la radice di ogni virtù è proprio la carità verso Dio e la carità verso il prossimo . Convinciamoci – lo dico specialmente ai giovani con molta libertà con molta simpatia – quando noi eravamo tra queste mura e alla fine dell’anno facevamo gli esercizi spirituali, normalmente predicati dai padri di Roho, non mancava mai una predica sull’amicizia particolare. Se vi riportate anche a quel clima, vi rendete conto che c’era un pericolo nella amicizia particolare. Adesso questo voi lo spiegate con la psicologia o altro. Dovevate vivere quaranta o più anni fa, allora era tutto diverso.
Così nella parrocchia. Allora il livello di vita cristiana nella parrocchia era la frequenza ai sacramenti. Tante comunioni erano tanto cristianesimo. Ma comunione con nostro Signore Gesù Cristo? Sì e no. Niente comunione con i fratelli. Questo dico paradossalmente per rendere il mio pensiero. Questo è un “puntum” e capite come questo si ripercuote nel seno della comunità particolare, nel seno della comunità locale a cominciare naturalmente dai presbiteri.
La chiesa è là dove avviene questo incontro tra le Persone divine e la persona degli uomini, per realizzare una comunione nella carità. La vita della chiesa, quindi, è evento. Abbiamo detto che della chiesa guardiamo il lato esistenziale, il suo “farsi” . Allora dobbiamo tenere presente che la chiesa si fa, perché è un continuo susseguirsi di eventi, cioè un continuo susseguirsi di incontro, di dialogo, di accordo, di disaccordo, delle divine Persone con le persone degli uomini e delle persone degli uomini tra di loro. Tutto ciò che è costitutivo della chiesa: parola, azione liturgico sacramentale, guida spirituale, è ordinato all’evento.
Questo mi pare che sia da tenere presente in un modo del tutto particolare:comunione è evento. E’ evento di comunione. Perciò, la celebrazione, l’annuncio della parola, ha lo scopo di presentare agli uomini la divina rivelazione, ma la parola di Dio è rivolta agli uomini perché stiano insieme. Con la parola di Dio gli uomini sono convocati a stare insieme. L’unità del popolo di Dio è costituita anzitutto dall’annuncio della parola del Signore. Noi, adesso che abbiamo i documenti del magistero del concilio, possiamo avere in mente queste cose, ma allora, predicare era parlare da una cattedra dalla quale si annunciava la verità. Era lontana la preoccupazione che la parola di Dio, di un solo Dio, di un solo Spirito, di un solo Verbo, fosse costitutiva dell’unità del popolo di Dio, fosse il fondamento della unità del popolo di Dio. Così dicesi dell’azione liturgica e dell’amministrazione dei sacramenti.
La celebrazione liturgica. Abbiamo già superato il “Sacrosanctum Concilum” nella presentazione del nuovo sacrificio della Messa, dove al principio si legge che la messa é: actio Cristi et populi Dei, praeside sacerdote, convenientis in unum ad memoriale domini celebrandum”.
La celebrazione è azione del popolo di Dio, sotto la presidenza del sacerdote, il quale deve fare la sua parte che nessuno altro può fare, ma è actio populi dei . Allora, perché il populus dei faccia una actio deve stare insieme e non soltanto localmente nell’ambito degli stessi muri della stessa chiesa. Dovrebbe, dovrà poco per volta diventare: “cor unum et anima una” per entrare veramente nel disegno di salvezza del Padre .
L’azione liturgica, come d’altronde l’azione sacramentale, se non tende a questo, non raggiunge il suo scopo. Lo scopo è di costituire la comunione tra gli uomini. Lo scopo è di costituire la chiesa nel senso più profondo della parola. La guida spirituale è ordinata all’evento della comunione con le divine Persone e delle persone degli uomini tra di loro. La guida spirituale, il potere di giurisdizione, che scopo ha? Quello di unificare gli sparsi figli di Dio. Perché il papa per la chiesa universale, perchè il vescovo per la chiesa particolare è il segno, lo strumento, il fondamento dell’unità della chiesa? Questo è il suo compito.
Prendete l’ espressione con tutto quello che si dovrebbe aggiungere per precisarla meglio e convenientemente. Un vescovo non riesce a fare unità? Non è detto che la responsabilità sia tutta sua, ma egli deve tendere a fare la unità. Unità prima di tutto in mezzo al presbiterio e per mezzo di questo strumento efficace di natura sacramentale che è l’unità del presbiterio, fare la unità in mezzo a tutti i fratelli. Questo è da tenere presente per un discorso sulla chiesa locale.
Punti orientativi. Tento per la prima volta di fare questo discorso in questo senso.
L’evento salvifico, e quindi la edificazione della chiesa, è più esteso, più costante, più intenso nella comunità particolare che nella chiesa locale: nella comunità particolare che prevalentemente è la parrocchia, ma non esclusivamente la parrocchia. Lì avviene costantemente l’annuncio della parola, la celebrazione liturgica e lo svolgimento dell’azione sacramentale, lì ci sono le dimensioni personali per costituire l’unità dei convocati da parte di Dio.
Quando si parla di chiesa locale l’accento non va posto sul luogo come punto nello spazio con confine territoriale . Il luogo va concepito come punto concreto dove si focalizza, si puntualizza, si acutizza l’unico evento della salvezza. E questo luogo è principalmente la parrocchia . Ma la parrocchia, naturalmente concepita più secondo una dimensione teologica e meno secondo la concezione giuridica, quindi, intesa come mistero, come sacramento, come strumento di salvezza. Va tenuto presente che ripetutamente nei documenti del concilio si afferma che il presbitero rende presente il vescovo. Non rende presente il vescovo in quanto è rivestito di giurisdizione canonica.
Ieri sera io ho ordinato due sacerdoti. Poi mi hanno domandato se potevano confessare. Sì, ho detto, potete confessare. Ecco la giurisdizione canonica. Ma c’è qualche cosa prima. Se non fossero stati ordinati sacerdoti io non potevo dire: confessate . Se non avessero ricevuto questa potestà – chiamiamola così anche per i presbiteri – di ordine, non potrebbero confessare.
Allora cerchiamo di intendere questo punto estremamente ricco, ed è il punto dal quale dobbiamo partire per intendere il mistero della chiesa locale. Secondo me, è anche il punto per intendere la collocazione del ministero del vescovo.
Il presbitero nella comunità locale particolare rende presente il vescovo perché è partecipe dell’unico sacerdozio di Cristo, nella espressione sacramentale della chiesa nella quale è inserito, perché questa chiesa nella quale è inserito, che gravita intorno il vescovo, ha le sue origini dal ministero del vescovo, ha un significato sacramentale. Quindi il presbitero rende presente il vescovo in quanto è in una comunione di tipo ontologico con tutti i presbiteri e con il vescovo. Non è una comunione di tipo morale. E’ una comunione di tipo costitutivo, soprannaturale voluta da nostro Signore Gesù Cristo . “Amatevi come io vi ho amato”, non è una raccomandazione morale,è un’affermazione della costituzione della chiesa. Che siano una cosa sola come io e tu, Padre, siamo uno solo perché il mondo creda. Ecco la chiesa strumento di salvezza, segno di fede, di credibilità.
Oggi si vanno cercando i segni di credibilità della chiesa. Per me il primo segno di credibilità della chiesa è l’amore che i sacerdoti si portano tra di loro. Qui, io parlo per paradossi. A me interessa che i preti si vogliano bene tra di loro, poi se a me vogliono poco bene, me ne fa poco. Volere bene al vescovo a volte è facile. Ci può essere il pericolo che convenga. Invece volerci bene tra di noi per fare la comunità di cui il Vescovo è perno e fondamento, è molto più difficile. Eppure noi non la dobbiamo realizzare soltanto in senso morale. Dobbiamo prima crederlo come verità di tipo ontologico, alla quale dobbiamo adeguare la nostra esistenza, il nostro comportamento, alla quale dobbiamo ispirare il nostro stile di vita.
Naturalmente l’azione del vescovo ha un carattere originario che manca a quella del presbitero. Soltanto il vescovo è nella successione dell’ordine apostolico. Soltanto il vescovo raggiunge l’apostolicità di tutta l’azione della chiesa; il presbitero la deriva da lui.
E’ una situazione estremamente curiosa quella dei vescovi: potrebbero essere senza cura d’anime a meno che non si costituiscano parroci della cattedrale oppure avere una cura d’anime generica occasionale. No. L’azione del vescovo è permanente in tutte le comunità proprio perché il presbitero rende presente la sua azione, quando naturalmente il presbitero è in comunione con tutti i suoi fratelli nel sacerdozio ed è in comunione col vescovo. Questo avviene nella comunità particolare, nella parrocchia ed anche in un’altra comunità di altro titolo. Basta che ci sia il presbitero perché la comunità sia legittima perché lì ci sono tutti gli elementi della verità e della realtà della chiesa.
Non vi pare allora che: non dalla somma di tutte le comunità, ma dalla comunione di tutte le comunità ne risulti la chiesa locale a cui presiede il vescovo? E’ un punto di vista che io lascio a voi.
OM 423 Tortona 71 – 27 settembre 1971.